Il sole venezuelano scaldava la nostra giovane pelle, gli adulti erano giganti lontani e i compagni di classe nemici dai quali difenderci insieme. Io e lei complici e piccolissimi amanti, un’aranciata bevuta con la stessa cannuccia e poi le corse mano nella mano. Lei era il miele che addolciva l’amaro della mia nostalgia, l’angelo che leniva le mie sofferenze. Occhi neri e penetranti, gemme preziose incastonate in un bellissimo volto ambrato , una nuvola di riccioli d’ebano, un corpo esile e scattante, Estrella, la mia compagna di banco in prima elementare, era il 1967 e andavo a scuola solo per lei. A ottobre del 1966 iniziai la prima elementare in Italia, presso la scuola Umberto I di Torino, nel mese di gennaio del 1967, mio padre, stanco della situazione economica familiare in cui vivevamo, decise che ci saremmo trasferiti nuovamente in Venezuela dove c’erano più possibilità di lavoro. Arrivò la partenza e il distacco da tutto quello che era diventato il mio mondo, i miei compagni, la mia casa e i parenti italiani. Lo shock dovuto al cambiamento mi aveva completamente mutato il carattere, avevo paura di andare a scuola e mi rifiutavo di eseguire il dettato, sentivo un peso allo stomaco e non avevo appetito, non riuscivo ad integrarmi in quella nuova ed esotica realtà scolastica. Cambiò ogni cosa quando m’innamorai della mia compagna di banco, Estrella, l’unica bambina di colore della scuola italo venezuelana che frequentavo, sicuramente uno dei suoi genitori era italiano. Quando nella mia giovane vita entrò lei il mio stato d’animo mutò in meglio, tornai a sorridere e ad essere bambino; la domenica era troppo lunga nell’attesa di rivederla. I suoi occhi meravigliosi, la sua voce dalla cantilena criolla , il suo bianchissimo sorriso e il profumo di maracuja che emanava la sua pelle color caffè furono per me ‘pioggia nel deserto’, quando ci sedevamo sotto l’albero di mango del patio della scuola esistevamo solo noi. Ascoltava con interesse i miei racconti italiani e io quelli che mi narrava lei, dove spesso i protagonisti erano i fratelli . In classe era pronta a difendermi, sempre con me e mai contro di me, aveva capito quale fosse la mia debolezza e la mia dipendenza da lei e oggi mi chiedo dove prendesse , una bambina di sei anni, quella maturità, sicuramente una storia di sofferenze alle spalle che soltanto adesso potrei comprendere. Dentro di lei viveva un’anima bellissima che mi avrebbe segnato per tutta la vita; ho cercato i suoi occhi neri nelle donne che ho incontrato e l’ho ritrovati, come un dono divino, sul volto di mia figlia. Era tutto perfetto ma qualcosa di tremendo stava per accaderci. L’ultimo giorno di scuola non pensammo a divertirci come gli altri bambini ma rimanemmo seduti sotto l’albero di mango tutto il tempo, mano nella mano a piangere. Estrella, disperata, mi aveva comunicato che la sua famiglia si trasferiva e che la seconda elementare l’avrebbe frequentata altrove. Odiammo gli adulti, ma non potemmo farci niente. Quella fu l’ultima volta che la vidi. Dove sarai ora dolce uccellino dalle piume scure? Vorrei abbracciarti e ringraziarti per quello che mi hai dato. Spero anche tu non abbia dimenticato il tuo compagno triste e che ogni tanto ritorni indietro nel tempo e ripensi al patio della nostra scuola. Vorrei rivederti, sicuramente sarai una madre meravigliosa e i tuoi figli i bambini più fortunati del mondo. Chissà dove, chissà quando ma ho la convinzione che ci rincontreremo. ¡Gracias Estrella!. Dove sei ora Estrella? Ci sei in un libro, ci sei in una canzone, ti vorrei vedere di nuovo.
ANCORA UNA VOLTA HO PERSO IL TRENO
Mi capita spesso di sentire vicino a me la signora fortuna, è talmente vicina da poterla afferrare con una mano.. ne sento anche il profumo inebriante ma puntualmente perdo il treno in cui lei sta viaggiando in cerca di qualcuno giusto a cui darsi. La fortuna, il successo e la realizzazione di tutti desideri viaggiano su un treno che regolarmente io perdo pur vedendolo, arrivo in ritardo, sbaglio il binario o in quel momento non m’importa niente. Mi dispiace sul momento, avevo sentito il rumore sulle rotaie, l’odore di ferraglia e l’allegro fragore fischiettante, lo spostamento d’aria mi aveva soffiato sul viso con arroganza, ma l’ho perso… di nuovo.
Non credo nella mala sorte e poi chi l’ha detto che non sia meglio così? Tranquillo nella mia anonima esistenza posso passeggiare e fermarmi a osservare una piazzetta di paese, sedermi ai bordi di un marciapiedi e guardare la gente che passa, pensare al mio paese tropicale e sperare di tornarci per perdermi in un posto isolato e tranquillo a contatto con la selvaggia natura.
Cammino con le mani in tasca e rifletto in solitudine, uno sguardo disattento alle vetrine della città e il ricordo di un’infanzia molto particolare nel calore di un paesaggio esotico, ripenso ai miei viaggi continui perché appartenente ad una famiglia che aveva lo spostamento e l’emigrazione nel DNA.
Le mie varie scuole, le persone che ho incontrato e che non ho mai più rivisto, occhi vaganti per il mondo che non vedo più ma che sento ancora vicini.
Estrella, la piccola bimba nera seduta vicino a me in prima elementare, dove sarà adesso? Sogni e speranze di un ragazzo allegro e timido allo stesso tempo, desideri inespressi e repressi nel più profondo della mia anima, come chissà quante altre persone.
Aspetterò ancora un paio di treni credo e se nemmeno su questi riuscirò a salire, c’è ancora qualcosa che posso fare per realizzare il mio ultimo desiderio.
Vorrei ritornare in quel posto, lontano... lontano, ma non per vivere nella solita città ma lasciarmi vivere nella zona più libera e selvaggia. Canaima, Los Roques, Los Llanos... ovunque... purchè sia pace e meditazione. Mi tornano in mente momenti esotici e poi altri momenti vissuti in Italia… Tutto miscelato in turbinio di emozioni e di ricordi.
So di aver perso i treni della fortuna ma sono sereno, riesco ancora a sentire i vantaggi dell’essere una grande papilla gustativa, una porta attraverso la quale passano e lasciano il segno alcuni elementi naturali. Il profumo della natura con i suoi fiori, il mare e le passeggiate nei paeselli di terre antiche, il calore del sole e lo sventolare delle foglie degli alberi, gli occhi languidi dei cani e il sorriso dei bambini, il pentimento dei peccatori e degli assassini che vogliono cambiare… e che probabilmente ci riusciranno, io, in cambio, non riesco a pentirmi.
Ho perso il treno e se ci fossi salito può darsi che non avrei più gustato completamente la vita che mi è stata offerta, chissà se ne sarebbe valsa la pena. Ho voglia di bere un sorso di sereno e adesso non m’importa se quel treno è passato… io partirò con una destinazione a mia scelta, primo o poi... ma cosa succede? intorno vedo che sono moltissime le persone che hanno perso il treno come me, sono agitate e parlano… parlano… parlano, sento una voce di qualcuno che dice: “accidenti ho perso il treno e questa volta a bordo c’era...”, pronuncia un nome importante, è una persona che conta, ecco perché erano tutti così agitati. Ma qui non posso ripetere quel nome, magari in privato. Penso che tra qualche anno metterò su una ‘vivienda’ in Venezuela, non lontano dal mare, insieme a tutti quelli che hanno perso quei treni e che vorranno aggregarsi. Ci vieni anche tu? Intanto ripenso a quel nome così importante, proprio lui era sul quel treno, chissà chi è stato il suo prescelto….
MADRE CONTRO PADRE
Alberto era ancora un ragazzone quando nacque sua figlia, aveva poco più di trent'anni, ma amava ancora giocare con la vita. Si era sposato tre anni prima con Giuliana e, malgrado il loro rapporto non fosse idilliaco, tirava a campare.
Da fidanzati spesso Giuliana gli aveva detto che lei avrebbe voluto un marito collaboratore in casa e soprattutto con i figli perché non sopportava il tipo d'uomo che rimaneva seduto sul divano e non si occupava delle faccende di casa e della famiglia.
Alberto un po' per questo, un po' perché Giuliana soffriva di mal di schiena, ma soprattutto perché era letteralmente innamorato della sua bambina, si prestò volentieri a prestare il suo aiuto in casa. Giuliana non allattò al seno la bambina, di notte si alzava Alberto per darle il latte, la cambiava e si comportava da bravo mammo. Tutto questo era utile per Giuliana perché oltre a seguire un corso di Estetista durante il giorno, presto cominciò a lavorare, il primo anno di vita di questa meravigliosa bambina, Alberto se lo fece praticamente da solo. Quando in America c'era qualche problema Giuliana partiva e stava almeno tre mesi lontana da casa.
Essendo titolare di un ristorantino Alberto aveva la possibilità di andare a lavorare dopo le 18,00, portava con lui la bimba che rimaneva fino alle 20,00 ora in cui la mamma veniva a prendersela nervosamente, perché stanca, se la trascinava a casa infuriata perché la piccola voleva ancora il suo papà.
Giuliana, di origine italo americana, aveva nostalgia del suo paese e spesso nel nervosismo delle discussioni minacciava sia Alberto che Giselle (la figlia) di tornarsene dai suoi. La piccola poco per volta cominciò a far di suo padre l'unico punto fermo e sicuro della sua vita e quindi a cercarlo e ad avere bisogno di lui.
Questo non piaceva a Giuliana che non rinunciava a terrorizzare la piccola con le sue minacce di andar via.
Le sue lamentele e continue urla poco per volta distrussero il rapporto con Alberto e ben presto Giselle si rese conto che poteva contare molto di più di suo padre.
Quando Giuliana e Alberto decisero di separarsi un Giudice ‘donna' che non sapeva minimamente come stavano le cose, decise che Giselle doveva restare con la madre. Cosa ne sapeva quel Giudice? Che scelta sbagliata per il solo luogo comune che i figli stanno bene con la madre e non con il padre. Che errore madornale da parte di un Giudice che dovrebbe pensare al bene di un bambino e non alla solita tiritera stupida che i figli sono proprietà della madre. Ad Alberto non rimase che prendere sua figlia ed andarsene all'estero e la cosa sicuramente non era legale. Cosa doveva fare un padre, un cuore di padre, che sapeva benissimo che la bambina non viveva senza di lui? Pur non approvando il gesto non posso condannarlo, almeno ora la bambina è contenta e la madre si è già risposata. D'altro canto era abituata a separarsi dalla bambina, cosa che Alberto non riusciva a fare.
Perché in Italia il padre deve essere sempre penalizzato? Chi l'ha detto che un uomo non può essere un ottimo genitore? Vorrei che qualcuno in politica si occupasse seriamente di questo problema, io sarei il primo a volerlo, non importa di quale partito ma è qualcosa di molto importante. Farebbe bene anche ad occuparsene il Vaticano dal momento che parliamo d'amore.
Che ci sia la parità anche in questo. Battiamoci e concludiamo!
di Cosmo de la Fuente
Che bel sogno il tuo, caro Carlos. Chissa' quante volte gli occhi di Estrella ti hanno consolato, quando un treno ti portava via e tu avevi paura di arrivare. Perche' la vita' e' una partenza continua, e non aver ancora raggiunto la meta ci fornisce la forza per continuare a vivere e sentire, per fare ed essere e divenire. Quel tuo piccolo ristorante bianco come un casolare Venezuelano, in cui mi hai accolto porgendomi un libro con i segreti nascosti del paesaggio del tuo altro paese, mi ha trasmesso il tuo piccolo sogno, fatto di sapori e suoni autentici, che ricreano la tua infanzia. Estrella, la tua musa, la forza della rinascita del desiderio di armonia, che trasmetti nei tuoi racconti e nella tua musica. Negli occhi sorridenti di tua figlia che si abbraccia il suo papa' potevo riconoscere il frutto della tua esistenza. Ascoltero' i racconti del tuo ultimo libro, in attesa di leggere la ninna nanna del papa' alla figlia, che mi hai promesso nel nuovo disco per riscaldare il cuore dall'inverno che stiamo vivendo. La tua sensibilita' e' preziosa per comunicare al mondo quanto sia importante il legame che il padre ha con i suoi figli, che lo stato calpesta con violenza e criminale superficialita' escludendo il padre e mettendolo ai margini della sua famiglia. Grazie per la tua testimonianza. MB
martedì, agosto 09, 2005
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