venerdì, settembre 07, 2007

le bolle delle banche centrali

Finanza: Usa e Ue soccorrono gli speculatori

venerdì, 07 settembre, 2007
Dollari e euro in soccorso degli speculatori Usa - da Selvas.org

Il mercato immobiliare continua a rappresentare un rischio per l’economia degli Stati Uniti dove c'è stata una forte impennata nell'esecuzione dei pignoramenti ed espropriazioni di appartamenti ed edifici: 179.600 nel solo mese di luglio. Il senatore C. Dodd retiene che “da uno a tre milioni di persone potrebbero perdere la loro casa”. Lo rivela un'inchiesta dell'analista geopolitico Tito Pulsinelli per Selvas.org.

"Queste poche cifre indicano con chiarezza la gravità della crisi del settore inmobiliario degli Stati Uniti, che covava sotto la cenere mediatica da molto tempo, ma veniva sistematicamente ignorata o minimizzata. Ora che l'esplosione è avvenuta, emergono le caratteristiche distruttrici di un collasso che sta facendo tremare il cosiddetto sistema finanziario internazionale" - afferma l'analista. I “furbetti della bolla immobiliaria”, vale a dire gli usurai globali che avevano gonfiato all'infinito il valore dei titoli dell'industria del mattone, oggi alzano bandiera bianca. La “bolla” gli è scoppiata in faccia perchè non c'è più una relazione credibile tra il valore di un edificio reale e quello dei “titoli” che li rappresentano.

La Banca Centrale Europea (BCE) finora ha sganciato 120 miliardi di dollari per soccorrere i truffatori d'oltreoceano e i loro compari speculatori delle banche europee. "Si premiano gli infami, li si incoraggia a perseverare. E' una autentica istigazione a delinquere" - commenta Pulsinelli. "Siamo al teatro dell'assurdo o al funerale del buon senso: i negatori radicali di ogni intervento publico nell'economia sono provvidenzialmente salvati con quantità industriali di denaro pubblico. I becchini dello Stato succhiano avidi le sue mammelle. Si tratta dello stesso denaro che - in nome della “autonomia” delle banche centrali - sarebbe irresponsabile destinare alle pensioni, al sistema sanitario o educativo".

Il malconcio sistema finanziario internazionale e la credibilità del dollaro - ormai seriamente compromessa anche a livello di immagine - sono momentaneamente puntellati dalle riserve monetarie delle Banche centrali del G7. "I più coraggiosi puntano il dito contro il monopolio delle tre agenzie qualificatrici di rischio, ma dimenticano che Standard & Poors, Moodys e Fitch agiscono con molta solerzia quando si tratta di dare le pagelle ai Paesi indebitati del mondo non industrializzato, non altrettanto con i consorzi privati multinazionali. E tacciono sul fatto che hanno infiltrato le presidenze delle “autonome” banche centrali" - denuncia l'analista.

"Gli Stati Uniti devono mettere ordine nei propri conti, abbandonare un sistema di vita depredatore, e rassegnarsi che non si può vivere eternamente al di sopra dei propri mezzi. Sono passati 60 anni da quando producevano il 60% delle mercanzie circolanti nel globo; oggi sono il Paese più inebitato del mondo" - afferma Pulsinelli.

Oggi è la Cina con 1,3 bilioni di dollari stivati nelle sue riserve monetarie - di cui 900 miliardi in un mix di buoni della tesoreria e titoli- che stringe in una morsa ferrea la Riserva Federale. "Tutti i politici di Washington, da Obama alla coppia Clinton, esigono all'unisono che la Cina proceda ipso facto alla rivalutazione della sua moneta, unico modo - a loro dire - per bloccare la “sleale concorrenza”, frenare le esportazioni cinesi e favorire quelle statunitensi. Ignorano che negli ultimi due anni il Renmimbi si è rivalutato del 10% sul dollaro, ma questo non è servito a nulla, e il bilancio favorevole alla Cina continua a sfiorare i 27 miliardi"- osserva Pulsinelli.

"L'esportazione del suo sistema produttivo ha generato gran dipendenza e una innegabile vulnerabilità alle mosse di Pechino. E' un segreto pubblico che è arrivato a conoscenza della plebe globale. E' il caso di dire che “grande è il disordine sotto il cielo, la situazione è eccellente” - conclude l'analista.

Le borse e le banche centrali

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Su noiseFromAmerika, un mirabile saggio di Michele Boldrin sulla recente esplosione di volatilità sui mercati finanziari e sul ruolo delle banche centrali, in questa ed in precedenti crisi. Una lettura corposa ma agile, scritta con rigore ma anche con levità che consigliamo davvero a tutti per comprendere cosa è accaduto e cosa potrà accadere, e per demistificare il ruolo che le banche centrali (ed alcuni, ben noti, banchieri centrali) hanno finito col rivestire nell’immaginario collettivo e nella vulgata giornalistica dei nostri giorni. Quando il blogging sale in cattedra.

La caduta degli dei

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C’erano una volta gli hedge funds, mitologici strumenti d’investimento che affermavano di poter garantire ai propri fortunati sottoscrittori rendimenti positivi, costanti e regolari, sotto qualsiasi condizione di mercato. Rialzi o ribassi degli indici dei mercati finanziari per loro pari erano: il guadagno arrivava comunque, grazie ad un bouquet di strategie d’investimento diversificate, differenziate e (soprattutto) decorrelate dall’andamento dei mercati. Del tutto scontato, quindi, il fatto che questi veicoli d’investimento richiedessero una remunerazione molto sostanziosa. Oltre alle commissioni di ingresso ed a quelle di gestione, era prevista una commissione d’incentivo, in media pari al 20 per cento della misura in cui l’hedge fund batteva il benchmark di riferimento. Poi, sulla verde vallata degli hedge fund, si abbatté la sciagura dei mutui subprime, ed il credit crunch da essi scatenato, e l’incantesimo si ruppe.

E’ di ieri la notizia che, nel mese di agosto, la quasi totalità delle strategie d’investimento attuate dagli hedge funds hanno perso denaro. Secondo Hedge Fund Research (HFR), dei venti indici giornalieri espressivi della performance di altrettante strategie di hedge funds, solo uno ha fatto segnare una variazione mensile positiva. Per contro, il Global Hedge Fund Index, che include una varietà di strategie, inclusa la celeberrima long-short, ha perso in agosto il 2,55 per cento. Nel secondo trimestre di quest’anno gli investitori hanno riversato negli hedge funds la cifra monstre di 41 miliardi di dollari, portando il totale dell’industria a 1.670 miliardi alla fine di giugno. Di questi 41 miliardi, circa un terzo sono stati impegnati in strategie long-short, che consistono essenzialmente nell’acquistare azioni considerate sottovalutate e vendere allo scoperto azioni ritenute sopravvalutate.

Il problema dell’industria degli hedge, secondo molti osservatori esterni, risiede nell’effetto-gregge causato dalle strategie di investimento perseguite da gestori che, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno un comune retroterra professionale (spesso anche accademico), e tendono quindi a comportarsi in modo identico, polarizzando i mercati.

Come finirà? E’ presto per dirlo, ma il mese di agosto ha segnato la fine del mito dell’hedge fund che guadagna “con ogni clima”, cioè la verosimile fine di strutture commissionali particolarmente esose. Altro idolo infranto sono le agenzie di rating. Ne abbiamo già scritto, evidenziando gli errori di assegnazione di rating eccessivamente elevati rispetto alle caratteristiche di emittenti ed emissioni, oltre alla sottovalutazione della probabilità di manifestarsi di condizioni “estreme” sui mercati, alla sostanziale superficialità nell’assunzione delle variabili di scenario e della loro evoluzione.

L’ultima picconata alla credibilità delle agenzie di rating viene dall’analisi di una società indipendente specializzata in analisi e strategia della struttura di capitale. Secondo CreditSights, il rating di tripla A, cioè di massima affidabilità creditizia, attribuito a strutture complesse denominate CPDO (Constant Proportion Debt Obligation), sarebbe frutto di clamorosi errori metodologici da parte delle Agenzie (o forse di qualcosa d’altro, più attinente al dolo che alla colpa), che hanno finito con l’assegnare il massimo merito creditizio a strutture basate sulla logica della martingala, cioè all’aumento della scommessa al verificarsi di una perdita sulla base dell’assunto che, statisticamente, non si può continuare a perdere al ripetersi della scommessa. E così, ad ogni default di aziende inserite nell’indice, il gestore del CPDO aumenta la leva finanziaria (cioè l’indebitamento), per recuperare le perdite, e così via fino alla rovina. Una follia di cui stanno pagando le conseguenze gli investitori che hanno acquistato tranche di CPDO rassicurati dal rating di tripla A, e che oggi si trovano con perdite dell’ordine del 70 per cento.

L’estate del 2007 sarà ricordata come quella della caduta degli dei della finanza e della loro millantata onniscienza. La prossima volta che entrerete nella vostra banca e vi sarà messa in mano la solita brochure patinata che magnifica i prodotti “a controllo del rischio”, ricordatevi di questo post.

L’Impero dei mutui - gli USA affondano

La crisi dei mutui subprime attualmente in corso sui mercati finanziari internazionali, e lungi dall’essere conclusa, sta sollevando alcune interessanti problematiche, destinate forse a rimettere in discussione la leadership statunitense nella statuizione delle “regole del gioco” sui mercati globali. Come ha scritto di recente il New York Times, politici, regolatori e specialisti finanziari fuori dagli Stati Uniti stanno cercando un ruolo nella supervisione di mercati, banche ed agenzie di rating statunitensi, dopo il crac dei subprime. L’argomentazione è lineare: gli Stati Uniti esportano prodotti finanziari, ma le perdite inflitte agli investitori di tutto il pianeta suggeriscono che i regolatori americani hanno fallito nel monitorare ed allertare gli investitori sui rischi.

La prima iniziativa volta a mettere “sotto tutela” le agenzie di rating è venuta dal presidente francese Sarkozy, che tenterà di far passare la propria dichiarazione di principio (ed evidentemente anche le prime linee guida) di una “armonizzazione” della supervisione regolatoria dei mercati. Ma Sarkozy non è isolato: la Germania vuole la nazionalizzazione delle agenzie di rating e migliori prassi di disclosure sulle strutture complesse di debito (come i CDO), i cinesi chiedono l’introduzione di standard per le asset-backed securities. A torto o a ragione, è diffuso il convincimento che questa crisi abbia segnato la fine del paradigma “unipolare” (ed unilaterale) di regolamentazione delle attività finanziarie internazionali, e che si stia andando verso una sua “multilateralizzazione” in seno ad istituzioni internazionali, dove gli Stati Uniti siano una delle componenti e non più l’entità che detta gli standard a cui il resto del pianeta si uniforma per prassi e riflesso dei rapporti di potere internazionale.

Come reagiranno gli Stati Uniti di fronte a questo attacco concentrico? Al momento, assistiamo a reazioni “tradizionali”, con la riaffermazione del principio secondo il quale occorre minore e non maggiore regolamentazione, oltre alla difesa di quella forma di orgoglio patriottico e para-nazionalistico noto come “eccezionalismo” statunitense. Non conosciamo la reale portata di questa crisi, che ipotizziamo comunque ampia e destinata a trasmettersi all’economia reale attraverso una restrizione generalizzata degli standard creditizi, ma non dobbiamo dimenticare che gli Stati Uniti sono ormai da tempo un “importatore strutturale” di capitali, a causa del crescente deficit delle partite correnti, e ciò potrebbe rappresentare una leva strategica per i non residenti per indurre le istituzioni finanziarie americane a più miti consigli, soprattutto ove si affermasse pienamente l’evoluzione dei modelli di sviluppo delle grandi economie emergenti dall’export ai consumi domestici.

Da molto tempo gli analisti di relazioni internazionali ipotizzano che gli Stati Uniti potrebbero vedere seriamente indebolita la propria leadership globale a causa dell’atteso riequilibrio del deficit delle partite correnti, che i libri di testo materializzano attraverso un aggiustamento internazionale di portafoglio, con conseguente deprezzamento del cambio e rialzo dei rendimenti di mercato espressi in dollari. Oggi, possiamo ipotizzare che tale indebolimento geostrategico potrebbe concretizzarsi anche attraverso la perdita di potere nella definizione degli standard internazionali sui mercati finanziari. Dopo l’overstretching militare iracheno, siamo di fronte ad uno stress da debito e finanziarizzazione. Il tempo dirà se siamo entrati o meno nell’era del ridimensionamento dell’impero americano, ridotto a “impero dei mutui”.

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