Una sparatoria è scoppiata all'interno del tribunale di Reggio Emilia. Nello scontro a fuoco sarebbero morte tre persone. Si tratterebbe, secondo le prime ricostruzioni, di un albanese, che avrebbe ucciso la moglie e colpito a morte un parente mentre erano in attesa in una sala per partecipare a un'udienza di separazione.
La sparatoria è avvenuta nell'aula delle separazioni civili del tribunale. Due avvocati (tra cui il legale che assisteva la donna) e un poliziotto sono rimasti feriti non gravemente.
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DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL'UOMO "indispensabile che i diritti dell'uomo siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l'uomo sia costretto a ricorrere come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l'oppressione"
(tratto da comunicazione condiviso)
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ERA IL PIU' AMOREVOLE E RESPONSABILE DEI PADRI -
LA MOGLIE, FREDDA ED ANAFFETTIVA, LO AVEVA ESASPERATO
Da Il Giornale di Reggio del 19 ottobre 2007
La sua vita è stata sconvolta da una tragedia tanto più grande di lei.
I parenti la attorniano e scoppiano a piangere. Lei, invece, parla con
una freddezza inimmaginabile per chiunque si trovasse al suo posto, in
quella situazione: tanto più per lei, una ragazzina di sedici anni.
Accoglie i parenti, giunti da tutt'Italia e parla con i giornalisti
della sua storia familiare: lucida e con una grinta da leonessa,
difende la figura del padre omicida. Accanto a lei e ai parenti
albanesi c'è anche il fratello di Clirim Fejzo, che li aiutava dagli
Stati Uniti: veglia su di lei e sulle sue parole, come ha fatto
nell'ultimo anno di difficoltà. Mentre siamo nella loro casa di via
Andreini 11, squilla il cellulare della ragazza. Sono le 14.30, arriva
un'altra drammatica notizia: anche la madre, ricoverata nel reparto di
Rianimazione dell'ospedale Santa Maria Nuova, non ce l'ha fatta. E'
stata dichiarata la morte cerebrale. E' lei stessa ad annunciarlo a
tutti: è la terza vittima di questa tragedia, dopo il padre, freddato
dall'agente di polizia, e lo zio Arjan Demcolli, fratello della
mamma.
Alla figlia, Tisjana Fejzo, si inumidiscono per un attimo gli occhi, e
c'è il tempo per un abbraccio con la cugina: ma le parole di dolore
sono tutte per suo padre, l'omicida che ha sconvolto la vita della sua
famiglia e un intero Paese, sotto i suoi occhi. Tisjana è cresciuta in
fretta: la sorte si è abbattuta su di lei, e sembra non aver paura. Ha
perso un anno di scuola all'istituto Levi-Scaruffi e ora sta lavorando
da Viola parrucchieri, a San Prospero. La sorella minore, di 12 anni,
è ora ospitata dalla Casa delle donne: sottratta allo strazio del via
vai dei parenti.
«Mio padre è sempre stato un uomo tranquillo e sereno: andava
d'accordo con tutti e per noi figlie ha fatto tantissimi sacrifici -
lo ricorda la figlia - a differenza di nostra madre: lei nell'ultimo
anno ci aveva abbandonato quattro volte. La prima volta era stata
ospitata dal fratello morto, la seconda era andata ancora da Arjan che
però non se la sentiva più di ospitarla, e così si era trasferita
dall'altro fratello Valmir. Poi è ritornata, ma poco dopo si è
trasferita di nuovo da Valmir. Mio padre la accettava sempre,
l'avrebbe sempre accettata. L'ultima volta, era l'11 novembre 2006, se
n'è andata per sempre».
Cosa può dire la figlia dei tormentati rapporti tra i genitori? «Sono
scoppiati quando mio padre le ha chiesto di tornare in Albania perché
sua sorella era morta. Lei non voleva affatto, e da allora non
facevano altro che litigare. Lui voleva ottenere la separazione in
Albania, dove ci sono alcuni beni di famiglia, lei non voleva e lo ha
minacciato più volte. Mia madre non aveva mai parlato con noi di ciò
che accadeva tra loro. Io le avevo detto di separarsi con le buone,
lei diceva "Vediamo". Non ho mai sentito mio padre minacciarla, e a
noi non ha mai fatto del male: per noi si faceva in quattro».
Le due figlie avevano chiesto di stare con il padre: «Sapevamo che
aveva ragione: faceva l'artigiano, ha fatto di tutto per non farci
mancare niente, mentre nostra madre parlava solo dei soldi che lui le
doveva - continua la maggiore - lui ha chiesto più volte aiuto alle
forze dell'ordine e ai servizi sociali, ma non l'hanno aiutato. Voleva
rivedere mia madre, sapevo che aveva chiesto degli incontri anche
tramite l'avvocato, ma non ha mai avuto risposta. Non ne poteva più».
La goccia tre giorni fa: «Mia madre è andata a prendere a scuola mia
sorella, ma mio padre non è stato avvisato: se l'è trovata davanti e
hanno litigato. Tre volte sono andata a trovarla alla Casa delle
donne, ma mi ha liquidata in poco tempo: l'ultima volta mi ha detto di
farmi la mia vita, mi trattava come se non fossi più sua figlia».
Fino al dramma in tribunale: «Mio padre era tranquillo, ero seduta
accanto a lui. Poi ricordo solo una scena: il poliziotto che ha
ricaricato la pistola. Mio padre ci ha fatto del bene, ed è scoppiato
perché non ne poteva più. Ha chiesto aiuto e non lo hanno ascoltato.
Nonostante tutto non posso dimenticarlo».
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R.Emilia, la storia di Klirim e Vjosa
La storia tra l'albanese che ha fatto fuoco al tribunale di Reggio Emilia e sua moglie era iniziata tanti anni fa. Klirim Fejzo e Vyosa Demcolli, infatti si conoscevano da bambini quando con i loro coetanei giocavano nelle stradine del piccolo paese di Sukth, ad una decina di chilometri da Durazzo. Divenuti adolescenti quell'amicizia si è trasformata in amore. E così i due si sono sposati, e insieme hanno tentato l'aventura in Italia.
Inizialmente sono andati a vivere in una casa che lui si è fatto costruire quasi attigua a quella della famiglia di lei. E sempre insieme una decina di anni fa si sono lasciati tentare dall'avventura italiana, dove vivevano tutti e quattro i fratelli di Vjosa. Quel sogno si è drammaticamente infranto nel palazzo di giustizia di Reggio Emilia nel giorno in cui la giustizia avrebbe dovuto sancire la fine di quell'amore. Dapprima incredulità, poi sgomento. Sono le reazioni di coloro che conoscevano bene Clirim, Vjosa e Arjan (il fratello della donna ucciso anch'egli a Reggio Emilia) nell'apprendere la notizia della tragedia giunta nel primo pomeriggio dall'Italia. Tre persone conosciute come grandi lavoratori, Clirim anche come ''un bravissimo ragazzo''.
A Sukth vive, sola, Dituri Demcolli, 57 anni, pensionata, la mamma di Vjosa e Arjan. Un parente, Servet Perfundi, le ha raccontato una pietosa bugia: ''Vjosa e Arjan sono rimasti feriti in circostanze non ancora ben chiare, e sono entrambi in ospedale". "Adesso - racconta al microfono di una televisione albanese, dove la strage di Reggio Emilia è in copertina così come nei media di tutto il Paese - bisognerà trovare il coraggio di dirle la verità". E poi - conclude Perfundi - dovremo aspettare l'arrivo delle salme e organizzare i funerali''.
Clirim Fejzo è stato a Sukth nello scorso agosto e ha dormito nella sua casa che non ha mai voluto affittare nonostante da dieci anni risiedesse in Italia. Era molto legato a quella piccola abitazione - affermano in paese - dove probabilmente cercava ancora di ritrovare l'essenza di un amore irrimediabilmente perso. ''Li conoscevo entrambi - dice con commozione Edison Maraje, ricordando Clirim e Vjosa - lui era una persona molto tranquilla, un bravissimo ragazzo che non ha mai fatto del male a nessuno. Chissà cosa gli è passato per la testa perché si armasse e facesse una strage".
http://www.tgcom.mediaset.it/cronaca/articoli/articolo384006.shtml
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Ha atteso l'arrivo in tribunale della moglie e delle due figlie. Appena entrate ha fatto fuoco almeno una trentina di volte, ha detto un testimone. Klirim Fejzo ha puntato l'arma alla testa della moglie, Vyosa Demcolli (ora in morte cerebrale al Santa Maria Nuova). Poi ha freddato il cognato, Arjan Demcolli, che aveva tentato di disarmarlo. E' questa la ricostruzione fatta dagli investigatori della sparatoria in tribunale di Reggio Emilia: l'uomo a quel punto ha fatto fuoco contro chi gli era intorno, compresi i suoi avvocati, ferendo due poliziotti, l'avvocatessa della coniuge e un'altra persona, non è ancora chiaro se un avvocato o un dipendente giudiziario. Poi
è stato ucciso appena varcata la soglia dell'aula dell'udienza per le separazioni civili. L'uomo, da una decina d'anni in Italia, da sette a Reggio Emilia, era considerato a rischio per storie di violenze e percosse in famiglia.
Per questi motivi la moglie da un anno era ospite della Casa delle Donne, gestita dall'associazione "Non da sola", di cui la sua legale, Giovanna Fava, è una dirigente. L'avvocatessa, ferita lievemente a una spalla, ha voluto lasciare l'ospedale per tornare a rendersi conto di ciò che è
successo in una sorta di storia di morte annunciata. Decine le persone che hanno assistito alla scena e hanno riportato choc. Sembra che il rapporto tra i due coniugi fosse ulteriormente deteriorato per la questione dell'affidamento delle figlie e che il motivo scatenante sia stata una
visita a sorpresa ieri a una di loro: l'uomo sarebbe andata a prenderla a scuola senza avvertire e ci sarebbe stato l'ennesimo alterco con la moglie.
ASSOCIAZIONE NONDASOLA è nata nel 1995 per volontà di un gruppo di donne che, diverse per esperienze personali, culturali, politiche, hanno trovato forti motivazioni comuni ad approfondire la riflessione sulla violenza alle donne, sulle sue radici, sui modi di contrastarla.
La nostra lettura del fenomeno della violenza alle donne si fonda sul dato, registrato ormai da tutte le statistiche, che sono gli uomini ad agire la violenza contro le donne: la violenza è dunque violenza di genere
http://www.nondasola.it-----------------------------------
Contro la guerra di genere e contro tutte le violenze, serve educazione al controllo di se e sostegno quando esistono disagi. La violenza e' sempre da condannare, salvo per autodifesa.
Non si educa con la violenza, violando le emozioni si fa solo del male. Solo la forza dell'amore, l'aiuto e il dialogo curano la violenza. Non l'emarginazione e la radicalizzazione del conflitto, soprattutto quando viene stereotipato con schemi generalizzanti che si prestano a manipolazioni. Sono cose note da 2000 anni che non vanno dimenticate.
In questi casi ci vuole terapia intensiva e prevenzione. La giustizia non e' vendetta.
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IL FEMMINISMO FA BENE AI RAPPORTI DI COPPIA ROMA - Femminismo e romanticismo vanno d'accordo, tanto da rendere le donne che si definiscono tali le migliori candidate a rapporti di coppia stabili e appaganti. Lo ha dimostrato uno studio dell'università americana di Rutgers, pubblicato dalla rivista tedesca Sex Roles, secondo cui sia le donne che si autodefiniscono femministe sia i loro partner hanno relazioni migliori.
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BUON ASCOLTO AI BENPENSANTI
1 commento:
Se è questo l'episodio che avete scelto per perorare la vostra causa, vuol dire che non avete capito assolutamente nulla... qui ci troviamo di fonte ad una persona che non ha esitato a distruggere due vite oltre alla propria, che non ha esitato a sparare contro un agente che ha riportato lesioni gravi ad una gamba... una porcata del genere è una porcata e basta, niente la può giustificare né spiegare e se qualcuno è così tardo da non capirlo è un problema suo... di certo non parlerebbe così a vanvera se sul pavimento di quel tribunale ci fossero rimasti la sua di moglie o di figlia...
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