tag:blogger.com,1999:blog-149778012024-03-07T07:56:48.486+00:00visionimarzianeil mondo visto da marteUnknownnoreply@blogger.comBlogger158125tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-90088874400049946202008-04-22T19:22:00.000+00:002008-04-22T19:23:25.923+00:00Ground Zero<span style="font-family:arial;"><b><span style="font-family:Arial;"><span style="font-size:85%;color:#38579c;">LA PREGHIERA A GROUND ZERO</span></span></b><span style="font-family:Arial;"> </span><p><span style="font-family:Arial;"><span style="font-size:85%;">Dio d’amore, misericordia e guarigione, guarda il popolo dalle molte fedi e tradizioni diverse che si riunisce oggi in questo luogo, scenario di violenza e dolore indicibili. Ti chiediamo nella tua bontà di dare luce e pace eterne a tutti coloro che sono morti qui, quanti hanno eroicamente risposto per primi, insieme a tutti gli uomini e le donne innocenti vittime di questa tragedia solo perché il loro lavoro o il loro servizio li hanno portati qui l’11 settembre 2001.</span></span></p> <span style="font-family:Arial;"> </span><p><span style="font-family:Arial;"><span style="font-size:85%;">Ti chiediamo, nella tua misericordia, di portare consolazione a quanti, a causa della loro presenza qui quel giorno, soffrono per ferite e malattie. Guarisci anche il dolore delle famiglie ancora in lutto e tutti coloro che hanno perso i propri cari in questa tragedia. Da’ loro la forza per continuare a vivere con coraggio e speranza. Ricordiamo anche quanti hanno subito morte, ferite e perdite lo stesso giorno al Pentagono e a Shanksville, Pennsylvania. Il nostro cuore è unito al loro, mentre la nostra preghiera abbraccia il loro dolore e la loro sofferenza.</span></span></p> <span style="font-family:Arial;"> </span><p align="center"><span style="font-family:Arial;"><img src="http://www.stpauls.it/fc/0817fc/images/0817f32b.jpg" alt="L'area di Ground Zero, dove sorgevano le Torri gemelle, nella quale il Papa ha recitato la sua accorata preghiera per le vittime e i loro familiari." border="0" height="302" width="245" /><br /> <span style="font-family:Verdana;font-size:78%;">L’area di Ground Zero, dove sorgevano le Torri gemelle,<br /> nella quale il Papa ha recitato la sua accorata preghiera<br /> per le vittime e i loro familiari.</span></span></p> <span style="font-family:Arial;"> </span><p><span style="font-family:Arial;"><span style="font-size:85%;">Dio di pace, porta la tua pace nel nostro mondo violento: pace nel cuore di tutti gli uomini e le donne e pace tra le nazioni. Volgi sulla tua via d’amore quanti hanno il cuore e la mente consumati dall’odio. Dio di comprensione, sopraffatti dall’enormità di questa tragedia, cerchiamo la tua luce e la tua guida mentre affrontiamo eventi terribili di questo genere. Fa’ che coloro la cui vita è stata risparmiata possano vivere in modo che le vite perse qui non siano state perse invano. Confortaci e consolaci, rafforzaci nella speranza e donaci la saggezza e il coraggio per lavorare instancabilmente per un mondo in cui regnino pace e amore veri tra le nazioni e nel cuore di tutti.</span></span></p> <span style="font-family:Arial;"> </span><p align="right"><span style="font-family:Arial;"><span style="font-size:78%;"><i>Benedetto XVI</i></span></span></p></span>Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-52048498470511270662008-01-08T10:45:00.000+00:002008-01-08T10:45:51.162+00:00Moratoria contro il divorzio. aborto della famiglia.di Marco Baldassari<br /><br />Cosa hanno in comune aborto e divorzio? Tutto, tanto e' vero che la jihad cristiana si sta solo occupando dell'aborto, perche' il principio fondamentale e' lo stesso da cui naturalmente discende la moratoria sul divorzio. Nascono spontaneamente le associazioni. Pannella, l'anticristo per eccellenza, diventa l'anello di congiunzione tra l'uomo e la bestia. Moratoria contro la pena di morte, lui che fu il primo a mettere a morte il sacro. Vita, educazione e morte. Dall'aborto alle canne, passando per il divorzio. Non a caso, non ha figli.<br /><br />Aborto e divorzio nascono nello stesso periodo. Mentre l'onda della rivoluzione di Berkeley nasce contro la guerra in vietnam, portando PEACE AND LOVE contro la guerra e contro la violenza, in quel melting pot prende corpo il pensiero di onnipotenza femminile sui figli da cui derivano il rifuto della maternita' e il rifiuto della famiglia. Aborto e divorzio legalizzano e consentono di rimuovere psicologicamente quel limite che tiene insieme la famiglia: essere genitori significa vivere per i propri figli. L'aborto infrange questo limite. La famiglia e' fondata su questo limite posto all'egoismo del genitore, che amando il figlio si sacrifica. Non e' piu' una coppia ma una triade, indissolubile, perche' porta i legami piu' profondi della nostra esistenza. Il legame del figlio verso suo padre e sua madre sono cosi' fondamentali da segnare la sua vita per sempre.<br /><br />La famiglia si fonda sul rispetto della sacra vita che nasce. Amando questa vita e vivendo per il bambino che nasce e cresce, perpetuiamo la nostra vita, contro ogni legge dell'entropia. Siamo genitori accogliendo il mistero della vita che crea ordine dal disordine. Accogliere il sacro della vita e scoprire il senso della nostra esistenza sono passi che si compiono naturalmente se siamo prima stati educati e quindi veniamo rapiti dalla nostra esperienza diretta, che dopo il concepimento ci fa imparare giorno per giorno a camminare da genitori, come uomini e donne nuovi, rinati. Soltanto un genitore puo' comprendere di cosa sto parlando, sentendolo dentro di se come verita' essenziale e palese. Questa sacralita' della vita del bambino che nasce e' fondamentale per noi, per la societa' di oggi e domani. Rimuovere il significato tragico dell'aborto rendendolo un banale gesto di "autodeterminazione" nasconde la violenza sotto il tappeto. La violenza rimane ma non si vede. Collettivamente la societa' si dispone a giustificare e anzi pretendere come "diritto" la violazione della vita del figlio. <a href="http://claudiorise.blogsome.com/2007/12/22/p330/">Apre le porte a ogni tipo di violenza sulla famiglia</a>, in nome della "autodeterminazione".<br /><br />Il divorzio e' l'aborto della famiglia. Se si perde il senso della tragedia che aborto e divorzio comportano, con la gravissima sofferenza dei figli e dunque violenza sulla vita sacra nascente, la societa' perde quel principio fondamentale che regge la struttura sociale. La perdita di riferimenti, la confusione mentale, la soluzione violenta di qualsiasi disagio o ferita. Giusto dunque lanciare una <a href="http://www.imgpress.it/notizia.asp?idnotizia=30635&idsezione=4#">moratoria contro il divorzio</a> come fa in modo provocatorio questo avvocato di dichiarata fede materialista-socialista dalle colonne di IMG press.<br /><blockquote>Nei giorni scorsi, quando una mia assistita è venuta in studio rattristata poiché i suoi tre figli, già felicemente accasati, le erano improvvisamente ritornati in casa portandosi dietro il carico economicamente oneroso dei mantenimenti a ex-coniugi e pargoli, mentre lei stessa e il marito sono ormai avanti negli anni e non in buona salute, ho subito pensato: perché non integrare il ventaglio delle moratorie proponendone una anche per il Divorzio? Se dalle colonne del Foglio si propone la moratoria per la legge 194, ormai vecchia perché dei primi anni ’80, perché da quelle di IMGPress non si può “proporre” quella per la legge Fortuna-Baslini, di qualche decennio più anziana, mentre quasi quasi in Parlamento qualcuno vorrebbe far passare il peccaminoso “divorzio express” alla Zapatero? Penso che Vaticano e Cei ne sarebbero ben lieti essendo ancora il matrimonio un vincolo indissolubile, di conseguenza per coronare degnamente il provvedimento sarebbe bene anche reintrodurre il reato di bigamia. Ricordate in proposito le vicissitudini di Fausto Coppi e della Dama Bianca? O di Carlo Ponti e della bella Sophia? Che dire poi del giubilo dei teodem che finalmente vedrebbero riconosciuto il loro peso specifico nel condurre l’ex Bel Paese al tanto agognato Stato Confessionale cui non fanno troppi misteri di voler arrivare? Sicuramente questa proposta potrebbe far venire il mal di pancia, speriamo non la tanto paventata meningite che imperversa, a tanti leaders di centro e di destra che si trovano in situazioni imbarazzanti. E’ anche vero però che chi vive dell’altare, o meglio delle parrocchie attingendone il voto, e difende le dichiarazioni Vaticane in merito a coppie di fatto, aborto e fecondazione artificiale, non può non servire l’altare appoggiando la peggiore espressione del relativismo: il Divorzio, ovvero la dissoluzione della tanto celebrata Famiglia.</blockquote>Bravo, benissimo, perfettamente corretto: non possiamo soltanto mettere in moratoria l'aborto senza mettere in moratoria il divorzio. Pur cogliendo soltanto gli effetti economici sulla societa' (nonni che debbono occuparsi di figli e nipoti) questa lettera lancia quella che l'autore crede semplice provocazione, mentre in realta' non fa che sottolineare chiaramente il forte legame che esiste tra aborto e divorzio. Come si fa a condannare penalmente la bigamia (recentemente un magistrato ha perseguito un latitante che si era risposato in Russia) quando e' lo stesso stato che facilita la "bigamia seriale" con le faide tra figli dispersi nelle famiglie "allargate"? Piuttosto che creare quei drammi come quelli della Denise Pipitone o dei due fratellini di Gravina, non e' forse molto meglio la poligamia islamica, dove la prima moglie ha un ruolo, avendo voce in capitolo nella scelta delle mogli succesive che saranno sempre a lei sottoposte rimanendo tutti nella stessa famiglia? Vogliamo la parita' dei sessi? Si possono istituzionalizzare le famiglie allargate, registrando la comune in comune.<br /><br />Forse esiste un equilibrio nella tradizione cattolica che essendo frutto dell'elaborazione di millenni di esperienza di vita, dai greci in poi, sarebbe bene non disprezzare con la pretesa della "modernita'" tecnologica. Possiamo vivere meglio, con meno problemi, ma l'uomo e la donna restano quelli delle caverne, non essendo ancora disponibile un "retrofit" come vorrebbe l'arzillo Veronesi che sogna la societa' omosessuale con i figli fatti in provetta e allevati dal kibbutz dello stato socialista. Mavaffanculo!<br /><br />Coerenza e verita' sono fondamentali non tanto per la dottrina cattolica, quanto per la nostra "igiene mentale" che il relativismo socialista di stato cerca di distruggere sistematicamente. (Gia' in Russia l'esperienza accumulata potrebbe essere analizzata in modo da risparmiarci questa sperimentazione delirante). Infatti la dottrina assegna al diavolo l'origine del male, della divisione e della confusione.<br />Quello che gli dei vogliono distruggere prima lo confondono. Il diavolo ci confonde facendoci vedere il contrario di quello che e' la realta'. Le balle, insomma, sono sempre state dannose per l'umanita'.<br /><br />Infatti, altro leit-motif di congiuzione tra aborto e divorzio, sono le colossali balle che vengono portate come giustificativo delle scelte violente che pochi "illuminati" hanno imposto alla popolazione mondiale. <a href="http://www.antoniosocci.it/Socci/index.cfm">CON QUALE “BALLA” PROPAGANDISTICA SI OTTENNE LA LEGALIZZAZIONE DELL’ABORTO IN ITALIA</a><br /><br /><br /><br /><a href="http://www.ginecologiaediritti.it/testo194.htm">Il testo della legge 194/78. Analisi della legge</a><br /><br />Qui il sommario<br /><span class="fullpost"><br />Qui il resto del post<br /></span>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-79376104913190265462008-01-03T19:53:00.000+00:002008-01-03T19:53:47.417+00:00oggi, la sovversione è la tradizione.<a href="http://www.rinascita.info/cc/RQ_Cultura/EEAlkFyAuluxfIiTJM.shtml">"L'uomo maschio" di Eric Zemmour</a><br /><span class="rqArtByline">Venerdi 21 Dicembre 2007 – 14:35 – Luca Desideri</span><br /><br /><table class="rqIndexDiv" border="0" cellpadding="0" cellspacing="0" width="100%"> <tbody><tr> <td class="IndexTxt" valign="top"><p class="rqArtTxt">Ecco Eric Zemmour, astro nascente del giornalismo francese, il giorno in cui era invitato a “Tout le monde en parle”, storico talk-show della rete pubblica francese, France 2: stava subendo un autentico linciaggio morale, nonché una vera e propria aggressione verbale: attaccato da uomini e donne, tutti i personaggi presenti sul plateau si davano man forte per provocarlo. Financo i comici, grandi assertori della massima tolleranza, in salsa politicamente corretta, s’intende, spalleggiavano l’assalto. E lui impassibile, rispondeva bellamente e senza affanno, colpo su colpo, con la virtù dei forti, contro le litanie della massa ferita e incattivita.<br /></p><p class="rqArtTxt"><br />Presentava il suo libro, “L’uomo maschio”, tradotto dal titolo francese “Le premier sexe”. Un pamphlet incisivo, ficcante, concreto, che inizia descrivendo i postulati della società occidentale contemporanea imperniata su “grandi principi, universalità, umanità: niente più uomini, niente più donne, solo esseri umani uguali, inevitabilmente uguali, anche più che uguali, identici, indifferenziati, intercambiabili”. Il concetto è forte, si parte dalla femminizzazione dell’uomo per andare a ritroso alla ricerca delle cause che l’hanno favorita. Un processo relativamente breve, che si sviluppa nell’arco dell’ultimo secolo con una escalation impressionante negli ultimi decenni. E’ la prima guerra mondiale che dà il là al processo: in trincea l’uomo è annichilito, svigorito e sostituito per la prima volta dalle donne in fabbrica. Si scopre vittima. I regimi autoritari tra le due guerre fanno ritrovare all’uomo la virilità perduta ma è come un colpo di coda nell’evoluzione della specie: i figli di quella generazione saranno i sessantottini, che mineranno il potere senza prenderlo, rifiutando responsabilità ma imponendo la loro morale. Saranno la generazione della rinuncia. Dal ’68 ad oggi la donna, infatti, non è più un sesso, è un ideale. Condiviso dagli uomini, tutti allevati da ragazze madri, rivoluzionarie e femministe.</p><p class="rqArtTxt">L’obiettivo di quest’ultime era la libertà sessuale, l’emancipazione dal giogo patriarcale. Bisognava dimostrare come la natura non fosse altro che il prodotto di logiche sociali e culturali.<br />Le donne hanno anticipato il fenomeno migratorio, chiedendo e ottenendo di lavorare, con conseguenze negative sul potere d’acquisto dei salari. Hanno creato i presupposti per “investire” i settori prevalentemente maschili quali la politica salvo accorgersi poi che il vero potere è restato nelle mani tutte maschili della grande finanza. Hanno provato a “mettere i pantaloni” ma si sono ritrovate sole, divorziate, spesso con figli a carico ed in una situazione di precarietà diffusissima.</p><p class="rqArtTxt">Fallito quindi il progetto di cambiare le donne il femminismo, come una macchina che genera uguali, sta riuscendo a cambiare gli uomini alleandosi con i suoi più acerrimi rivali, gli omosessuali.<br />“Ogni differenza, che sia fisica, sociale o psicologica, è ormai paragonabile alla diversità, nuovo peccato mortale del nostro tempo.” Ed è qui il nocciolo della teoria di Zemmour: il desiderio, infatti, poggia sull’attrazione delle differenze; riducendole sempre più, il femminismo ha allontanato i due sessi aumentando il campo d’azione degli omosessuali. Ma è un progetto sposato anche da esperti di marketing e della pubblicità. “Il pubblicitario non è un profeta; è il braccio armato del pensiero dominante. Non annuncia la società che viene, la impone a suon di promozioni.” Per citare un esempio quanto più lampante, la società multiculturale “suggerita” vent’anni or sono dalle campagne di Benetton, è oggi realtà. Già oltre un secolo fa Oscar Wilde preannunciava come “la natura imita l’arte”. L’arte, purtroppo in questo caso è la moda ed i corpi femminili si sono trasformati “sotto la matita degli stilisti che non apprezzano le donne ma le considerano semplici attaccapanni”. I creatori di moda, a stragrande maggioranza omosessuali, oltre a causare grossi disturbi psicologici spingendo le adolescenti verso l’anoressia, impongono una bellezza femminile androgina.</p><p class="rqArtTxt">L’uomo attuale, invece, è sottoposto all’azione martellante di un’overdose di immagini di corpi femminili, di una promiscuità castrante fin da bambino ed al contempo sempre più oppresso dalla cultura totalizzante che impone una visione femminile della vita. Il risultato di questa morsa duale lo rende vieppiù effeminato e sempre meno responsabilizzato. “Persi i privilegi gli uomini si disfano anche dei doveri che vi erano affiancati.” Ne consegue una vera e propria società del disordine dove anche i ruoli all’interno della famiglia non sono più ben delineati come un tempo. In linea col postulato del filosofo Alain Finkielkraut: “Un tempo, la sovversione era il contrario della tradizione; oggi, la sovversione è la tradizione”</p><p class="rqArtTxt">Tutto è in atto per contrastare la natura predatrice dell’uomo. Con l’abuso di vecchie e nuove leggi, il famoso “mobbing” su tutte, ogni tentativo di seduzione può essere considerato una manipolazione, una forzatura, persino una violenza. Solo l’amore può redimere i comportamenti sessuali dell’universo maschile. L’uomo deve amare e rispettare, ma i nostri illustri antenati Rousseau, Stendhal e Freud, pur con sfumature differenti, distinguevano chiaramente l’amore fisico da quello morale. Si ribadisce come il desiderio maschile poggi prevalentemente sulla dissacrazione, pur solo ideale, della figura femminile tramite “frazionamento” delle sue parti del corpo. La valvola di sfogo della prostituzione ne è un’evidente chiave di lettura: criminalizzandola, oggi, si cerca di imporre il diktat del rispetto e dell’amore obbligatorio. “Bisogna che l’uomo rinunci spontaneamente a un tipo di relazione sessuale che non sia consacrato dall’amore”.</p><p class="rqArtTxt">Il “femminilmente corretto” sta divampando e con esso <span style="font-weight: bold;">l’uomo effeminato, un prodotto fortemente voluto dal capitalismo</span> che, dopo aver optato per la società multirazziale e multiculturale, ha scelto il campo della femminizzazione degli uomini. Un lento ed inesorabile declino della virilità nostrana che, scontrandosi con quella emergente degli altri popoli ci ha spinto a “rinunciare ad assimilare gli immigrati e i loro figli ovvero rinunciare a imporre loro, virilmente, la nostra cultura”.</p><p class="rqArtTxt"><span style="font-weight: bold;">Tutto rientra nel diabolico disegno del capitale apolide, circa la “fabbricazione di un uomo senza radici ne razza, senza frontiere ne paesi, senza sesso ne identità. Un cittadino del mondo meticciato e asessuato. Consumatore.”</span></p><p class="rqArtTxt"><span style="font-weight: bold;"></span>Un libro che non dà ricette istantanee ma pone, senza tanti giri di parole, un problema da troppo tempo eluso, una critica che richiede un brusco cambio di rotta nell’analisi del rapporto tra i due sessi. Le differenze che la natura ha creato hanno una ragion d’essere. La posta in palio è altissima.<br /> </p></td> </tr> </tbody></table> <img src="http://www.rinascita.info/images/nav/inv.gif" alt="inv" name="inv" id="logo16" border="0" height="2" width="7" />Unknownnoreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-18176802065942125242007-12-26T15:38:00.000+00:002007-12-26T15:38:14.490+00:00mummificato dalla separazione<a href="http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/cronaca/morto-sei-mesi/morto-sei-mesi/morto-sei-mesi.html">La sorella lo cerca per fargli auguri ma era morto in casa da quasi sei mesi - cronaca - Repubblica.it</a><br /><br />VASTO - Lo hanno scoperto la mattina di Natale, grazie a quella telefonata di auguri che si fa almeno una volta l'anno anche tra parenti che non si frequentano mai.<br /><span class="fullpost"><br />Il cadavere mummificato dell'uomo è stato rinvenuto ieri mattina dai carabinieri nell sua casa di Vasto dopo che una sorella aveva cercato invano di raggiungerlo telefonicamente per gli auguri natalizi. Insospettita dalla mancanza di risposte, la donna ha avvisato i militari. Questi ultimi, una volta fatta irruzione nell'appartamento con l'aiuto dei vigili del fuoco, hanno fatto la macabra scoperta.<br /><br />Salvatore stando al referto del medico legale era deceduto per cause naturali da almeno sei mesi, ma nessuno se ne era accorto. Il corpo giaceva ancora nel letto, in avanzato stato di decomposizione.<br /><br />L'uomo viveva con una pensione che riscuoteva mensilmente e non aveva problemi economici. A mandarlo in crisi era stata la separazione dalla moglie. Dopo questo trauma si era chiuso in una sorta di mutismo rifiutando il dialogo con chiunque. Rotti i rapporti con la coniuge, Salvatore, a detta dei vicini, passava le giornate quasi sempre in casa a causa di una patologia alle ossa che gli rendevano i movimenti difficili.<br /></span>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-62110620512327334932007-12-11T22:04:00.000+00:002007-12-11T22:14:16.004+00:00Vero Natale<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://www.corriere.it/Fotogallery/Tagliate/2007/12_Dicembre/11/supe/01.jpg"><img style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right; cursor: pointer; width: 320px;" src="http://www.corriere.it/Fotogallery/Tagliate/2007/12_Dicembre/11/supe/01.jpg" alt="" border="0" /></a><br /><a href="http://www.corriere.it/cronache/07_dicembre_11/tir_incontro_palazzo_chigi_9c17f37a-a7c6-11dc-9708-0003ba99c53b.shtml">Blocco dei Tir, distributori a secco.</a><br /><br />Che bello lo sciopero dei TIR sotto Natale, proprio quando la gente gira in tondo per vetrine.<br />Spero tanto che duri tutte le feste e che venga una bella nevicata.<br />Le auto senza benzina ferme a diventare prototipi bianchi da sgonfiare in primavera.<br />Vorrei tanta tanta neve per rendere tutto bianco e silenzioso.<br />Tutti in giro con gli sci a fare palle di neve.<br />Nessuno che lavora, serrande chiuse, dormiglioni sotto le coperte.<br />Magari finisse anche l'elettricita' in modo da fermare veramente tutto quanto.<br />Televisioni spente per fare riposare il cervello, rotative spente per far riposare gli occhi.<br />Anche internet tutta spenta, sia questo il mio ultimo messaggio.<br />Tutti aspettando Gesu' bambino a riscaldarci col bue e l'asinello.<br />Lasciando defluire dalla nostra mente tutte le cazzate che sembrano indispensabili.<br />Forse si ritroverebbe un po' di umanita' nelle persone.<br />Magari i primi giorni strillerebbero un po' con qualche imprecazione.<br />Al terzo giorno di astinenza pero' il cervello dovrebbe riaccendersi di pensieri.<br />Tornare tutti bambini, come Marcovaldo nella neve a Torino.<br />Tutti fermi. Zitti. Buoni.<br />Bravi non trasportate piu' niente.<br />Fateci il piu' bel regalo di Natale.<br />Solo il silenzio dei nostri pensieri e dei nostri passi sulla neve.<br />Tra gli alberi, che forse, ascoltando bene, li riusciremo di nuovo a sentire.<br />Mentre crescono lenti e fermi. Sereni.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-70722841610582593652007-12-11T20:34:00.000+00:002007-12-11T20:39:41.494+00:00Natale squallido senza famiglia<p align="justify">Uno sguardo all’ultimo decennio di storia sociale italiana ci restituisce un’immagine della famiglia tutt’altro che edificante. Le ideologie inneggianti alla secolarizzazione, al laicismo, al “libero amore” ecc.. hanno purtroppo prodotto i loro devastanti effetti.</p> <p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Padre, madre, figli, nonni: erano le figure e gli affetti intorno ai quali si coagulava la famiglia tradizionale – nella quale una malintesa emancipazione ha voluto vedere l’odiato simbolo del patriarcato – e che noi, invece, consideriamo nucleo della società e depositaria di valori fondanti ed irrinunciabili della nostra civiltà.</p> <p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Oggi a difendere quei valori è rimasta solo <st1:personname st="on" productid="la Chiesa">la Chiesa</st1:personname> e le denunce di relativismo etico più volte lanciate da Papa Ratzinger restano inascoltate; anzi, si va sempre più verso l’individualismo, fomentato dall’edonismo, dall’affannosa ricerca del benessere materiale.</p> <p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Non neghiamo l’indispensabilità della ricerca scientifica, se tesa alla tutela del benessere: non accettiamo, però, che essa venga strumentalizzata per protagonismo e sete di guadagno.</p> <p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Le statistiche ufficiali svelano cifre impressionanti: calano i matrimoni ed aumentano convivenze, separazioni, famiglie mono-genitoriali; la natalità dà timidi cenni di ripresa, ma l’Italia resta ultima in Europa; la nascita del primo figlio è sempre più posticipata; sempre più figli nascono al di fuori del matrimonio.</p> <p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">In questo bailamme si delinea il “bamboccione”, il giovane adulto che, spaventato da quello scenario, comprensibilmente non vuole abbandonare il rifugio della famiglia d’origine.</p> <p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Le proposte di alcune forze politiche sembrano talvolta voler distruggere la famiglia, anziché conservarla <span style=""> </span>e sostenerla. “Violenza” è un’espressione generica, indica un fenomeno che investe tutti, non soltanto le donne; e non esiste solo quella fisica, ma tante violenze, dirette anche contro gli uomini. La tendenza all’iper-protezione di un Genere passa attraverso la speculare e pervasiva colpevolizzazione e svalutazione dell’altro Genere, inibendolo così nella sua naturale propensione verso il primo ed allontanando sempre più gli uomini dal proposito di formare una famiglia.</p> <p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Di questo passo si arriverà ad una società in cui l’uomo rivestirà un ruolo sempre più marginale e misconosciuto; ove la donna, indotta all’esasperata illusione autarchica ed autocratica, giungerà a considerare la fecondazione artificiale quale diritto che la società è tenuta a garantirle; e poco male se, in nome di un simile egocentrismo, s’ignorerà l’altro diritto – quello del nascituro - a crescere con due genitori… E’ una prospettiva, questa, solo apparentemente paradossale: si stanno gettando le basi perché essa possa avverarsi.</p> <p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Noi che viviamo il dramma della dissoluzione della famiglia, con tutte le tristi ricadute sui figli, non accettiamo il modernismo se questo è sinonimo di distruzione della famiglia e della società.</p>Natale di Gesu' bambino diventa ogni anno sempre piu' squallido e freddo. Glaciale.<br />Dovrebbe nascere Amore e famiglia - sacra - che sempre piu' raramente si ritrova.<br />Individui dispersi nel freddo della poltiglia umana muoiono ogni giorno un poco di piu'.Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-55596241949916386062007-12-06T03:05:00.000+00:002007-12-06T03:10:05.084+00:00Torino capitale. del disfacimento della famiglia.di Marco Baldassari<br /><br />La bujarda apre la cronaca cittadina sottolineando l'ennesimo primato torinese: a Torino e al Piemonte il primato italiano dei matrimoni falliti. <a href="http://www.lastampa.it/Torino/cmsSezioni/cronaca/200712articoli/5332girata.asp">(La città dei divorzi - LASTAMPA.it)</a> Non vi e' molto di cui andare fieri. Infatti gli articoli che riempiono le prime due pagine interne, non vengono inseriti nelle pagine nazionali.<br /><blockquote>"nel 2005, <span style="font-weight: bold;">ogni cento mila abitanti</span>, nel distretto della Corte d’Appello di Torino sono state ratificate oltre <span style="font-weight: bold;">231 </span>pratiche di divorzio e più di <span style="font-weight: bold;">353 </span>di separazione. Milano resta ferma a quota <span style="font-weight: bold;">195 </span>istanze di divorzio, Venezia a <span style="font-weight: bold;">169</span>, Bologna a <span style="font-weight: bold;">192, </span>Roma a <span style="font-weight: bold;">201</span>."<br /><br />«Difficile spiegare quale sia la specificità torinese – spiega <span style="font-weight: bold;">Chiara Saraceno</span> -. Una ragione potrebbe essere che si tratta di una città in cui <span style="font-weight: bold;">il tasso di donne che lavorano è alto.</span> Si sa che questo è un elemento che aumenta la propensione alla separazione». Ipotesi che trae forza dai numeri Istat: il <span style="font-weight: bold;">73 per cento delle donne che si separa ha un’occupazione stabile</span>, circostanza che, <span style="font-weight: bold;">nel caso dei divorzi, sale fino all’80 per cento.<br /><br /></span>«Un’altra spiegazione possibile sta nelle particolari tensioni vissute negli ultimi anni – prosegue la Saraceno -: <span style="font-weight: bold;">la crisi economica e le difficoltà di molte industrie certamente non hanno facilitato la vita coniugale.</span> È possibile che in molte coppie, che già vivevano un conflitto latente, <span style="font-weight: bold;">la perdita del lavoro abbia generato ulteriori tensioni</span> impossibili da reggere».<br /></blockquote><blockquote></blockquote>Dunque <span style="font-weight: bold;">che le donne abbiano un lavoro non aiuta affatto l'unita' familiare</span>, anzi diventa un fattore di <span style="font-weight: bold;">tensione proprio quando la crisi economica si fa sentire e il marito perde il lavoro.</span> Va detto che le donne sono presenti con quote bulgare nella scuola, nella sanita', amministrazioni pubbliche, tribunali, mentre la crisi economica si fa sentire pesantemente nell'industria e nei servizi all'industria, dove fioccano licenziamenti e chiusure. Che questo provochi il disfacimento della famiglia con figli fa pensare.<br /><br />Del resto a Milano l'impiego femminile e' senz'altro anche superiore, ma evidentemente le tensioni economiche sono piu' infrequenti rispetto a Torino per la migliore prospettiva di lavoro - sempre piu' persone daTorino vanno a lavorare a Milano come pendolari, ogni giorno.<br /><blockquote>In Piemonte, <span style="font-weight: bold;">oltre il 42 per cento delle unioni si svolgono con rito civile</span>, segno – come conferma Chiara Saraceno - «di un robusto processo di secolarizzazione: spesso <span style="font-weight: bold;">il matrimonio non è più percepito come un’istituzione intrisa di sacralità</span>».</blockquote>Ah certo, Torino citta' magica, iscritta nel triangolo Torino-Londra-San Francisco della magia nera e nel Torino-Praga-Lione della magia bianca, culla dell'esoterismo e dell'anticlericalismo antagonista. Ecco un fattore interessante da correlare anche con la massiccia presenza della sinistra che dai DS ai Comunisti praticamente governa la citta' e tutto il dirigismo di banche e fondazioni in cascata. Potremmo dire che Torino e' contemporaneamente la capitale del laicismo e del dirigismo socialista industriale.<br />Laboratorio della societa' liquida, della massima diffusione di coca (ma se si sfasciano le famiglie dove li trovano i soldi) del consumismo come dipendenza, dell'individualismo, del pensiero debole. La famiglia non e' piu' la risorsa che rafforza la solidarieta' e la cooperazione per vincere le difficolta' della vita, ma uno status-symbol che viene a pesare quando i soldi sono pochi. E <span style="font-weight: bold;">allora conviene mettere il marito alla porta.</span><br /><blockquote>«Può darsi che influiscano i connotati di città industriale, e i conflitti che si ripercuotono sulla coppia: i <span style="font-weight: bold;">ritmi della vita di una città come la nostra possono allontanare i coniugi</span>»</blockquote><blockquote><span style="font-weight: bold;">La gestione della prole, del resto, rappresenta uno dei maggiori motivi di scontro</span> tra coniugi che aspirano al titolo di ex. «Determinante è la sensibilità dei genitori per attutire al massimo gli attriti che possono compromettere la relazioni con i figli». Nella maggior parte dei casi si schierano accanto alla madre e riallacciare i contatti diventa un’impresa titanica.</blockquote><blockquote></blockquote><blockquote>Spesso proprio a causa della volontà delle <span style="font-weight: bold;">donne, artefici per «oltre l’80% della decisione di rompere il matrimonio».</span> Sono solitamente autonome, sia da un punto di vista economico sia affettivo.</blockquote>Ma come? Non era stata varata un anno fa la legge sull'affido condiviso, che sanciva in modo categorico il diritto del minore a mantenere rapporti equilibrati con ciascun genitore? Quella che sanciva il coinvolgimento diretto di ciascun genitore nei compiti di cura dei figli, richiamato a provvedere direttamente al loro mantenimento in proporzione al reddito? Con l'assegno perequativo nei casi di differenza trai redditi?<br /><br />Ricapitoliamo: <span style="font-weight: bold;">80% delle donne inizia la separazione.</span> <span style="font-weight: bold;">80% delle donne lavora. </span>Spesso a causa della <span style="font-weight: bold;">volonta' delle donne</span> i figli si schierano con la madre compromettendo le relazioni con il padre. Fattori catalizzanti sono le difficolta' economiche e il fatto che la donna lavori, con un matrimonio laico, provvisorio.<br /><br />Quello che l'articolo non dice affatto (ma chissa' poi perche'?) e' che la legge 54/06 sull'affidamento condiviso non viene applicata alla lettera, ma che i tribunali continuano a:<br />- mantenere la convivenza dei figli presso la madre (ecco perche' la relazione col padre si fotte)<br />- assegnare la casa familiare alla madre, invitando il padre a sloggiare entro 2 mesi<br />- imporre comunque un assegno che il padre dovra' pagare alla madre (per i figli)<br />Ma allora e' tutto come prima? Si chiama condiviso ma e' un affidamento esclusivo?<br />Ecco, esattamente, ma questo non viene neppure lontanamente accennato in due pagine emmezza di bujarda. Del resto gli intervistati sono il presidente dell'associazione degli avvocati divorzisti e la sociologa che era andata a scuola con Renato Curcio.<br /><br />Con l'integrazione dei fatti - che come dice Travaglio tendono sempre piu' a mancare nell'informazione istituzionale - potremmo azzardare qualche ipotesi sul trend dissolutivo della famiglia?<br />La famiglia si trova in difficolta' perche' il padre perde il lavoro o la madre si trova un altro amore?<br />Semplice no? Fai istanza di separazione e il marito lo mandi per prataiole.<br />Non ti rompe piu' le balle sull'educazione dei figli e hai l'assegno di mantenimento sicuro.<br />La casa si fa piu' abitabile e hai piu' posto per ospitare la zia, la mamma, la sorella, le amiche.<br />La casa era sua? Meglio ancora! Sai cosa costerebbe comprarsela con i mutui al giorno d'oggi?<br />Ma lui non ha lavoro, dove va a dormire? Ma vada a vendere il culo e scaricare cassette.<br />Eccerto che i figli vedendo cacciare il padre di casa, riterranno che il giudice avra' compreso che proprio uno stinco di santo non doveva essere. Andare da papa'? Ma se vive sotto i ponti. Che gli dico agli amici? Che ho un padre sfigato che non ha neppure il ferrarino per farsi l'amante come tutti i quarantenni fichi?<br /><br />Insomma, oggi fare famiglia e' come giocare alla roulette russa, mettersi un Bin Laden in casa.Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-11260122166598950942007-12-04T22:10:00.000+00:002007-12-04T22:10:41.785+00:00nella speranza siamo stati salvati<a href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html">Spe Salvi - Benedetto XVI</a><br /><br /><span style="font-weight: bold;">« </span><i style="font-weight: bold;">SPE SALVI facti sumus</i><span style="font-weight: bold;"> »</span><br />nella speranza siamo stati salvati, dice san Paolo ai Romani e anche a noi (<i>Rm </i>8,24).<br /><br />La « redenzione », la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che <span style="font-weight: bold;">ci è stata donata la speranza</span>, una speranza affidabile, in virtù della quale <span style="font-weight: bold;">noi possiamo affrontare il nostro presente</span>:<br /><br />il presente, <span style="font-weight: bold;">anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri</span>, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino. Ora, si impone immediatamente la domanda: ma di che genere è mai questa speranza per poter giustificare l'affermazione secondo cui a partire da essa, e semplicemente perché essa c'è, noi siamo redenti? E di quale tipo di certezza si tratta?<br /><br /><b><i>La fede è speranza<br /><br /></i></b>Prima di dedicarci a queste nostre domande, oggi particolarmente sentite, dobbiamo ascoltare ancora un po' più attentamente la testimonianza della Bibbia sulla speranza. « Speranza », di fatto, è una parola centrale della fede biblica – al punto che in diversi passi <span style="font-weight: bold;">le parole « fede » e « speranza » sembrano interscambiabili.</span><br /><br />Così la<i> Lettera agli Ebrei </i>lega strettamente alla « pienezza della fede » (10,22) la « immutabile professione della speranza » (10,23). Anche quando la <i>Prima Lettera di Pietro</i> esorta i cristiani ad essere sempre pronti a dare una risposta circa il<i> logos</i> – il senso e la ragione – della loro speranza (cfr 3,15), « speranza » è l'equivalente di « fede ». Quanto sia stato determinante per la consapevolezza dei primi cristiani l'aver ricevuto in dono una speranza affidabile, si manifesta anche là dove viene messa a confronto l'esistenza cristiana con la vita prima della fede o con la situazione dei seguaci di altre religioni. Paolo ricorda agli Efesini come, <span style="font-weight: bold;">prima del loro incontro con Cristo, fossero « senza speranza e senza Dio nel mondo »</span> (<i>Ef </i>2,12). Naturalmente egli sa che essi avevano avuto degli dèi, che avevano avuto una religione, ma i loro dèi si erano rivelati discutibili e dai loro miti contraddittori non emanava alcuna speranza. Nonostante gli dèi, essi erano « senza Dio » e conseguentemente si trovavano in un mondo buio, davanti a un futuro oscuro. « <i>In nihil ab nihilo quam cito recidimus</i> » (Nel nulla dal nulla quanto presto ricadiamo)[<a linkindex="1" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn1" name="_ftnref1" title="">1</a>] dice un epitaffio di quell'epoca – parole nelle quali appare senza mezzi termini ciò a cui Paolo accenna. Nello stesso senso egli dice ai Tessalonicesi: Voi non dovete « affliggervi come gli altri che non hanno speranza » (<i>1 Ts</i> 4,13). Anche qui compare come <span style="font-weight: bold;">elemento distintivo dei cristiani il fatto che essi hanno un futuro</span>: non è che sappiano nei particolari ciò che li attende, ma sanno nell'insieme che la loro vita non finisce nel vuoto. Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente. Così possiamo ora dire: il cristianesimo non era soltanto una « buona notizia » – una comunicazione di contenuti fino a quel momento ignoti. Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non era solo « informativo », ma « performativo ». Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. <span style="font-weight: bold;">Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova.</span> <p align="left">3. Ora, però, si impone la domanda: in che cosa consiste questa speranza che, come speranza, è « redenzione »? Bene: il nucleo della risposta è dato nel brano della <i>Lettera agli Efesini</i> citato poc'anzi: gli Efesini, prima dell'incontro con Cristo erano senza speranza, perché erano « senza Dio nel mondo ». Giungere a conoscere Dio – il vero Dio, questo significa ricevere speranza. Per noi che viviamo da sempre con il concetto cristiano di Dio e ci siamo assuefatti ad esso, il possesso della speranza, che proviene dall'incontro reale con questo Dio, quasi non è più percepibile. L'esempio di una santa del nostro tempo può in qualche misura aiutarci a capire che cosa significhi incontrare per la prima volta e realmente questo Dio. Penso all'africana Giuseppina Bakhita, canonizzata da Papa Giovanni Paolo II. Era nata nel 1869 circa – lei stessa non sapeva la data precisa – nel Darfur, in Sudan. All'età di nove anni fu rapita da trafficanti di schiavi, picchiata a sangue e venduta cinque volte sui mercati del Sudan. Da ultimo, come schiava si ritrovò al servizio della madre e della moglie di un generale e lì ogni giorno veniva fustigata fino al sangue; in conseguenza di ciò le rimasero per tutta la vita 144 cicatrici. Infine, nel 1882 fu comprata da un mercante italiano per il console italiano Callisto Legnani che, di fronte all'avanzata dei mahdisti, tornò in Italia. Qui, dopo « padroni » così terribili di cui fino a quel momento era stata proprietà, Bakhita venne a conoscere un « padrone » totalmente diverso – nel dialetto veneziano, che ora aveva imparato, chiamava « paron » il Dio vivente, il Dio di Gesù Cristo. Fino ad allora aveva conosciuto solo padroni che la disprezzavano e la maltrattavano o, nel caso migliore, la consideravano una schiava utile. Ora, però, sentiva dire che esiste un « paron » al di sopra di tutti i padroni, il Signore di tutti i signori, e che questo Signore è buono, la bontà in persona. Veniva a sapere che questo Signore conosceva anche lei, aveva creato anche lei – anzi che Egli la amava. Anche lei era amata, e proprio dal « Paron » supremo, davanti al quale tutti gli altri padroni sono essi stessi soltanto miseri servi. Lei era conosciuta e amata ed era attesa. Anzi, <span style="font-weight: bold;">questo Padrone aveva affrontato in prima persona il destino di essere picchiato e ora la aspettava « alla destra di Dio Padre ». Ora lei aveva « speranza » </span>– non più solo la piccola speranza di trovare padroni meno crudeli, ma la grande speranza: io <span style="font-weight: bold;">sono definitivamente amata e qualunque cosa accada – io sono attesa da questo Amore.</span> E così la mia vita è buona. Mediante la conoscenza di questa speranza lei era « redenta », non si sentiva più schiava, ma libera figlia di Dio. Capiva ciò che Paolo intendeva quando ricordava agli Efesini che prima erano senza speranza e senza Dio nel mondo – senza speranza perché senza Dio. Così, quando si volle riportarla nel Sudan, Bakhita si rifiutò; non era disposta a farsi di nuovo separare dal suo « Paron ». Il 9 gennaio 1890, fu battezzata e cresimata e ricevette la prima santa Comunione dalle mani del Patriarca di Venezia. L'8 dicembre 1896, a Verona, pronunciò i voti nella Congregazione delle suore Canossiane e da allora – accanto ai suoi lavori nella sagrestia e nella portineria del chiostro – cercò in vari viaggi in Italia soprattutto di sollecitare alla missione: la liberazione che aveva ricevuto mediante l'incontro con il Dio di Gesù Cristo, sentiva di doverla estendere, doveva essere donata anche ad altri, al maggior numero possibile di persone. La speranza, che era nata per lei e l'aveva « redenta », non poteva tenerla per sé; questa speranza doveva raggiungere molti, raggiungere tutti.</p> <p align="left"><b><i>Il concetto di speranza basata sulla fede nel Nuovo Testamento e nella Chiesa primitiva</i></b></p> <p align="left">4. Prima di affrontare la domanda se l'incontro con quel Dio che in Cristo ci ha mostrato il suo Volto e aperto il suo Cuore possa essere anche per noi non solo « informativo », ma anche « performativo », vale a dire se possa <span style="font-weight: bold;">trasformare la nostra vita così da farci sentire redenti mediante la speranza</span> che esso esprime, torniamo ancora alla Chiesa primitiva. Non è difficile rendersi conto che l'esperienza della piccola schiava africana Bakhita è stata anche l'esperienza di molte persone picchiate e condannate alla schiavitù nell'epoca del cristianesimo nascente. Il cristianesimo non aveva portato un messaggio sociale-rivoluzionario come quello con cui Spartaco, in lotte cruente, aveva fallito. Gesù non era Spartaco, non era un combattente per una liberazione politica, come Barabba o Bar-Kochba. Ciò che Gesù, Egli stesso morto in croce, aveva portato era qualcosa di totalmente diverso: l'incontro col Signore di tutti i signori, l'incontro con il Dio vivente e così l'incontro con <span style="font-weight: bold;">una speranza che era più forte delle sofferenze della schiavitù</span> e che per questo <span style="font-weight: bold;">trasformava dal di dentro la vita e il mondo.</span> Ciò che di nuovo era avvenuto appare con massima evidenza nella<i> Lettera</i> di san Paolo<i> a Filemone</i>. Si tratta di una lettera molto personale, che Paolo scrive nel carcere e affida allo schiavo fuggitivo Onesimo per il suo padrone – appunto Filemone. Sì, Paolo rimanda lo schiavo al suo padrone da cui era fuggito, e lo fa non ordinando, ma pregando: « Ti supplico per il mio figlio che ho generato in catene [...] Te l'ho rimandato, lui, il mio cuore [...] Forse per questo è stato separato da te per un momento, perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come un fratello carissimo » (<i>Fm </i>10-16). <span style="font-weight: bold;">Gli uomini che, secondo il loro stato civile, si rapportano tra loro come padroni e schiavi, in quanto membri dell'unica Chiesa sono diventati tra loro fratelli e sorelle</span> – così i cristiani si chiamavano a vicenda. In virtù del Battesimo erano stati rigenerati, si erano abbeverati dello stesso Spirito e ricevevano insieme, uno accanto all'altro, il Corpo del Signore. Anche se le strutture esterne rimanevano le stesse, questo cambiava la società dal di dentro. Se la <i>Lettera agli Ebrei</i> dice che i cristiani quaggiù non hanno una dimora stabile, ma cercano quella futura (cfr<i> Eb</i> 11,13-16; <i>Fil</i> 3,20), ciò è tutt'altro che un semplice rimandare ad una prospettiva futura: la società presente viene riconosciuta dai cristiani come una società impropria; essi appartengono a una società nuova, verso la quale si trovano in cammino e che, nel loro pellegrinaggio, viene anticipata.</p> <p align="left">5. Dobbiamo aggiungere ancora un altro punto di vista. La<i> Prima Lettera ai Corinzi </i>(1,18-31) ci mostra che una grande parte dei primi cristiani apparteneva ai ceti sociali bassi e, proprio per questo, era disponibile all'esperienza della nuova speranza, come l'abbiamo incontrata nell'esempio di Bakhita. Tuttavia fin dall'inizio c'erano anche conversioni nei ceti aristocratici e colti. Poiché proprio anche loro vivevano « senza speranza e senza Dio nel mondo ». Il mito aveva perso la sua credibilità; la religione di Stato romana si era sclerotizzata in semplice cerimoniale, che veniva eseguito scrupolosamente, ma ridotto ormai appunto solo ad una « religione politica ». <span style="font-weight: bold;">Il razionalismo filosofico aveva confinato gli dèi nel campo dell'irreale.</span> Il Divino veniva visto in vari modi nelle forze cosmiche, ma un Dio che si potesse pregare non esisteva. Paolo illustra la problematica essenziale della religione di allora in modo assolutamente appropriato, quando contrappone alla vita « secondo Cristo » una vita sotto la signoria degli « elementi del cosmo » (<i>Col</i> 2,8). In questa prospettiva un testo di san Gregorio Nazianzeno può essere illuminante. Egli dice che nel momento in cui i magi guidati dalla stella adorarono il nuovo re Cristo, giunse la fine dell'astrologia, perché ormai le stelle girano secondo l'orbita determinata da Cristo[<a linkindex="2" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn2" name="_ftnref2" title="">2</a>]. Di fatto, in questa scena è capovolta la concezione del mondo di allora che, in modo diverso, è nuovamente in auge anche oggi. Non sono gli elementi del cosmo, le leggi della materia che in definitiva governano il mondo e l'uomo, ma un Dio personale governa le stelle, cioè l'universo; non le leggi della materia e dell'evoluzione sono l'ultima istanza, ma ragione, volontà, amore – una Persona. E se conosciamo questa Persona e Lei conosce noi, allora veramente l'inesorabile potere degli elementi materiali non è più l'ultima istanza; allora non siamo schiavi dell'universo e delle sue leggi, allora siamo liberi. Una tale consapevolezza ha determinato nell'antichità gli spiriti schietti in ricerca. Il cielo non è vuoto. La vita non è un semplice prodotto delle leggi e della casualità della materia, ma in tutto e contemporaneamente al di sopra di tutto c'è una volontà personale, c'è uno Spirito che in Gesù si è rivelato come Amore[<a linkindex="3" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn3" name="_ftnref3" title="">3</a>].</p> <p align="left">6. I sarcofaghi degli inizi del cristianesimo illustrano visivamente questa concezione – al cospetto della morte, di fronte alla quale la questione circa il significato della vita si rende inevitabile. La figura di Cristo viene interpretata sugli antichi sarcofaghi soprattutto mediante due immagini: quella del filosofo e quella del pastore. Per filosofia allora, in genere, non si intendeva una difficile disciplina accademica, come essa si presenta oggi. Il filosofo era piuttosto colui che sapeva insegnare l'arte essenziale: l'arte di essere uomo in modo retto – <span style="font-weight: bold;">l'arte di vivere e di morire. </span>Certamente gli uomini già da tempo si erano resi conto che gran parte di coloro che andavano in giro come filosofi, come maestri di vita, erano soltanto dei ciarlatani che con le loro parole si procuravano denaro, mentre sulla vera vita non avevano niente da dire. Tanto più si cercava il vero filosofo che sapesse veramente indicare la via della vita. Verso la fine del terzo secolo incontriamo per la prima volta a Roma, sul sarcofago di un bambino, nel contesto della risurrezione di Lazzaro, la figura di Cristo come del vero filosofo che in una mano tiene il Vangelo e nell'altra il bastone da viandante, proprio del filosofo. Con questo suo bastone Egli vince la morte; il Vangelo porta la verità che i filosofi peregrinanti avevano cercato invano. In questa immagine, che poi per un lungo periodo permaneva nell'arte dei sarcofaghi, si rende evidente ciò che le persone colte come le semplici trovavano in Cristo: Egli ci dice chi in realtà è l'uomo e che cosa egli deve fare per essere veramente uomo. Egli ci indica la via e questa via è la verità. Egli stesso è tanto l'una quanto l'altra, e perciò è anche la vita della quale siamo tutti alla ricerca. Egli indica anche la via oltre la morte; solo chi è in grado di fare questo, è un vero maestro di vita. La stessa cosa si rende visibile nell'immagine del pastore. Come nella rappresentazione del filosofo, anche per la figura del pastore la Chiesa primitiva poteva riallacciarsi a modelli esistenti dell'arte romana. Lì il pastore era in genere espressione del sogno di una vita serena e semplice, di cui la gente nella confusione della grande città aveva nostalgia. Ora l'immagine veniva letta all'interno di uno scenario nuovo che le conferiva un contenuto più profondo: « <span style="font-weight: bold;">Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla ... Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me</span> ... » (<i>Sal</i> 23 [22], 1.4). Il vero pastore è Colui che conosce anche la via che passa per la valle della morte; Colui che anche sulla strada dell'ultima solitudine, nella quale nessuno può accompagnarmi, cammina con me guidandomi per attraversarla: Egli stesso ha percorso questa strada, è disceso nel regno della morte, l'ha vinta ed è tornato per accompagnare noi ora e darci la certezza che, insieme con Lui, un passaggio lo si trova. La consapevolezza che esiste Colui che anche nella morte mi accompagna e con il suo « bastone e il suo vincastro mi dà sicurezza », cosicché « <span style="font-weight: bold;">non devo temere alcun male</span> » (cfr<i> Sal </i>23 [22],4) – era questa la nuova « speranza » che sorgeva sopra la vita dei credenti.</p> <p align="left">7. Dobbiamo ancora una volta tornare al Nuovo Testamento. Nell'undicesimo capitolo della <i>Lettera agli Ebrei</i> (v.1) si trova una sorta di definizione della fede che intreccia strettamente questa virtù con la speranza. Intorno alla parola centrale di questa frase si è creata fin dalla Riforma una disputa tra gli esegeti, nella quale sembra riaprirsi oggi la via per una interpretazione comune. Per il momento lascio questa parola centrale non tradotta. La frase dunque suona così: « La fede è<i> hypostasis</i> delle cose che si sperano; prova delle cose che non si vedono ». Per i Padri e per i teologi del Medioevo era chiaro che la parola greca <i>hypostasis </i>era da tradurre in latino con il termine <i>substantia</i>. La traduzione latina del testo, nata nella Chiesa antica, dice quindi: « <i>Est autem fides sperandarum substantia rerum, argumentum non apparentium</i> » – la fede è la « sostanza » delle cose che si sperano; la prova delle cose che non si vedono. Tommaso d'Aquino[<a linkindex="4" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn4" name="_ftnref4" title="">4</a>], utilizzando la terminologia della tradizione filosofica nella quale si trova, spiega questo così: <span style="font-weight: bold;">la fede è un « </span><i style="font-weight: bold;">habitus</i><span style="font-weight: bold;"> », cioè una costante disposizione dell'animo</span>, grazie a cui la vita eterna prende inizio in noi e la ragione è portata a consentire a ciò che essa non vede. Il concetto di « sostanza » è quindi modificato nel senso che per la fede, in modo iniziale, potremmo dire « in germe » – quindi secondo la « sostanza » –<span style="font-weight: bold;"> sono già presenti in noi le cose che si sperano</span>: il tutto, la vita vera. E proprio perché la cosa stessa è già presente, questa presenza di ciò che verrà crea anche certezza: questa « cosa » che deve venire non è ancora visibile nel mondo esterno (non « appare »), ma a causa del fatto che, <span style="font-weight: bold;">come realtà iniziale e dinamica, la portiamo dentro di noi</span>, nasce già ora una qualche percezione di essa. A Lutero, al quale la <i>Lettera agli Ebrei</i> non era in se stessa molto simpatica, il concetto di « sostanza », nel contesto della sua visione della fede, non diceva niente. Per questo intese il termine <i>ipostasi/sostanza</i> non nel senso oggettivo (di realtà presente in noi), ma in quello soggettivo, come espressione di un atteggiamento interiore e, di conseguenza, dovette naturalmente comprendere anche il termine<i> argumentum </i>come una disposizione del soggetto. Questa interpretazione nel XX secolo si è affermata – almeno in Germania – anche nell'esegesi cattolica, cosicché la traduzione ecumenica in lingua tedesca del Nuovo Testamento, approvata dai Vescovi, dice: «<i> Glaube aber ist: Feststehen in dem, was man erhofft, Überzeugtsein von dem, was man nicht sieht</i> » (fede è: stare saldi in ciò che si spera, essere convinti di ciò che non si vede). Questo in se stesso non è erroneo; non è però il senso del testo, perché il termine greco usato (<i>elenchos</i>) non ha il valore soggettivo di « convinzione », ma quello oggettivo di « prova ». Giustamente pertanto la recente esegesi protestante ha raggiunto una convinzione diversa: « Ora però non può più essere messo in dubbio che questa interpretazione protestante, divenuta classica, è insostenibile »[<a linkindex="5" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn5" name="_ftnref5" title="">5</a>]. La fede non è soltanto un personale protendersi verso le cose che devono venire ma sono ancora totalmente assenti; essa ci dà qualcosa. Ci dà già ora qualcosa della realtà attesa, e questa realtà presente costituisce per noi una « prova » delle cose che ancora non si vedono. Essa attira dentro il presente il futuro, così che quest'ultimo non è più il puro « non-ancora ». <span style="font-weight: bold;">Il fatto che questo futuro esista, cambia il presente; il presente viene toccato dalla realtà futura, e così le cose future si riversano in quelle presenti e le presenti in quelle future.</span></p> <p align="left">8. Questa spiegazione viene ulteriormente rafforzata e rapportata alla vita concreta, se consideriamo il versetto 34 del decimo capitolo della<i> Lettera agli Ebrei</i> che, sotto l'aspetto linguistico e contenutistico, è collegato con questa definizione di una fede permeata di speranza e la prepara. Qui l'autore parla ai credenti che hanno subito l'esperienza della persecuzione e dice loro: « <span style="font-weight: bold;">Avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di essere spogliati delle vostre sostanze</span> (<i>hyparchonton</i> – Vg:<i> bonorum</i>), <span style="font-weight: bold;">sapendo di possedere beni migliori</span> (<i>hyparxin</i> – Vg: <i> substantiam</i>) e più duraturi ».<i> Hyparchonta</i> sono le proprietà, ciò che nella vita terrena costituisce il sostentamento, appunto la base, la « sostanza » per la vita sulla quale si conta. Questa « sostanza », la normale sicurezza per la vita, è stata tolta ai cristiani nel corso della persecuzione. L'hanno sopportato, perché comunque <span style="font-weight: bold;">ritenevano questa sostanza materiale trascurabile. Potevano abbandonarla, perché avevano trovato una « base » migliore per la loro esistenza – una base che rimane e che nessuno può togliere.</span> Non si può non vedere il collegamento che intercorre tra queste due specie di « sostanza », tra sostentamento o base materiale e l'affermazione della fede come « base », come « sostanza » che permane. La fede conferisce alla vita una nuova base, un nuovo fondamento sul quale l'uomo può poggiare e con ciò il fondamento abituale, l'affidabilità del reddito materiale, appunto, si relativizza. Si crea una nuova libertà di fronte a questo fondamento della vita che solo apparentemente è in grado di sostentare, anche se il suo significato normale non è con ciò certamente negato. Questa nuova libertà, la consapevolezza della nuova « sostanza » che ci è stata donata, si è rivelata non solo nel martirio, in cui le persone si sono opposte allo strapotere dell'ideologia e dei suoi organi politici, e, mediante la loro morte, hanno rinnovato il mondo. Essa si è mostrata soprattutto nelle grandi rinunce a partire dai monaci dell'antichità fino a Francesco d'Assisi e alle persone del nostro tempo che, nei moderni Istituti e Movimenti religiosi, per amore di Cristo hanno lasciato tutto per portare agli uomini la fede e l'amore di Cristo, per aiutare le persone sofferenti nel corpo e nell'anima. Lì la nuova « sostanza » si è comprovata realmente come « sostanza », <span style="font-weight: bold;">dalla speranza di queste persone toccate da Cristo è scaturita speranza per altri che vivevano nel buio e senza speranza.</span> Lì si è dimostrato che questa nuova vita possiede veramente « sostanza » ed è una « sostanza » che suscita vita per gli altri. Per noi che guardiamo queste figure, questo loro agire e vivere è di fatto una « prova » che le cose future, <span style="font-weight: bold;">la promessa di Cristo non è soltanto una realtà attesa, ma una vera presenza</span>: Egli è veramente il « filosofo » e il « pastore » che ci indica che cosa è e dove sta la vita.</p> <p align="left">9. Per comprendere più nel profondo questa riflessione sulle due specie di sostanze – <i>hypostasis </i>e<i> hyparchonta </i>– e sui due modi di vita espressi con esse, dobbiamo riflettere ancora brevemente su due parole attinenti l'argomento, che si trovano nel decimo capitolo della<i> Lettera agli Ebrei</i>. Si tratta delle parole <i>hypomone </i>(10,36) e<i> hypostole</i> (10,39). <i> Hypomone</i> si traduce normalmente con « <span style="font-weight: bold;">pazienza </span>» – <span style="font-weight: bold;">perseveranza</span>, <span style="font-weight: bold;">costanza</span>. Questo <span style="font-weight: bold;">saper aspettare sopportando pazientemente</span> le prove è necessario al credente per poter « ottenere le cose promesse » (cfr 10,36). Nella religiosità dell'antico giudaismo questa parola veniva usata espressamente per l'attesa di Dio caratteristica di Israele: per questo perseverare nella fedeltà a Dio, sulla base della certezza dell'Alleanza, in un mondo che contraddice Dio. Così la parola indica una speranza vissuta, una vita basata sulla certezza della speranza. Nel Nuovo Testamento questa attesa di Dio, questo stare dalla parte di Dio assume un nuovo significato: in Cristo Dio si è mostrato. Ci ha ormai comunicato la « sostanza » delle cose future, e così l'attesa di Dio ottiene una nuova certezza. È attesa delle cose future a partire da un presente già donato. È attesa, alla presenza di Cristo, col Cristo presente, del completarsi del suo Corpo, in vista della sua venuta definitiva. Con <i>hypostole</i> invece è espresso il sottrarsi di chi non osa dire apertamente e con franchezza la verità forse pericolosa. Questo nascondersi davanti agli uomini per spirito di timore nei loro confronti conduce alla « perdizione » (<i>Eb</i> 10,39). « Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza » – così invece la<i> Seconda Lettera a Timoteo</i> (1,7) caratterizza con una bella espressione l'atteggiamento di fondo del cristiano.</p> <p align="left"><b><i>La vita eterna – che cos'è?</i></b></p> <p align="left">10. Abbiamo finora parlato della fede e della speranza nel Nuovo Testamento e agli inizi del cristianesimo; è stato però anche sempre evidente che non discorriamo solo del passato; l'intera riflessione interessa il vivere e morire dell'uomo in genere e quindi interessa anche noi qui ed ora. Tuttavia dobbiamo adesso domandarci esplicitamente: <span style="font-weight: bold;">la fede cristiana è anche per noi oggi una speranza che trasforma e sorregge la nostra vita?</span> È essa per noi « performativa » – un messaggio che plasma in modo nuovo la vita stessa, o è ormai soltanto « informazione » che, nel frattempo, abbiamo accantonata e che ci sembra superata da informazioni più recenti? Nella ricerca di una risposta vorrei partire dalla forma classica del dialogo con cui il rito del Battesimo esprimeva l'accoglienza del neonato nella comunità dei credenti e la sua rinascita in Cristo. Il sacerdote chiedeva innanzitutto quale nome i genitori avevano scelto per il bambino, e continuava poi con la domanda: « Che cosa chiedi alla Chiesa? » Risposta: « La fede ». « E che cosa ti dona la fede? » « La vita eterna ». Stando a questo dialogo, i genitori cercavano per il bambino l'accesso alla fede, la comunione con i credenti, perché vedevano nella fede la chiave per « la vita eterna ». Di fatto, oggi come ieri, di questo si tratta nel Battesimo, quando si diventa cristiani: non soltanto di un atto di socializzazione entro la comunità, non semplicemente di accoglienza nella Chiesa. I genitori si aspettano di più per il battezzando: si aspettano che la fede, di cui è parte la corporeità della Chiesa e dei suoi sacramenti, gli doni la vita – la vita eterna. Fede è sostanza della speranza. Ma allora sorge la domanda: Vogliamo noi davvero questo – vivere eternamente? Forse oggi molte persone rifiutano la fede semplicemente perché la vita eterna non sembra loro una cosa desiderabile. Non vogliono affatto la vita eterna, ma quella presente, e la fede nella vita eterna sembra, per questo scopo, piuttosto un ostacolo. Continuare a vivere in eterno – senza fine – appare più una condanna che un dono. La morte, certamente, si vorrebbe rimandare il più possibile. Ma vivere sempre, senza un termine – questo, tutto sommato, può essere solo noioso e alla fine insopportabile. È precisamente questo che, per esempio, dice il Padre della Chiesa Ambrogio nel discorso funebre per il fratello defunto Satiro: « È vero che la morte non faceva parte della natura, ma fu resa realtà di natura; infatti Dio da principio non stabilì la morte, ma la diede quale rimedio [...] A causa della trasgressione, la vita degli uomini cominciò ad essere miserevole nella fatica quotidiana e nel pianto insopportabile. Doveva essere posto un termine al male, affinché la morte restituisse ciò che la vita aveva perduto. L'immortalità è un peso piuttosto che un vantaggio, se non la illumina la grazia »[<a linkindex="6" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn6" name="_ftnref6" title="">6</a>]. Già prima Ambrogio aveva detto: « Non dev'essere pianta la morte, perché è causa di salvezza... »[<a linkindex="7" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn7" name="_ftnref7" title="">7</a>].</p> <p align="left">11. Qualunque cosa sant'Ambrogio intendesse dire precisamente con queste parole – è vero che l'eliminazione della morte o anche il suo rimando quasi illimitato metterebbe la terra e l'umanità in una condizione impossibile e non renderebbe neanche al singolo stesso un beneficio. Ovviamente c'è una contraddizione nel nostro atteggiamento, che rimanda ad una contraddittorietà interiore della nostra stessa esistenza. Da una parte, non vogliamo morire; soprattutto chi ci ama non vuole che moriamo. Dall'altra, tuttavia, non desideriamo neppure di continuare ad esistere illimitatamente e anche la terra non è stata creata con questa prospettiva. Allora, che cosa vogliamo veramente? Questo paradosso del nostro stesso atteggiamento suscita una domanda più profonda: che cosa è, in realtà, la « vita »? E che cosa significa veramente « eternità »? Ci sono dei momenti in cui percepiamo all'improvviso: sì, sarebbe propriamente questo – la « vita » vera – così essa dovrebbe essere. A confronto, ciò che nella quotidianità chiamiamo « vita », in verità non lo è. Agostino, nella sua ampia lettera sulla preghiera indirizzata a Proba, una vedova romana benestante e madre di tre consoli, scrisse una volta: <span style="font-weight: bold;">In fondo vogliamo una sola cosa – « la vita beata »</span>, la vita che è semplicemente vita, semplicemente « <span style="font-weight: bold;">felicità </span>». Non c'è, in fin dei conti, altro che chiediamo nella preghiera. Verso nient'altro ci siamo incamminati – di questo solo si tratta. Ma poi Agostino dice anche: guardando meglio, non sappiamo affatto che cosa in fondo desideriamo, che cosa vorremmo propriamente. Non conosciamo per nulla questa realtà; anche in quei momenti in cui pensiamo di toccarla non la raggiungiamo veramente. « <span style="font-weight: bold;">Non sappiamo che cosa sia conveniente domandare</span> », egli confessa con una parola di san Paolo (<i>Rm</i> 8,26). Ciò che sappiamo è solo che non è questo. Tuttavia, nel non sapere sappiamo che questa realtà deve esistere. « C'è dunque in noi una, per così dire, dotta ignoranza » (<i>docta ignorantia</i>), egli scrive. Non sappiamo che cosa vorremmo veramente; non conosciamo questa « vera vita »; e tuttavia sappiamo, che deve esistere un qualcosa che noi non conosciamo e verso il quale ci sentiamo spinti[<a linkindex="8" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn8" name="_ftnref8" title="">8</a>].</p> <p align="left">12. Penso che Agostino descriva lì in modo molto preciso e sempre valido la situazione essenziale dell'uomo, la situazione da cui provengono tutte le sue contraddizioni e le sue speranze. Desideriamo in qualche modo la vita stessa, quella vera, che non venga poi toccata neppure dalla morte; ma allo stesso tempo <span style="font-weight: bold;">non conosciamo ciò verso cui ci sentiamo spinti.</span> Non possiamo cessare di protenderci verso di esso e tuttavia sappiamo che<span style="font-weight: bold;"> tutto ciò che possiamo sperimentare o realizzare non è ciò che bramiamo.</span> Questa « cosa » ignota è la vera « speranza » che ci spinge e il suo essere ignota è, al contempo, la <span style="font-weight: bold;">causa di tutte le disperazioni come pure di tutti gli slanci positivi o distruttivi</span> verso il mondo autentico e l'autentico uomo. La parola « vita eterna » cerca di dare un nome a questa sconosciuta realtà conosciuta. Necessariamente è una parola insufficiente che crea confusione. « Eterno », infatti, suscita in noi l'idea dell'interminabile, e questo ci fa paura; « vita » ci fa pensare alla vita da noi conosciuta, che amiamo e non vogliamo perdere e che, tuttavia, è spesso allo stesso tempo più fatica che appagamento, cosicché mentre per un verso la desideriamo, per l'altro non la vogliamo. Possiamo soltanto cercare di uscire col nostro pensiero dalla temporalità della quale siamo prigionieri e in qualche modo presagire che <span style="font-weight: bold;">l'eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità.</span> Sarebbe <span style="font-weight: bold;">il momento dell'immergersi nell'oceano dell'infinito amore</span>, nel quale il tempo – <span style="font-weight: bold;">il prima e il dopo – non esiste più.</span> Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo <span style="font-weight: bold;">immergersi nella vastità dell'essere</span>, mentre siamo <span style="font-weight: bold;">semplicemente sopraffatti dalla gioia.</span> Così lo esprime Gesù nel Vangelo di Giovanni: « Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia » (16,22). Dobbiamo pensare in questa direzione, se vogliamo capire a che cosa mira la speranza cristiana, che cosa aspettiamo dalla fede, dal nostro essere con Cristo[<a linkindex="9" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn9" name="_ftnref9" title="">9</a>].</p> <p align="left"><b><i>La speranza cristiana è individualistica?</i></b></p> <p align="left">13. Nel corso della loro storia, i cristiani hanno cercato di tradurre questo sapere che non sa in figure rappresentabili, sviluppando immagini del « cielo » che restano sempre lontane da ciò che, appunto, conosciamo solo negativamente, mediante una non-conoscenza. Tutti questi tentativi di raffigurazione della speranza hanno dato a molti, nel corso dei secoli, lo slancio di vivere in base alla fede e di abbandonare per questo anche i loro « <i>hyparchonta</i> », le sostanze materiali per la loro esistenza. L'autore della<i> Lettera agli Ebrei</i>, nell'undicesimo capitolo ha tracciato una specie di storia di coloro che vivono nella speranza e del loro essere in cammino, una storia che da Abele giunge fino all'epoca sua. Di questo tipo di speranza si è accesa nel tempo moderno una critica sempre più dura: si tratterebbe di puro individualismo, che avrebbe abbandonato il mondo alla sua miseria e si sarebbe rifugiato in una salvezza eterna soltanto privata. Henri de Lubac, nell'introduzione alla sua opera fondamentale « <i>Catholicisme. Aspects sociaux du dogme</i> », ha raccolto alcune voci caratteristiche di questo genere di cui una merita di essere citata: « Ho trovato la gioia? No ... Ho trovato la mia gioia. E ciò è una cosa terribilmente diversa ... La gioia di Gesù può essere individuale. Può appartenere ad una sola persona, ed essa è salva. È nella pace..., per ora e per sempre, ma lei sola. Questa solitudine nella gioia non la turba. Al contrario: lei è, appunto, l'eletta! Nella sua beatitudine attraversa le battaglie con una rosa in mano »[<a linkindex="10" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn10" name="_ftnref10" title="">10</a>].</p> <p align="left">14. Rispetto a ciò, de Lubac, sulla base della teologia dei Padri in tutta la sua vastità, ha potuto mostrare che <span style="font-weight: bold;">la salvezza è stata sempre considerata come una realtà comunitaria.</span> La stessa <i>Lettera agli Ebrei</i> parla di una « città » (cfr 11,10.16; 12,22; 13,14) e quindi di una salvezza comunitaria. Coerentemente,<span style="font-weight: bold;"> il peccato viene compreso dai Padri come distruzione dell'unità del genere umano</span>, come frazionamento e divisione. Babele, il luogo della confusione delle lingue e della separazione, si rivela come espressione di ciò che in radice è il peccato. E così <span style="font-weight: bold;">la « redenzione » appare proprio come il ristabilimento dell'unità</span>, in cui ci ritroviamo di nuovo insieme in un'unione che si delinea nella comunità mondiale dei credenti. Non è necessario che ci occupiamo qui di tutti i testi, in cui appare il carattere comunitario della speranza. Rimaniamo con la <i>Lettera a Proba</i> in cui Agostino tenta di illustrare un po' questa sconosciuta conosciuta realtà di cui siamo alla ricerca. Lo spunto da cui parte è semplicemente l'espressione « vita beata [felice] ». Poi cita il <i>Salmo</i> 144 [143],15: « Beato il popolo il cui Dio è il Signore ». E continua: « Per poter appartenere a questo popolo e giungere [...] alla vita perenne con Dio, “il fine del precetto è l'amore che viene da un cuore puro, da una coscienza buona e da una fede sincera” (<i>1 Tim </i>1,5) »[<a linkindex="11" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn11" name="_ftnref11" title="">11</a>]. Questa vita vera, verso la quale sempre cerchiamo di protenderci, è legata all'<span style="font-weight: bold;">essere nell'unione esistenziale con un « popolo » e può realizzarsi per ogni singolo solo all'interno di questo « noi »</span>. Essa presuppone, appunto, <span style="font-weight: bold;">l'esodo dalla prigionia del proprio « io »</span>, perché solo nell'apertura di questo soggetto universale si apre anche lo sguardo sulla fonte della gioia, sull'amore stesso – su Dio.</p> <p align="left">15. Questa visione della « vita beata » orientata verso la comunità ha di mira, sì, qualcosa al di là del mondo presente, ma proprio così ha a che fare anche con la edificazione del mondo – in forme molto diverse, secondo il contesto storico e le possibilità da esso offerte o escluse. Al tempo di Agostino, quando l'irruzione dei nuovi popoli minacciava la coesione del mondo, nella quale era data una certa garanzia di diritto e di vita in una comunità giuridica, si trattava di fortificare i fondamenti veramente portanti di questa comunità di vita e di pace, per poter sopravvivere nel mutamento del mondo. Cerchiamo di gettare, piuttosto a caso, uno sguardo su un momento del medioevo sotto certi aspetti emblematico. Nella coscienza comune, i monasteri apparivano come i luoghi della fuga dal mondo («<i> contemptus mundi</i> ») e del sottrarsi alla responsabilità per il mondo nella ricerca della salvezza privata. Bernardo di Chiaravalle, che con il suo Ordine riformato portò una moltitudine di giovani nei monasteri, aveva su questo una visione ben diversa. Secondo lui, i monaci hanno un compito per tutta la Chiesa e di conseguenza anche per il mondo. Con molte immagini egli illustra la responsabilità dei monaci per l'intero organismo della Chiesa, anzi, per l'umanità; a loro egli applica la parola dello Pseudo-Rufino: « <span style="font-weight: bold;">Il genere umano vive grazie a pochi</span>; se non ci fossero quelli, il mondo perirebbe... »[<a linkindex="12" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn12" name="_ftnref12" title="">12</a>]. I contemplativi – <i>contemplantes</i> – devono diventare lavoratori agricoli – <i>laborantes</i> –, ci dice. La nobiltà del lavoro, che il cristianesimo ha ereditato dal giudaismo, era emersa già nelle regole monastiche di Agostino e di Benedetto. Bernardo riprende nuovamente questo concetto. I giovani nobili che affluivano ai suoi monasteri dovevano piegarsi al lavoro manuale. Per la verità, Bernardo dice esplicitamente che neppure il monastero può ripristinare il Paradiso; sostiene però che esso deve, quasi luogo di dissodamento pratico e spirituale, preparare il nuovo Paradiso. Un appezzamento selvatico di bosco vien reso fertile – proprio mentre vengono allo stesso tempo abbattuti gli alberi della superbia, estirpato ciò che di selvatico cresce nelle anime e preparato così il terreno, sul quale può prosperare pane per il corpo e per l'anima[<a linkindex="13" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn13" name="_ftnref13" title="">13</a>]. Non ci è dato forse di costatare nuovamente, proprio di fronte alla storia attuale, che nessuna positiva strutturazione del mondo può riuscire là dove le anime inselvatichiscono?</p> <p align="left"><b><i>La trasformazione della fede-speranza cristiana nel tempo moderno</i></b></p> <p align="left">16. Come ha potuto svilupparsi l'idea che il messaggio di Gesù sia strettamente individualistico e miri solo al singolo? Come si è arrivati a interpretare la « salvezza dell'anima » come fuga davanti alla responsabilità per l'insieme, e a considerare di conseguenza il programma del cristianesimo come ricerca egoistica della salvezza che si rifiuta al servizio degli altri? Per trovare una risposta all'interrogativo dobbiamo gettare uno sguardo sulle componenti fondamentali del tempo moderno. Esse appaiono con particolare chiarezza in Francesco Bacone. Che un'epoca nuova sia sorta – grazie alla scoperta dell'America e alle nuove conquiste tecniche che hanno consentito questo sviluppo – è cosa indiscutibile. Su che cosa, però, si basa questa svolta epocale? È la nuova correlazione di esperimento e metodo che mette l'uomo in grado di arrivare ad un'interpretazione della natura conforme alle sue leggi e di conseguire così finalmente « la vittoria dell'arte sulla natura » (<i>victoria cursus artis super naturam</i>)[<a linkindex="14" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn14" name="_ftnref14" title="">14</a>]. La novità – secondo la visione di Bacone – sta in una nuova correlazione tra scienza e prassi. Ciò viene poi applicato anche teologicamente: questa nuova correlazione tra scienza e prassi significherebbe che il dominio sulla creazione, dato all'uomo da Dio e perso nel peccato originale, verrebbe ristabilito[<a linkindex="15" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn15" name="_ftnref15" title="">15</a>].</p> <p align="left">17. Chi legge queste affermazioni e vi riflette con attenzione, vi riconosce un passaggio sconcertante: fino a quel momento il ricupero di ciò che l'uomo nella cacciata dal paradiso terrestre aveva perso si attendeva dalla fede in Gesù Cristo, e in questo si vedeva la « redenzione ». Ora questa « redenzione », la restaurazione del « paradiso » perduto, non si attende più dalla fede, ma dal collegamento appena scoperto tra scienza e prassi. Non è che la fede, con ciò, venga semplicemente negata; essa viene piuttosto spostata su un altro livello – quello delle cose solamente private ed ultraterrene – e allo stesso tempo diventa in qualche modo irrilevante per il mondo. Questa visione programmatica ha determinato il cammino dei tempi moderni e influenza pure l'attuale crisi della fede che, nel concreto, è soprattutto una crisi della speranza cristiana. Così anche la speranza, in Bacone, riceve una nuova forma. Ora si chiama: fede nel progresso. Per Bacone, infatti, è chiaro che le scoperte e le invenzioni appena avviate sono solo un inizio; che grazie alla sinergia di scienza e prassi seguiranno scoperte totalmente nuove, emergerà un mondo totalmente nuovo, il regno dell'uomo[<a linkindex="16" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn16" name="_ftnref16" title="">16</a>]. Così egli ha presentato anche una visione delle invenzioni prevedibili – fino all'aereo e al sommergibile. Durante l'ulteriore sviluppo dell'ideologia del progresso, la gioia per gli avanzamenti visibili delle potenzialità umane rimane una costante conferma della fede nel progresso come tale.</p> <p align="left">18. Al contempo, due categorie entrano sempre più al centro dell'idea di progresso: ragione e libertà. Il progresso è soprattutto un progresso nel crescente dominio della ragione e questa ragione viene considerata ovviamente un potere del bene e per il bene. Il progresso è il superamento di tutte le dipendenze – è progresso verso la libertà perfetta. Anche la libertà viene vista solo come promessa, nella quale l'uomo si realizza verso la sua pienezza. In ambedue i concetti – libertà e ragione – è presente un aspetto politico. Il regno della ragione, infatti, è atteso come la nuova condizione dell'umanità diventata totalmente libera. Le condizioni politiche di un tale regno della ragione e della libertà, tuttavia, in un primo momento appaiono poco definite. Ragione e libertà sembrano garantire da sé, in virtù della loro intrinseca bontà, una nuova comunità umana perfetta. In ambedue i concetti-chiave di « ragione » e « libertà », però, il pensiero tacitamente va sempre anche al contrasto con i vincoli della fede e della Chiesa, come pure con i vincoli degli ordinamenti statali di allora. Ambedue i concetti portano quindi in sé un potenziale rivoluzionario di un'enorme forza esplosiva.</p> <p align="left">19. Dobbiamo brevemente gettare uno sguardo sulle due tappe essenziali della concretizzazione politica di questa speranza, perché sono di grande importanza per il cammino della speranza cristiana, per la sua comprensione e per la sua persistenza. C'è innanzitutto la Rivoluzione francese come tentativo di instaurare il dominio della ragione e della libertà ora anche in modo politicamente reale. L'Europa dell'Illuminismo, in un primo momento, ha guardato affascinata a questi avvenimenti, ma di fronte ai loro sviluppi ha poi dovuto riflettere in modo nuovo su ragione e libertà. Significativi per le due fasi della ricezione di ciò che era avvenuto in Francia sono due scritti di Immanuel Kant, in cui egli riflette sugli eventi. Nel 1792 scrive l'opera: « <i>Der Sieg des guten Prinzips über das böse und die Gründung eines Reichs Gottes auf Erden</i> » (La vittoria del principio buono su quello cattivo e la costituzione di un regno di Dio sulla terra). In essa egli dice: « Il passaggio graduale dalla fede ecclesiastica al dominio esclusivo della pura fede religiosa costituisce l'avvicinamento del regno di Dio »[<a linkindex="17" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn17" name="_ftnref17" title="">17</a>]. Ci dice anche che le rivoluzioni possono accelerare i tempi di questo passaggio dalla fede ecclesiastica alla fede razionale. Il « regno di Dio », di cui Gesù aveva parlato ha qui ricevuto una nuova definizione e assunto anche una nuova presenza; esiste, per così dire, una nuova « attesa immediata »: il « regno di Dio » arriva là dove la « fede ecclesiastica » viene superata e rimpiazzata dalla « fede religiosa », vale a dire dalla semplice fede razionale. Nel 1795, nello scritto « <i>Das Ende aller Dinge</i> » (La fine di tutte le cose) appare un'immagine mutata. Ora Kant prende in considerazione la possibilità che, accanto alla fine naturale di tutte le cose, se ne verifichi anche una contro natura, perversa. Scrive al riguardo: « Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore [...] allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un'opposizione contro di esso; e l'anticristo [...] inaugurerebbe il suo, pur breve, regime (fondato presumibilmente sulla paura e sull'egoismo). In seguito, però, poiché il cristianesimo, pur essendo stato destinato ad essere la religione universale, di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo, potrebbe verificarsi, sotto l'aspetto morale, la fine (perversa) di tutte le cose »[<a linkindex="18" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn18" name="_ftnref18" title="">18</a>].</p> <p align="left">20. L'Ottocento non venne meno alla sua fede nel progresso come nuova forma della speranza umana e continuò a considerare ragione e libertà come le stelle-guida da seguire sul cammino della speranza. L'avanzare sempre più veloce dello sviluppo tecnico e l'industrializzazione con esso collegata crearono, tuttavia, ben presto una situazione sociale del tutto nuova: si formò la classe dei lavoratori dell'industria e il cosiddetto « proletariato industriale », le cui terribili condizioni di vita Friedrich Engels nel 1845 illustrò in modo sconvolgente. Per il lettore doveva essere chiaro: questo non può continuare; è necessario un cambiamento. Ma il cambiamento avrebbe scosso e rovesciato l'intera struttura della società borghese. Dopo la rivoluzione borghese del 1789 era arrivata l'ora per una nuova rivoluzione, quella proletaria: il progresso non poteva semplicemente avanzare in modo lineare a piccoli passi. Ci voleva il salto rivoluzionario. Karl Marx raccolse questo richiamo del momento e, con vigore di linguaggio e di pensiero, cercò di avviare questo nuovo passo grande e, come riteneva, definitivo della storia verso la salvezza – verso quello che Kant aveva qualificato come il « regno di Dio ». Essendosi dileguata la verità dell'aldilà, si sarebbe ormai trattato di stabilire la verità dell'aldiquà. La critica del cielo si trasforma nella critica della terra, la critica della teologia nella critica della politica. Il progresso verso il meglio, verso il mondo definitivamente buono, non viene più semplicemente dalla scienza, ma dalla politica – da una politica pensata scientificamente, che sa riconoscere la struttura della storia e della società ed indica così la strada verso la rivoluzione, verso il cambiamento di tutte le cose. Con puntuale precisione, anche se in modo unilateralmente parziale, Marx ha descritto la situazione del suo tempo ed illustrato con grande capacità analitica le vie verso la rivoluzione – non solo teoricamente: con il partito comunista, nato dal manifesto comunista del 1848, l'ha anche concretamente avviata. La sua promessa, grazie all'acutezza delle analisi e alla chiara indicazione degli strumenti per il cambiamento radicale, ha affascinato ed affascina tuttora sempre di nuovo. La rivoluzione poi si è anche verificata nel modo più radicale in Russia.</p> <p align="left">21. Ma con la sua vittoria si è reso evidente anche l'errore fondamentale di Marx. Egli ha indicato con esattezza come realizzare il rovesciamento. Ma non ci ha detto come le cose avrebbero dovuto procedere dopo. Egli supponeva semplicemente che con l'espropriazione della classe dominante, con la caduta del potere politico e con la socializzazione dei mezzi di produzione si sarebbe realizzata la Nuova Gerusalemme. Allora, infatti, sarebbero state annullate tutte le contraddizioni, l'uomo e il mondo avrebbero visto finalmente chiaro in se stessi. Allora tutto avrebbe potuto procedere da sé sulla retta via, perché tutto sarebbe appartenuto a tutti e tutti avrebbero voluto il meglio l'uno per l'altro. Così, dopo la rivoluzione riuscita, Lenin dovette accorgersi che negli scritti del maestro non si trovava nessun'indicazione sul come procedere. Sì, egli aveva parlato della fase intermedia della dittatura del proletariato come di una necessità che, però, in un secondo tempo da sé si sarebbe dimostrata caduca. Questa « fase intermedia » la conosciamo benissimo e sappiamo anche come si sia poi sviluppata, non portando alla luce il mondo sano, ma lasciando dietro di sé una distruzione desolante. Marx non ha solo mancato di ideare gli ordinamenti necessari per il nuovo mondo – di questi, infatti, non doveva più esserci bisogno. Che egli di ciò non dica nulla, è logica conseguenza della sua impostazione. Il suo errore sta più in profondità. Egli ha dimenticato che l'uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l'uomo e ha dimenticato la sua libertà. Ha dimenticato che la libertà rimane sempre libertà, anche per il male. Credeva che, una volta messa a posto l'economia, tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo: l'uomo, infatti, non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solamente dall'esterno creando condizioni economiche favorevoli.</p> <p align="left">22. Così ci troviamo nuovamente davanti alla domanda: che cosa possiamo sperare? È necessaria un'autocritica dell'età moderna in dialogo col cristianesimo e con la sua concezione della speranza. In un tale dialogo anche i cristiani, nel contesto delle loro conoscenze e delle loro esperienze, devono imparare nuovamente in che cosa consista veramente la loro speranza, che cosa abbiano da offrire al mondo e che cosa invece non possano offrire. Bisogna che nell'autocritica dell'età moderna confluisca anche un'autocritica del cristianesimo moderno, che deve sempre di nuovo imparare a comprendere se stesso a partire dalle proprie radici. Su questo si possono qui tentare solo alcuni accenni. Innanzitutto c'è da chiedersi: che cosa significa veramente « progresso »; che cosa promette e che cosa non promette? Già nel XIX secolo esisteva una critica alla fede nel progresso. Nel XX secolo, Theodor W. Adorno ha formulato la problematicità della fede nel progresso in modo drastico: il progresso, visto da vicino, sarebbe il progresso dalla fionda alla megabomba. Ora, questo è, di fatto, un lato del progresso che non si deve mascherare. Detto altrimenti: si rende evidente l'ambiguità del progresso. Senza dubbio, esso offre nuove possibilità per il bene, ma apre anche possibilità abissali di male – possibilità che prima non esistevano. Noi tutti siamo diventati testimoni di come il progresso in mani sbagliate possa diventare e sia diventato, di fatto, un progresso terribile nel male. <span style="font-weight: bold;">Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell'uomo, nella crescita dell'uomo interiore (cfr</span><i style="font-weight: bold;"> Ef </i><span style="font-weight: bold;">3,16;</span><i style="font-weight: bold;"> 2 Cor</i><span style="font-weight: bold;"> 4,16), allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l'uomo e per il mondo.</span></p> <p align="left">23. Per quanto riguarda i due grandi temi « ragione » e « libertà », qui possono essere solo accennate quelle domande che sono con essi collegate. Sì, la ragione è il grande dono di Dio all'uomo, e la vittoria della ragione sull'irrazionalità è anche uno scopo della fede cristiana. Ma quand'è che la ragione domina veramente? Quando si è staccata da Dio? Quando è diventata cieca per Dio? La ragione del potere e del fare è già la ragione intera? <span style="font-weight: bold;">Se il progresso per essere progresso ha bisogno della crescita morale dell'umanità, allora la ragione del potere e del fare deve altrettanto urgentemente essere integrata mediante l'apertura della ragione alle forze salvifiche della fede, al discernimento tra bene e male.</span> Solo così diventa una ragione veramente umana. Diventa umana solo se è in grado di indicare la strada alla volontà, e di questo è capace solo se guarda oltre se stessa. In caso contrario la situazione dell'uomo, nello squilibrio tra capacità materiale e mancanza di giudizio del cuore, diventa una minaccia per lui e per il creato. Così in tema di libertà, bisogna ricordare che la libertà umana richiede sempre un concorso di varie libertà. Questo concorso, tuttavia, non può riuscire, se non è determinato da un comune intrinseco criterio di misura, che è fondamento e meta della nostra libertà. Diciamolo ora in modo molto semplice: l'uomo ha bisogno di Dio, altrimenti resta privo di speranza. Visti gli sviluppi dell'età moderna, l'affermazione di san Paolo citata all'inizio (cfr<i> Ef</i> 2,12) si rivela molto realistica e semplicemente vera. Non vi è dubbio, pertanto, che un « regno di Dio » realizzato senza Dio – un regno quindi dell'uomo solo – si risolve inevitabilmente nella « fine perversa » di tutte le cose descritta da Kant: l'abbiamo visto e lo vediamo sempre di nuovo. Ma non vi è neppure dubbio che Dio entra veramente nelle cose umane solo se non è soltanto da noi pensato, ma se Egli stesso ci viene incontro e ci parla. Per questo la ragione ha bisogno della fede per arrivare ad essere totalmente se stessa: ragione e fede hanno bisogno l'una dell'altra per realizzare la loro vera natura e la loro missione.</p> <p align="left"><b><i>La vera fisionomia della speranza cristiana</i></b></p> <p align="left">24. Chiediamoci ora di nuovo: che cosa possiamo sperare? E che cosa non possiamo sperare? Innanzitutto dobbiamo costatare che un progresso addizionabile è possibile solo in campo materiale. Qui, nella conoscenza crescente delle strutture della materia e in corrispondenza alle invenzioni sempre più avanzate, si dà chiaramente una continuità del progresso verso una padronanza sempre più grande della natura. Nell'ambito invece della consapevolezza etica e della decisione morale non c'è una simile possibilità di addizione per il semplice motivo che la libertà dell'uomo è sempre nuova e deve sempre nuovamente prendere le sue decisioni. Non sono mai semplicemente già prese per noi da altri – in tal caso, infatti, non saremmo più liberi. <span style="font-weight: bold;">La libertà presuppone che nelle decisioni fondamentali ogni uomo, ogni generazione sia un nuovo inizio. </span>Certamente, le nuove generazioni possono costruire sulle conoscenze e sulle esperienze di coloro che le hanno precedute, come possono attingere al tesoro morale dell'intera umanità. Ma possono anche rifiutarlo, perché esso non può avere la stessa evidenza delle invenzioni materiali. <span style="font-weight: bold;">Il tesoro morale dell'umanità non è presente come sono presenti gli strumenti che si usano</span>; esso esiste come invito alla libertà e come possibilità per essa. Ma ciò significa che:</p> <p align="left"><i>a</i>) il retto stato delle cose umane, il benessere morale del mondo non può mai essere garantito semplicemente mediante strutture, per quanto valide esse siano. Tali strutture sono non solo importanti, ma necessarie; esse tuttavia <span style="font-weight: bold;">non possono e non devono mettere fuori gioco la libertà dell'uomo.</span> Anche le strutture migliori funzionano soltanto se in una comunità sono vive delle convinzioni che siano in grado di <span style="font-weight: bold;">motivare gli uomini ad una libera adesione all'ordinamento comunitario.</span> La libertà necessita di una convinzione; una convinzione non esiste da sé, ma deve essere sempre di nuovo riconquistata comunitariamente.</p> <p align="left"><i>b</i>) Poiché l'uomo rimane sempre libero e poiché la sua libertà è sempre anche fragile, <span style="font-weight: bold;">non esisterà mai in questo mondo il regno del bene definitivamente consolidato.</span> Chi promette il mondo migliore che durerebbe irrevocabilmente per sempre, fa una promessa falsa; egli ignora la libertà umana. La libertà deve sempre di nuovo essere conquistata per il bene. <span style="font-weight: bold;">La libera adesione al bene non esiste mai semplicemente da sé.</span> Se ci fossero strutture che fissassero in modo irrevocabile una determinata – buona – condizione del mondo, sarebbe negata la libertà dell'uomo, e per questo motivo non sarebbero, in definitiva, per nulla strutture buone.</p> <p align="left">25. Conseguenza di quanto detto è che <span style="font-weight: bold;">la sempre nuova faticosa ricerca di retti ordinamenti per le cose umane è compito di ogni generazione</span>; non è mai compito semplicemente concluso. Ogni generazione, tuttavia, deve anche recare il proprio contributo per stabilire convincenti ordinamenti di libertà e di bene, che aiutino la generazione successiva come orientamento per l'uso retto della libertà umana e diano così, sempre nei limiti umani, una certa garanzia anche per il futuro. In altre parole: le buone strutture aiutano, ma da sole non bastano. <span style="font-weight: bold;">L'uomo non può mai essere redento semplicemente dall'esterno. </span>Francesco Bacone e gli aderenti alla corrente di pensiero dell'età moderna a lui ispirata, nel ritenere che l'uomo sarebbe stato redento mediante la scienza, sbagliavano. Con una tale attesa si chiede troppo alla scienza; questa specie di speranza è fallace. La scienza può contribuire molto all'umanizzazione del mondo e dell'umanità. Essa però può anche distruggere l'uomo e il mondo, se non viene orientata da forze che si trovano al di fuori di essa. D'altra parte, dobbiamo anche constatare che il cristianesimo moderno, di fronte ai successi della scienza nella progressiva strutturazione del mondo, si era in gran parte concentrato soltanto sull'individuo e sulla sua salvezza. Con ciò ha ristretto l'orizzonte della sua speranza e non ha neppure riconosciuto sufficientemente la grandezza del suo compito – anche se resta grande ciò che ha continuato a fare nella formazione dell'uomo e nella cura dei deboli e dei sofferenti.</p> <p align="left">26. <span style="font-weight: bold;">Non è la scienza che redime l'uomo. L'uomo viene redento mediante l'amore. </span>Ciò vale già nell'ambito puramente intramondano. Quando uno nella sua vita fa l'esperienza di un grande amore, quello è un momento di « redenzione » che dà un senso nuovo alla sua vita. Ma ben presto egli si renderà anche conto che l'amore a lui donato non risolve, da solo, il problema della sua vita. È un amore che resta fragile. Può essere distrutto dalla morte. <span style="font-weight: bold;">L'essere umano ha bisogno dell'amore incondizionato.</span> Ha bisogno di quella certezza che gli fa dire: « Né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore » (<i>Rm</i> 8,38-39). <span style="font-weight: bold;">Se esiste questo amore assoluto con la sua certezza assoluta, allora – soltanto allora – l'uomo è « redento », qualunque cosa gli accada nel caso particolare.</span> È questo che si intende, quando diciamo: Gesù Cristo ci ha « redenti ». Per mezzo di Lui siamo diventati certi di Dio – di un Dio che non costituisce una lontana « causa prima » del mondo, perché il suo Figlio unigenito si è fatto uomo e di Lui ciascuno può dire: « Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me » (<i>Gal </i>2,20).</p> <p align="left">27. In questo senso è vero che chi non conosce Dio, pur potendo avere molteplici speranze, in fondo è senza speranza, senza la grande speranza che sorregge tutta la vita (cfr<i> Ef </i>2,12). <span style="font-weight: bold;">La vera, grande speranza dell'uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio</span> – il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora « sino alla fine », « fino al pieno compimento » (cfr <i>Gv</i> 13,1 e 19, 30). Chi viene toccato dall'amore comincia a intuire che cosa propriamente sarebbe « vita ». Comincia a intuire che cosa vuole dire la parola di speranza che abbiamo incontrato nel rito del Battesimo: dalla fede aspetto la « vita eterna » – la vita vera che, interamente e senza minacce, in tutta la sua pienezza è semplicemente vita. Gesù che di sé ha detto di essere venuto perché noi abbiamo la vita e l'abbiamo in pienezza, in abbondanza (cfr<i> Gv</i> 10,10), ci ha anche spiegato che cosa significhi « vita »: « <span style="font-weight: bold;">Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio</span>, e colui che hai mandato, Gesù Cristo » (<i>Gv</i> 17,3). La vita nel senso vero non la si ha in sé da soli e neppure solo da sé: essa è una relazione. E la vita nella sua totalità è relazione con Colui che è la sorgente della vita. Se siamo in relazione con Colui che non muore, che è la Vita stessa e lo stesso Amore, allora siamo nella vita. Allora « viviamo ».</p> <p align="left">28. Ma ora sorge la domanda: in questo modo non siamo forse ricascati nuovamente nell'individualismo della salvezza? Nella speranza solo per me, che poi, appunto, non è una speranza vera, perché dimentica e trascura gli altri? No. <span style="font-weight: bold;">Il rapporto con Dio si stabilisce attraverso la comunione con Gesù – da soli e con le sole nostre possibilità non ci arriviamo. </span>La relazione con Gesù, però, è una relazione con Colui che ha dato se stesso in riscatto per tutti noi (cfr<i> 1 Tm</i> 2,6). L'essere in comunione con Gesù Cristo ci coinvolge nel suo essere « per tutti », ne fa il nostro modo di essere. Egli ci impegna per gli altri, ma solo nella comunione con Lui diventa possibile esserci veramente per gli altri, per l'insieme. Vorrei, in questo contesto, citare il grande dottore greco della Chiesa, san Massimo il Confessore († 662), il quale dapprima esorta a non anteporre nulla alla conoscenza ed all'amore di Dio, ma poi arriva subito ad applicazioni molto pratiche: « <span style="font-weight: bold;">Chi ama Dio non può riservare il denaro per sé. Lo distribuisce in modo ‘divino' </span>[...] nello stesso modo secondo la misura della giustizia »[<a linkindex="19" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn19" name="_ftnref19" title="">19</a>]. Dall'amore verso Dio consegue la partecipazione alla giustizia e alla bontà di Dio verso gli altri; amare Dio richiede la libertà interiore di fronte ad ogni possesso e a tutte le cose materiali: <span style="font-weight: bold;">l'amore di Dio si rivela nella responsabilità per l'altro</span>[<a linkindex="20" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn20" name="_ftnref20" title="">20</a>]. La stessa connessione tra amore di Dio e responsabilità per gli uomini possiamo osservare in modo toccante nella vita di sant'Agostino. Dopo la sua conversione alla fede cristiana egli, insieme con alcuni amici di idee affini, voleva condurre una vita che fosse dedicata totalmente alla parola di Dio e alle cose eterne. Intendeva realizzare con valori cristiani l'ideale della vita contemplativa espressa dalla grande filosofia greca, scegliendo in questo modo « la parte migliore » (cfr<i> Lc </i>10,42). Ma le cose andarono diversamente. Mentre partecipava alla Messa domenicale nella città portuale di Ippona, fu dal Vescovo chiamato fuori dalla folla e costretto a lasciarsi ordinare per l'esercizio del ministero sacerdotale in quella città. Guardando retrospettivamente a quell'ora egli scrive nelle sue<i> Confessioni</i>: « Atterrito dai miei peccati e dalla mole della mia miseria, avevo ventilato in cuor mio e meditato la fuga nella solitudine. Ma tu me l'hai impedito e mi hai confortato con la tua parola: « <span style="font-weight: bold;">Cristo è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto per tutti</span> » (cfr<i> 2 Cor </i>5,15) »[<a linkindex="21" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn21" name="_ftnref21" title="">21</a>]. Cristo è morto per tutti. Vivere per Lui significa lasciarsi coinvolgere nel suo « essere per ».</p> <p align="left">29. Per Agostino ciò significò una vita totalmente nuova. Egli una volta descrisse così la sua quotidianità: « Correggere gli indisciplinati, confortare i pusillanimi, sostenere i deboli, confutare gli oppositori, guardarsi dai maligni, istruire gli ignoranti, stimolare i negligenti, frenare i litigiosi, moderare gli ambiziosi, incoraggiare gli sfiduciati, pacificare i contendenti, aiutare i bisognosi, liberare gli oppressi, mostrare approvazione ai buoni, tollerare i cattivi e [ahimè!] amare tutti »[<a linkindex="22" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn22" name="_ftnref22" title="">22</a>]. « È il Vangelo che mi spaventa »[<a linkindex="23" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn23" name="_ftnref23" title="">23</a>] – quello spavento salutare che ci impedisce di vivere per noi stessi e che ci spinge a trasmettere la nostra comune speranza. Di fatto, proprio questa era l'intenzione di Agostino: nella situazione difficile dell'impero romano, che minacciava anche l'Africa romana e, alla fine della vita di Agostino, addirittura la distrusse, trasmettere speranza – la speranza che gli veniva dalla fede e che, in totale contrasto col suo temperamento introverso, lo rese capace di partecipare decisamente e con tutte le forze all'edificazione della città. Nello stesso capitolo delle<i> Confessioni</i>, in cui abbiamo or ora visto il motivo decisivo del suo impegno « per tutti », egli dice: Cristo « intercede per noi, altrimenti dispererei. Sono molte e pesanti le debolezze, molte e pesanti, ma più abbondante è la tua medicina. Avremmo potuto credere che la tua Parola fosse lontana dal contatto dell'uomo e disperare di noi, se questa Parola non si fosse fatta carne e non avesse abitato in mezzo a noi »[<a linkindex="24" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn24" name="_ftnref24" title="">24</a>]. In virtù della sua speranza, Agostino si è prodigato per la gente semplice e per la sua città – ha rinunciato alla sua nobiltà spirituale e ha predicato ed agito in modo semplice per la gente semplice.</p> <p align="left">30. Riassumiamo ciò che finora è emerso nello sviluppo delle nostre riflessioni. L'uomo ha, nel succedersi dei giorni, molte speranze – più piccole o più grandi – diverse nei diversi periodi della sua vita. A volte può sembrare che una di queste speranze lo soddisfi totalmente e che non abbia bisogno di altre speranze. Nella gioventù può essere la speranza del grande e appagante amore; la speranza di una certa posizione nella professione, dell'uno o dell'altro successo determinante per il resto della vita. Quando, però, queste speranze si realizzano, appare con chiarezza che ciò non era, in realtà, il tutto. Si rende evidente che l'uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Si rende evidente che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere. In questo senso il tempo moderno ha sviluppato la speranza dell'instaurazione di un mondo perfetto che, grazie alle conoscenze della scienza e ad una politica scientificamente fondata, sembrava esser diventata realizzabile. Così la speranza biblica del regno di Dio è stata rimpiazzata dalla speranza del regno dell'uomo, dalla speranza di un mondo migliore che sarebbe il vero « regno di Dio ». Questa sembrava finalmente la speranza grande e realistica, di cui l'uomo ha bisogno. Essa era in grado di mobilitare – per un certo tempo – tutte le energie dell'uomo; il grande obiettivo sembrava meritevole di ogni impegno. Ma nel corso del tempo apparve chiaro che questa speranza fugge sempre più lontano. Innanzitutto ci si rese conto che questa era forse una speranza per gli uomini di dopodomani, ma non una speranza per me. E benché il « per tutti » faccia parte della grande speranza – non posso, infatti, diventare felice contro e senza gli altri – resta vero che una speranza che non riguardi me in persona non è neppure una vera speranza. E diventò evidente che questa era una speranza contro la libertà, perché la situazione delle cose umane dipende in ogni generazione nuovamente dalla libera decisione degli uomini che ad essa appartengono. Se questa libertà, a causa delle condizioni e delle strutture, fosse loro tolta, il mondo, in fin dei conti, non sarebbe buono, perché un mondo senza libertà non è per nulla un mondo buono. Così, pur essendo necessario un continuo impegno per il miglioramento del mondo, il mondo migliore di domani non può essere il contenuto proprio e sufficiente della nostra speranza. E sempre a questo proposito si pone la domanda: Quando è « migliore » il mondo? Che cosa lo rende buono? Secondo quale criterio si può valutare il suo essere buono? E per quali vie si può raggiungere questa « bontà »?</p> <p align="left">31. Ancora: noi abbiamo bisogno delle speranze – più piccole o più grandi – che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l'universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere. Proprio l'essere gratificato di un dono fa parte della speranza. Dio è il fondamento della speranza – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l'umanità nel suo insieme. Il suo regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell'intimo aspettiamo: la vita che è « veramente » vita. Cerchiamo di concretizzare ulteriormente questa idea in un'ultima parte, rivolgendo la nostra attenzione ad alcuni « luoghi » di pratico apprendimento ed esercizio della speranza.</p> <p align="left"><b><i>« Luoghi » di apprendimento e di esercizio della speranza</i></b></p> <p align="center"><b>I. La preghiera come scuola della speranza</b></p> <p align="left">32. Un primo essenziale luogo di apprendimento della speranza è la preghiera. Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora. Se non posso più parlare con nessuno, più nessuno invocare, a Dio posso sempre parlare. Se non c'è più nessuno che possa aiutarmi – dove si tratta di una necessità o di un'attesa che supera l'umana capacità di sperare – Egli può aiutarmi[<a linkindex="25" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn25" name="_ftnref25" title="">25</a>]. Se sono relegato in estrema solitudine...; ma l'orante non è mai totalmente solo. Da tredici anni di prigionia, di cui nove in isolamento, l'indimenticabile Cardinale Nguyen Van Thuan ci ha lasciato un prezioso libretto:<i> Preghiere di speranza</i>. Durante tredici anni di carcere, in una situazione di disperazione apparentemente totale, l'ascolto di Dio, il poter parlargli, divenne per lui una crescente forza di speranza, che dopo il suo rilascio gli consentì di diventare per gli uomini in tutto il mondo un testimone della speranza – di quella grande speranza che anche nelle notti della solitudine non tramonta.</p> <p align="left">33. In modo molto bello Agostino ha illustrato l'intima relazione tra preghiera e speranza in una omelia sulla <i>Prima Lettera di Giovanni</i>. Egli definisce la preghiera come un esercizio del desiderio. L'uomo è stato creato per una realtà grande – per Dio stesso, per essere riempito da Lui. Ma il suo cuore è troppo stretto per la grande realtà che gli è assegnata. Deve essere allargato. « Rinviando [il suo dono], Dio allarga il nostro desiderio; mediante il desiderio allarga l'animo e dilatandolo lo rende più capace [di accogliere Lui stesso] ». Agostino rimanda a san Paolo che dice di sé di vivere proteso verso le cose che devono venire (cfr <i>Fil </i>3,13). Poi usa un'immagine molto bella per descrivere questo processo di allargamento e di preparazione del cuore umano. « Supponi che Dio ti voglia riempire di miele [simbolo della tenerezza di Dio e della sua bontà]. Se tu, però, sei pieno di aceto, dove metterai il miele? » Il vaso, cioè il cuore, deve prima essere allargato e poi pulito: liberato dall'aceto e dal suo sapore. Ciò richiede lavoro, costa dolore, ma solo così si realizza l'adattamento a ciò a cui siamo destinati[<a linkindex="26" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn26" name="_ftnref26" title="">26</a>]. Anche se Agostino parla direttamente solo della ricettività per Dio, appare tuttavia chiaro che l'uomo, in questo lavoro col quale si libera dall'aceto e dal sapore dell'aceto, non diventa solo libero per Dio, ma appunto si apre anche agli altri. Solo diventando figli di Dio, infatti, possiamo stare con il nostro Padre comune. Pregare non significa uscire dalla storia e ritirarsi nell'angolo privato della propria felicità. Il giusto modo di pregare è un processo di purificazione interiore che ci fa capaci per Dio e, proprio così, anche capaci per gli uomini. Nella preghiera l'uomo deve imparare che cosa egli possa veramente chiedere a Dio – che cosa sia degno di Dio. Deve imparare che non può pregare contro l'altro. Deve imparare che non può chiedere le cose superficiali e comode che desidera al momento – la piccola speranza sbagliata che lo conduce lontano da Dio. Deve purificare i suoi desideri e le sue speranze. Deve liberarsi dalle menzogne segrete con cui inganna se stesso: Dio le scruta, e il confronto con Dio costringe l'uomo a riconoscerle pure lui. « Le inavvertenze chi le discerne? Assolvimi dalla colpe che non vedo », prega il Salmista (19[18],13). Il non riconoscimento della colpa, l'illusione di innocenza non mi giustifica e non mi salva, perché l'intorpidimento della coscienza, l'incapacità di riconoscere il male come tale in me, è colpa mia. Se non c'è Dio, devo forse rifugiarmi in tali menzogne, perché non c'è nessuno che possa perdonarmi, nessuno che sia la misura vera. L'incontro invece con Dio risveglia la mia coscienza, perché essa non mi fornisca più un'autogiustificazione, non sia più un riflesso di me stesso e dei contemporanei che mi condizionano, ma diventi capacità di ascolto del Bene stesso.</p> <p align="left">34. Affinché la preghiera sviluppi questa forza purificatrice, essa deve, da una parte, essere molto personale, un confronto del mio io con Dio, con il Dio vivente. Dall'altra, tuttavia, essa deve essere sempre di nuovo guidata ed illuminata dalle grandi preghiere della Chiesa e dei santi, dalla preghiera liturgica, nella quale il Signore ci insegna continuamente a pregare nel modo giusto. Il Cardinale Nguyen Van Thuan, nel suo libro di Esercizi spirituali, ha raccontato come nella sua vita c'erano stati lunghi periodi di incapacità di pregare e come egli si era aggrappato alle parole di preghiera della Chiesa: al Padre nostro, all'Ave Maria e alle preghiere della Liturgia[<a linkindex="27" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn27" name="_ftnref27" title="">27</a>]. Nel pregare deve sempre esserci questo intreccio tra preghiera pubblica e preghiera personale. Così possiamo parlare a Dio, così Dio parla a noi. In questo modo si realizzano in noi le purificazioni, mediante le quali diventiamo capaci di Dio e siamo resi idonei al servizio degli uomini. Così diventiamo capaci della grande speranza e così diventiamo ministri della speranza per gli altri: la speranza in senso cristiano è sempre anche speranza per gli altri. Ed è speranza attiva, nella quale lottiamo perché le cose non vadano verso « la fine perversa ». È speranza attiva proprio anche nel senso che teniamo il mondo aperto a Dio. Solo così essa rimane anche speranza veramente umana.</p> <p align="center"><b>II. Agire e soffrire come luoghi di apprendimento della speranza</b></p> <p align="left">35. Ogni agire serio e retto dell'uomo è speranza in atto. Lo è innanzitutto nel senso che cerchiamo così di portare avanti le nostre speranze, più piccole o più grandi: risolvere questo o quell'altro compito che per l'ulteriore cammino della nostra vita è importante; col nostro impegno dare un contributo affinché il mondo diventi un po' più luminoso e umano e così si aprano anche le porte verso il futuro. Ma l'impegno quotidiano per la prosecuzione della nostra vita e per il futuro dell'insieme ci stanca o si muta in fanatismo, se non ci illumina la luce di quella grande speranza che non può essere distrutta neppure da insuccessi nel piccolo e dal fallimento in vicende di portata storica. Se non possiamo sperare più di quanto è effettivamente raggiungibile di volta in volta e di quanto di sperabile le autorità politiche ed economiche ci offrono, la nostra vita si riduce ben presto ad essere priva di speranza. È importante sapere: io posso sempre ancora sperare, anche se per la mia vita o per il momento storico che sto vivendo apparentemente non ho più niente da sperare. Solo la grande speranza-certezza che, nonostante tutti i fallimenti, la mia vita personale e la storia nel suo insieme sono custodite nel potere indistruttibile dell'Amore e, grazie ad esso, hanno per esso un senso e un'importanza, solo una tale speranza può in quel caso dare ancora il coraggio di operare e di proseguire. Certo, non possiamo « costruire » il regno di Dio con le nostre forze – ciò che costruiamo rimane sempre regno dell'uomo con tutti i limiti che sono propri della natura umana. Il regno di Dio è un dono, e proprio per questo è grande e bello e costituisce la risposta alla speranza. E non possiamo – per usare la terminologia classica – « meritare » il cielo con le nostre opere. Esso è sempre più di quello che meritiamo, così come l'essere amati non è mai una cosa « meritata », ma sempre un dono. Tuttavia, con tutta la nostra consapevolezza del « plusvalore » del cielo, rimane anche sempre vero che il nostro agire non è indifferente davanti a Dio e quindi non è neppure indifferente per lo svolgimento della storia. Possiamo aprire noi stessi e il mondo all'ingresso di Dio: della verità, dell'amore, del bene. È quanto hanno fatto i santi che, come « collaboratori di Dio », hanno contribuito alla salvezza del mondo (cfr<i> 1 Cor </i>3,9; <i>1 Ts </i>3,2). Possiamo liberare la nostra vita e il mondo dagli avvelenamenti e dagli inquinamenti che potrebbero distruggere il presente e il futuro. Possiamo scoprire e tenere pulite le fonti della creazione e così, insieme con la creazione che ci precede come dono, fare ciò che è giusto secondo le sue intrinseche esigenze e la sua finalità. Ciò conserva un senso anche se, per quel che appare, non abbiamo successo o sembriamo impotenti di fronte al sopravvento di forze ostili. Così, per un verso, dal nostro operare scaturisce speranza per noi e per gli altri; allo stesso tempo, però, è la grande speranza poggiante sulle promesse di Dio che, nei momenti buoni come in quelli cattivi, ci dà coraggio e orienta il nostro agire.</p> <p align="left">36. Come l'agire, anche la sofferenza fa parte dell'esistenza umana. Essa deriva, da una parte, dalla nostra finitezza, dall'altra, dalla massa di colpa che, nel corso della storia, si è accumulata e anche nel presente cresce in modo inarrestabile. Certamente bisogna fare tutto il possibile per diminuire la sofferenza: impedire, per quanto possibile, la sofferenza degli innocenti; calmare i dolori; aiutare a superare le sofferenze psichiche. Sono tutti doveri sia della giustizia che dell'amore che rientrano nelle esigenze fondamentali dell'esistenza cristiana e di ogni vita veramente umana. Nella lotta contro il dolore fisico si è riusciti a fare grandi progressi; la sofferenza degli innocenti e anche le sofferenze psichiche sono piuttosto aumentate nel corso degli ultimi decenni. Sì, dobbiamo fare di tutto per superare la sofferenza, ma eliminarla completamente dal mondo non sta nelle nostre possibilità – semplicemente perché non possiamo scuoterci di dosso la nostra finitezza e perché nessuno di noi è in grado di eliminare il potere del male, della colpa che – lo vediamo – è continuamente fonte di sofferenza. Questo potrebbe realizzarlo solo Dio: solo un Dio che personalmente entra nella storia facendosi uomo e soffre in essa. Noi sappiamo che questo Dio c'è e che perciò questo potere che « toglie il peccato del mondo » (<i>Gv</i> 1,29) è presente nel mondo. Con la fede nell'esistenza di questo potere, è emersa nella storia la speranza della guarigione del mondo. Ma si tratta, appunto, di speranza e non ancora di compimento; speranza che ci dà il coraggio di metterci dalla parte del bene anche là dove la cosa sembra senza speranza, nella consapevolezza che, stando allo svolgimento della storia così come appare all'esterno, il potere della colpa rimane anche nel futuro una presenza terribile.</p> <p align="left">37. Ritorniamo al nostro tema. Possiamo cercare di limitare la sofferenza, di lottare contro di essa, ma non possiamo eliminarla. Proprio là dove gli uomini, nel tentativo di evitare ogni sofferenza, cercano di sottrarsi a tutto ciò che potrebbe significare patimento, là dove vogliono risparmiarsi la fatica e il dolore della verità, dell'amore, del bene, scivolano in una vita vuota, nella quale forse non esiste quasi più il dolore, ma si ha tanto maggiormente l'oscura sensazione della mancanza di senso e della solitudine. Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l'uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l'unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore. Vorrei in questo contesto citare alcune frasi di una lettera del martire vietnamita Paolo Le-Bao-Thin († 1857), nelle quali diventa evidente questa trasformazione della sofferenza mediante la forza della speranza che proviene dalla fede. « Io, Paolo, prigioniero per il nome di Cristo, voglio farvi conoscere le tribolazioni nelle quali quotidianamente sono immerso, perché infiammati dal divino amore innalziate con me le vostre lodi a Dio: eterna è la sua misericordia (cfr <i>Sal</i> 136 [135]). Questo carcere è davvero un'immagine dell'inferno eterno: ai crudeli supplizi di ogni genere, come i ceppi, le catene di ferro, le funi, si aggiungono odio, vendette, calunnie, parole oscene, false accuse, cattiverie, giuramenti iniqui, maledizioni e infine angoscia e tristezza. Dio, che liberò i tre giovani dalla fornace ardente, mi è sempre vicino; e ha liberato anche me da queste tribolazioni, trasformandole in dolcezza: eterna è la sua misericordia. In mezzo a questi tormenti, che di solito piegano e spezzano gli altri, per la grazia di Dio sono pieno di gioia e letizia, perché non sono solo, ma Cristo è con me [...] Come sopportare questo orrendo spettacolo, vedendo ogni giorno imperatori, mandarini e i loro cortigiani, che bestemmiano il tuo santo nome, Signore, che siedi sui Cherubini (cfr<i> Sal </i>80 [79], 2) e i Serafini? Ecco, la tua croce è calpestata dai piedi dei pagani! Dov'è la tua gloria? Vedendo tutto questo preferisco, nell'ardore della tua carità, aver tagliate le membra e morire in testimonianza del tuo amore. Mostrami, Signore, la tua potenza, vieni in mio aiuto e salvami, perché nella mia debolezza sia manifestata e glorificata la tua forza davanti alle genti [...]. Fratelli carissimi, nell'udire queste cose, esultate e innalzate un perenne inno di grazie a Dio, fonte di ogni bene, e beneditelo con me: eterna è la sua misericordia. [...] Vi scrivo tutto questo, perché la vostra e la mia fede formino una cosa sola. Mentre infuria la tempesta, getto l'ancora fino al trono di Dio: speranza viva, che è nel mio cuore... »[<a linkindex="28" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn28" name="_ftnref28" title="">28</a>]. Questa è una lettera dall'« inferno ». Si palesa tutto l'orrore di un campo di concentramento, in cui ai tormenti da parte dei tiranni s'aggiunge lo scatenamento del male nelle stesse vittime che, in questo modo, diventano pure esse ulteriori strumenti della crudeltà degli aguzzini. È una lettera dall'inferno, ma in essa si avvera la parola del<i> Salmo</i>: « Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti [...]. Se dico: “Almeno l'oscurità mi copra” [...] nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come luce » (<i>Sal</i> 139 [138] 8-12; cfr anche <i>Sal</i> 23 [22],4). Cristo è disceso nell'« inferno » e così è vicino a chi vi viene gettato, trasformando per lui le tenebre in luce. La sofferenza, i tormenti restano terribili e quasi insopportabili. È sorta, tuttavia, la stella della speranza – l'ancora del cuore giunge fino al trono di Dio. Non viene scatenato il male nell'uomo, ma vince la luce: la sofferenza – senza cessare di essere sofferenza – diventa nonostante tutto canto di lode.</p> <p align="left">38. La misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana. La società, però, non può accettare i sofferenti e sostenerli nella loro sofferenza, se i singoli non sono essi stessi capaci di ciò e, d'altra parte, il singolo non può accettare la sofferenza dell'altro se egli personalmente non riesce a trovare nella sofferenza un senso, un cammino di purificazione e di maturazione, un cammino di speranza. Accettare l'altro che soffre significa, infatti, assumere in qualche modo la sua sofferenza, cosicché essa diventa anche mia. Ma proprio perché ora è divenuta sofferenza condivisa, nella quale c'è la presenza di un altro, questa sofferenza è penetrata dalla luce dell'amore. La parola latina <i>con-solatio</i>, consolazione, lo esprime in maniera molto bella suggerendo un essere-con nella solitudine, che allora non è più solitudine. Ma anche la capacità di accettare la sofferenza per amore del bene, della verità e della giustizia è costitutiva per la misura dell'umanità, perché se, in definitiva, il mio benessere, la mia incolumità è più importante della verità e della giustizia, allora vige il dominio del più forte; allora regnano la violenza e la menzogna. La verità e la giustizia devono stare al di sopra della mia comodità ed incolumità fisica, altrimenti la mia stessa vita diventa menzogna. E infine, anche il « sì » all'amore è fonte di sofferenza, perché l'amore esige sempre espropriazioni del mio io, nelle quali mi lascio potare e ferire. L'amore non può affatto esistere senza questa rinuncia anche dolorosa a me stesso, altrimenti diventa puro egoismo e, con ciò, annulla se stesso come tale.</p> <p align="left">39. Soffrire con l'altro, per gli altri; soffrire per amore della verità e della giustizia; soffrire a causa dell'amore e per diventare una persona che ama veramente – questi sono elementi fondamentali di umanità, l'abbandono dei quali distruggerebbe l'uomo stesso. Ma ancora una volta sorge la domanda: ne siamo capaci? È l'altro sufficientemente importante, perché per lui io diventi una persona che soffre? È per me la verità tanto importante da ripagare la sofferenza? È così grande la promessa dell'amore da giustificare il dono di me stesso? Alla fede cristiana, nella storia dell'umanità, spetta proprio questo merito di aver suscitato nell'uomo in maniera nuova e a una profondità nuova la capacità di tali modi di soffrire che sono decisivi per la sua umanità. La fede cristiana ci ha mostrato che verità, giustizia, amore non sono semplicemente ideali, ma realtà di grandissima densità. Ci ha mostrato, infatti, che Dio – la Verità e l'Amore in persona – ha voluto soffrire per noi e con noi. Bernardo di Chiaravalle ha coniato la meravigliosa espressione:<i> Impassibilis est Deus, sed non incompassibilis</i>[<a linkindex="29" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn29" name="_ftnref29" title="">29</a>] – Dio non può patire, ma può compatire. L'uomo ha per Dio un valore così grande da essersi Egli stesso fatto uomo per poter com-patire con l'uomo, in modo molto reale, in carne e sangue, come ci viene dimostrato nel racconto della Passione di Gesù. Da lì in ogni sofferenza umana è entrato uno che condivide la sofferenza e la sopportazione; da lì si diffonde in ogni sofferenza la<i> con-solatio</i>, la consolazione dell'amore partecipe di Dio e così sorge la stella della speranza. Certo, nelle nostre molteplici sofferenze e prove abbiamo sempre bisogno anche delle nostre piccole o grandi speranze – di una visita benevola, della guarigione da ferite interne ed esterne, della risoluzione positiva di una crisi, e così via. Nelle prove minori questi tipi di speranza possono anche essere sufficienti. Ma nelle prove veramente gravi, nelle quali devo far mia la decisione definitiva di anteporre la verità al benessere, alla carriera, al possesso, la certezza della vera, grande speranza, di cui abbiamo parlato, diventa necessaria. Anche per questo abbiamo bisogno di testimoni, di martiri, che si sono donati totalmente, per farcelo da loro dimostrare – giorno dopo giorno. Ne abbiamo bisogno per preferire, anche nelle piccole alternative della quotidianità, il bene alla comodità – sapendo che proprio così viviamo veramente la vita. Diciamolo ancora una volta: la capacità di soffrire per amore della verità è misura di umanità. Questa capacità di soffrire, tuttavia, dipende dal genere e dalla misura della speranza che portiamo dentro di noi e sulla quale costruiamo. I santi poterono percorrere il grande cammino dell'essere-uomo nel modo in cui Cristo lo ha percorso prima di noi, perché erano ricolmi della grande speranza.</p> <p align="left">40. Vorrei aggiungere ancora una piccola annotazione non del tutto irrilevante per le vicende di ogni giorno. Faceva parte di una forma di devozione, oggi forse meno praticata, ma non molto tempo fa ancora assai diffusa, il pensiero di poter « offrire » le piccole fatiche del quotidiano, che ci colpiscono sempre di nuovo come punzecchiature più o meno fastidiose, conferendo così ad esse un senso. In questa devozione c'erano senz'altro cose esagerate e forse anche malsane, ma bisogna domandarsi se non vi era contenuto in qualche modo qualcosa di essenziale che potrebbe essere di aiuto. Che cosa vuol dire « offrire »? Queste persone erano convinte di poter inserire nel grande com-patire di Cristo le loro piccole fatiche, che entravano così a far parte in qualche modo del tesoro di compassione di cui il genere umano ha bisogno. In questa maniera anche le piccole seccature del quotidiano potrebbero acquistare un senso e contribuire all'economia del bene, dell'amore tra gli uomini. Forse dovremmo davvero chiederci se una tale cosa non potrebbe ridiventare una prospettiva sensata anche per noi.</p> <p align="center"><b>III. Il Giudizio come luogo di apprendimento e di esercizio della speranza</b></p> <p align="left">41. Nel grande <i>Credo </i>della Chiesa la parte centrale, che tratta del mistero di Cristo a partire dalla nascita eterna dal Padre e dalla nascita temporale dalla Vergine Maria per giungere attraverso la croce e la risurrezione fino al suo ritorno, si conclude con le parole: « ...di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti ». La prospettiva del Giudizio, già dai primissimi tempi, ha influenzato i cristiani fin nella loro vita quotidiana come criterio secondo cui ordinare la vita presente, come richiamo alla loro coscienza e, al contempo, come speranza nella giustizia di Dio. La fede in Cristo non ha mai guardato solo indietro né mai solo verso l'alto, ma sempre anche in avanti verso l'ora della giustizia che il Signore aveva ripetutamente preannunciato. Questo sguardo in avanti ha conferito al cristianesimo la sua importanza per il presente. Nella conformazione degli edifici sacri cristiani, che volevano rendere visibile la vastità storica e cosmica della fede in Cristo, diventò abituale rappresentare sul lato orientale il Signore che ritorna come re – l'immagine della speranza –, sul lato occidentale, invece, il Giudizio finale come immagine della responsabilità per la nostra vita, una raffigurazione che guardava ed accompagnava i fedeli proprio nel loro cammino verso la quotidianità. Nello sviluppo dell'iconografia, però, è poi stato dato sempre più risalto all'aspetto minaccioso e lugubre del Giudizio, che ovviamente affascinava gli artisti più dello splendore della speranza, che spesso veniva eccessivamente nascosto sotto la minaccia.</p> <p align="left">42. Nell'epoca moderna il pensiero del Giudizio finale sbiadisce: la fede cristiana viene individualizzata ed è orientata soprattutto verso la salvezza personale dell'anima; la riflessione sulla storia universale, invece, è in gran parte dominata dal pensiero del progresso. Il contenuto fondamentale dell'attesa del Giudizio, tuttavia, non è semplicemente scomparso. Ora però assume una forma totalmente diversa. L'ateismo del XIX e del XX secolo è, secondo le sue radici e la sua finalità, un moralismo: una protesta contro le ingiustizie del mondo e della storia universale. Un mondo, nel quale esiste una tale misura di ingiustizia, di sofferenza degli innocenti e di cinismo del potere, non può essere l'opera di un Dio buono. Il Dio che avesse la responsabilità di un simile mondo, non sarebbe un Dio giusto e ancor meno un Dio buono. È in nome della morale che bisogna contestare questo Dio. Poiché non c'è un Dio che crea giustizia, sembra che l'uomo stesso ora sia chiamato a stabilire la giustizia. Se di fronte alla sofferenza di questo mondo la protesta contro Dio è comprensibile, la pretesa che l'umanità possa e debba fare ciò che nessun Dio fa né è in grado di fare, è presuntuosa ed intrinsecamente non vera. Che da tale premessa siano conseguite le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia non è un caso, ma è fondato nella falsità intrinseca di questa pretesa. Un mondo che si deve creare da sé la sua giustizia è un mondo senza speranza. Nessuno e niente risponde per la sofferenza dei secoli. Nessuno e niente garantisce che il cinismo del potere – sotto qualunque accattivante rivestimento ideologico si presenti – non continui a spadroneggiare nel mondo. Così i grandi pensatori della scuola di Francoforte, Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, hanno criticato in ugual modo l'ateismo come il teismo. Horkheimer ha radicalmente escluso che possa essere trovato un qualsiasi surrogato immanente per Dio, rifiutando allo stesso tempo però anche l'immagine del Dio buono e giusto. In una radicalizzazione estrema del divieto veterotestamentario delle immagini, egli parla della « nostalgia del totalmente Altro » che rimane inaccessibile – un grido del desiderio rivolto alla storia universale. Anche Adorno si è attenuto decisamente a questa rinuncia ad ogni immagine che, appunto, esclude anche l'« immagine » del Dio che ama. Ma egli ha anche sempre di nuovo sottolineato questa dialettica « negativa » e ha affermato che giustizia, una vera giustizia, richiederebbe un mondo « in cui non solo la sofferenza presente fosse annullata, ma anche revocato ciò che è irrevocabilmente passato »[<a linkindex="30" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn30" name="_ftnref30" title="">30</a>]. Questo, però, significherebbe – espresso in simboli positivi e quindi per lui inadeguati – che giustizia non può esservi senza risurrezione dei morti. Una tale prospettiva, tuttavia, comporterebbe « la risurrezione della carne, una cosa che all'idealismo, al regno dello spirito assoluto, è totalmente estranea »[<a linkindex="31" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn31" name="_ftnref31" title="">31</a>].</p> <p align="left">43. Dalla rigorosa rinuncia ad ogni immagine, che fa parte del primo Comandamento di Dio (cfr<i> Es </i>20,4), può e deve imparare sempre di nuovo anche il cristiano. La verità della teologia negativa è stata posta in risalto dal IV Concilio Lateranense il quale ha dichiarato esplicitamente che, per quanto grande possa essere la somiglianza costatata tra il Creatore e la creatura, sempre più grande è tra di loro la dissomiglianza[<a linkindex="32" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn32" name="_ftnref32" title="">32</a>]. Per il credente, tuttavia, la rinuncia ad ogni immagine non può spingersi fino al punto da doversi fermare, come vorrebbero Horkheimer e Adorno, nel « no » ad ambedue le tesi, al teismo e all'ateismo. Dio stesso si è dato un' « immagine »: nel Cristo che si è fatto uomo. In Lui, il Crocifisso, la negazione di immagini sbagliate di Dio è portata all'estremo. Ora Dio rivela il suo Volto proprio nella figura del sofferente che condivide la condizione dell'uomo abbandonato da Dio, prendendola su di sé. Questo sofferente innocente è diventato speranza-certezza: Dio c'è, e Dio sa creare la giustizia in un modo che noi non siamo capaci di concepire e che, tuttavia, nella fede possiamo intuire. Sì, esiste la risurrezione della carne[<a linkindex="33" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn33" name="_ftnref33" title="">33</a>]. Esiste una giustizia[<a linkindex="34" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn34" name="_ftnref34" title="">34</a>]. Esiste la « revoca » della sofferenza passata, la riparazione che ristabilisce il diritto. Per questo la fede nel Giudizio finale è innanzitutto e soprattutto speranza – quella speranza, la cui necessità si è resa evidente proprio negli sconvolgimenti degli ultimi secoli. Io sono convinto che la questione della giustizia costituisce l'argomento essenziale, in ogni caso l'argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna. Il bisogno soltanto individuale di un appagamento che in questa vita ci è negato, dell'immortalità dell'amore che attendiamo, è certamente un motivo importante per credere che l'uomo sia fatto per l'eternità; ma solo in collegamento con l'impossibilità che l'ingiustizia della storia sia l'ultima parola, diviene pienamente convincente la necessità del ritorno di Cristo e della nuova vita.</p> <p align="left">44. La protesta contro Dio in nome della giustizia non serve. Un mondo senza Dio è un mondo senza speranza (cfr <i>Ef</i> 2,12). Solo Dio può creare giustizia. E la fede ci dà la certezza: Egli lo fa. L'immagine del Giudizio finale è in primo luogo non un'immagine terrificante, ma un'immagine di speranza; per noi forse addirittura l'immagine decisiva della speranza. Ma non è forse anche un'immagine di spavento? Io direi: è un'immagine che chiama in causa la responsabilità. Un'immagine, quindi, di quello spavento di cui sant'Ilario dice che ogni nostra paura ha la sua collocazione nell'amore[<a linkindex="35" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn35" name="_ftnref35" title="">35</a>]. Dio è giustizia e crea giustizia. È questa la nostra consolazione e la nostra speranza. Ma nella sua giustizia è insieme anche grazia. Questo lo sappiamo volgendo lo sguardo sul Cristo crocifisso e risorto. Ambedue – giustizia e grazia – devono essere viste nel loro giusto collegamento interiore. La grazia non esclude la giustizia. Non cambia il torto in diritto. Non è una spugna che cancella tutto così che quanto s'è fatto sulla terra finisca per avere sempre lo stesso valore. Contro un tale tipo di cielo e di grazia ha protestato a ragione, per esempio, Dostoëvskij nel suo romanzo « <i>I fratelli Karamazov</i> ». I malvagi alla fine, nel banchetto eterno, non siederanno indistintamente a tavola accanto alle vittime, come se nulla fosse stato. Vorrei a questo punto citare un testo di Platone che esprime un presentimento del giusto giudizio che in gran parte rimane vero e salutare anche per il cristiano. Pur con immagini mitologiche, che però rendono con evidenza inequivocabile la verità, egli dice che alla fine le anime staranno nude davanti al giudice. Ora non conta più ciò che esse erano una volta nella storia, ma solo ciò che sono in verità. « Ora [il giudice] ha davanti a sé forse l'anima di un [...] re o dominatore e non vede niente di sano in essa. La trova flagellata e piena di cicatrici provenienti da spergiuro ed ingiustizia [...] e tutto è storto, pieno di menzogna e superbia, e niente è dritto, perché essa è cresciuta senza verità. Ed egli vede come l'anima, a causa di arbitrio, esuberanza, spavalderia e sconsideratezza nell'agire, è caricata di smisuratezza ed infamia. Di fronte a un tale spettacolo, egli la manda subito nel carcere, dove subirà le punizioni meritate [...] A volte, però, egli vede davanti a sé un'anima diversa, una che ha fatto una vita pia e sincera [...], se ne compiace e la manda senz'altro alle isole dei beati »[<a linkindex="36" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn36" name="_ftnref36" title="">36</a>]. Gesù, nella parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (cfr<i> Lc</i> 16,19-31), ha presentato a nostro ammonimento l'immagine di una tale anima devastata dalla spavalderia e dall'opulenza, che ha creato essa stessa una fossa invalicabile tra sé e il povero: la fossa della chiusura entro i piaceri materiali, la fossa della dimenticanza dell'altro, dell'incapacità di amare, che si trasforma ora in una sete ardente e ormai irrimediabile. Dobbiamo qui rilevare che Gesù in questa parabola non parla del destino definitivo dopo il Giudizio universale, ma riprende una concezione che si trova, fra altre, nel giudaismo antico, quella cioè di una condizione intermedia tra morte e risurrezione, uno stato in cui la sentenza ultima manca ancora.</p> <p align="left">45. Questa idea vetero-giudaica della condizione intermedia include l'opinione che le anime non si trovano semplicemente in una sorta di custodia provvisoria, ma subiscono già una punizione, come dimostra la parabola del ricco epulone, o invece godono già di forme provvisorie di beatitudine. E infine non manca il pensiero che in questo stato siano possibili anche purificazioni e guarigioni, che rendono l'anima matura per la comunione con Dio. La Chiesa primitiva ha ripreso tali concezioni, dalle quali poi, nella Chiesa occidentale, si è sviluppata man mano la dottrina del purgatorio. Non abbiamo bisogno di prendere qui in esame le vie storiche complicate di questo sviluppo; chiediamoci soltanto di che cosa realmente si tratti. Con la morte, la scelta di vita fatta dall'uomo diventa definitiva – questa sua vita sta davanti al Giudice. La sua scelta, che nel corso dell'intera vita ha preso forma, può avere caratteri diversi. Possono esserci persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio della verità e la disponibilità all'amore. Persone in cui tutto è diventato menzogna; persone che hanno vissuto per l'odio e hanno calpestato in se stesse l'amore. È questa una prospettiva terribile, ma alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo spaventoso profili di tal genere. In simili individui non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che si indica con la parola<i> inferno</i>[<a linkindex="37" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn37" name="_ftnref37" title="">37</a>]. Dall'altra parte possono esserci persone purissime, che si sono lasciate interamente penetrare da Dio e di conseguenza sono totalmente aperte al prossimo – persone, delle quali la comunione con Dio orienta già fin d'ora l'intero essere e il cui andare verso Dio conduce solo a compimento ciò che ormai sono[<a linkindex="38" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn38" name="_ftnref38" title="">38</a>].</p> <p align="left">46. Secondo le nostre esperienze, tuttavia, né l'uno né l'altro è il caso normale dell'esistenza umana. Nella gran parte degli uomini – così possiamo supporre – rimane presente nel più profondo della loro essenza un'ultima apertura interiore per la verità, per l'amore, per Dio. Nelle concrete scelte di vita, però, essa è ricoperta da sempre nuovi compromessi col male – molta sporcizia copre la purezza, di cui, tuttavia, è rimasta la sete e che, ciononostante, riemerge sempre di nuovo da tutta la bassezza e rimane presente nell'anima. Che cosa avviene di simili individui quando compaiono davanti al Giudice? Tutte le cose sporche che hanno accumulate nella loro vita diverranno forse di colpo irrilevanti? O che cosa d'altro accadrà? San Paolo, nella <i> Prima Lettera ai Corinzi</i>, ci dà un'idea del differente impatto del giudizio di Dio sull'uomo a seconda delle sue condizioni. Lo fa con immagini che vogliono in qualche modo esprimere l'invisibile, senza che noi possiamo trasformare queste immagini in concetti – semplicemente perché non possiamo gettare lo sguardo nel mondo al di là della morte né abbiamo alcuna esperienza di esso. Paolo dice dell'esistenza cristiana innanzitutto che essa è costruita su un fondamento comune: Gesù Cristo. Questo fondamento resiste. Se siamo rimasti saldi su questo fondamento e abbiamo costruito su di esso la nostra vita, sappiamo che questo fondamento non ci può più essere sottratto neppure nella morte. Poi Paolo continua: « Se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l'opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell'opera di ciascuno. Se l'opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l'opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco » (3,12-15). In questo testo, in ogni caso, diventa evidente che il salvamento degli uomini può avere forme diverse; che alcune cose edificate possono bruciare fino in fondo; che per salvarsi bisogna attraversare in prima persona il « fuoco » per diventare definitivamente capaci di Dio e poter prendere posto alla tavola dell'eterno banchetto nuziale.</p> <p align="left">47. Alcuni teologi recenti sono dell'avviso che il fuoco che brucia e insieme salva sia Cristo stesso, il Giudice e Salvatore. L'incontro con Lui è l'atto decisivo del Giudizio. Davanti al suo sguardo si fonde ogni falsità. È l'incontro con Lui che, bruciandoci, ci trasforma e ci libera per farci diventare veramente noi stessi. Le cose edificate durante la vita possono allora rivelarsi paglia secca, vuota millanteria e crollare. Ma nel dolore di questo incontro, in cui l'impuro ed il malsano del nostro essere si rendono a noi evidenti, sta la salvezza. Il suo sguardo, il tocco del suo cuore ci risana mediante una trasformazione certamente dolorosa « come attraverso il fuoco ». È, tuttavia, un dolore beato, in cui il potere santo del suo amore ci penetra come fiamma, consentendoci alla fine di essere totalmente noi stessi e con ciò totalmente di Dio. Così si rende evidente anche la compenetrazione di giustizia e grazia: il nostro modo di vivere non è irrilevante, ma la nostra sporcizia non ci macchia eternamente, se almeno siamo rimasti protesi verso Cristo, verso la verità e verso l'amore. In fin dei conti, questa sporcizia è già stata bruciata nella Passione di Cristo. Nel momento del Giudizio sperimentiamo ed accogliamo questo prevalere del suo amore su tutto il male nel mondo ed in noi. Il dolore dell'amore diventa la nostra salvezza e la nostra gioia. È chiaro che la « durata » di questo bruciare che trasforma non la possiamo calcolare con le misure cronometriche di questo mondo. Il « momento » trasformatore di questo incontro sfugge al cronometraggio terreno – è tempo del cuore, tempo del « passaggio » alla comunione con Dio nel Corpo di Cristo[<a linkindex="39" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn39" name="_ftnref39" title="">39</a>]. Il Giudizio di Dio è speranza sia perché è giustizia, sia perché è grazia. Se fosse soltanto grazia che rende irrilevante tutto ciò che è terreno, Dio resterebbe a noi debitore della risposta alla domanda circa la giustizia – domanda per noi decisiva davanti alla storia e a Dio stesso. Se fosse pura giustizia, potrebbe essere alla fine per tutti noi solo motivo di paura. L'incarnazione di Dio in Cristo ha collegato talmente l'uno con l'altra – giudizio e grazia – che la giustizia viene stabilita con fermezza: tutti noi attendiamo alla nostra salvezza « con timore e tremore » (<i>Fil</i> 2,12). Ciononostante la grazia consente a noi tutti di sperare e di andare pieni di fiducia incontro al Giudice che conosciamo come nostro « avvocato »,<i> parakletos</i> (cfr<i> 1 Gv </i> 2,1).</p> <p align="left">48. Un motivo ancora deve essere qui menzionato, perché è importante per la prassi della speranza cristiana. Nell'antico giudaismo esiste pure il pensiero che si possa venire in aiuto ai defunti nella loro condizione intermedia per mezzo della preghiera (cfr per esempio <i>2 Mac</i> 12,38-45: I secolo a.C.). La prassi corrispondente è stata adottata dai cristiani con molta naturalezza ed è comune alla Chiesa orientale ed occidentale. L'Oriente non conosce una sofferenza purificatrice ed espiatrice delle anime nell'« aldilà », ma conosce, sì, diversi gradi di beatitudine o anche di sofferenza nella condizione intermedia. Alle anime dei defunti, tuttavia, può essere dato « ristoro e refrigerio » mediante l'Eucaristia, la preghiera e l'elemosina. Che l'amore possa giungere fin nell'aldilà, che sia possibile un vicendevole dare e ricevere, nel quale rimaniamo legati gli uni agli altri con vincoli di affetto oltre il confine della morte – questa è stata una convinzione fondamentale della cristianità attraverso tutti i secoli e resta anche oggi una confortante esperienza. Chi non proverebbe il bisogno di far giungere ai propri cari già partiti per l'aldilà un segno di bontà, di gratitudine o anche di richiesta di perdono? Ora ci si potrebbe domandare ulteriormente: se il « purgatorio » è semplicemente l'essere purificati mediante il fuoco nell'incontro con il Signore, Giudice e Salvatore, come può allora intervenire una terza persona, anche se particolarmente vicina all'altra? Quando poniamo una simile domanda, dovremmo renderci conto che nessun uomo è una monade chiusa in se stessa. Le nostre esistenze sono in profonda comunione tra loro, mediante molteplici interazioni sono concatenate una con l'altra. Nessuno vive da solo. Nessuno pecca da solo. Nessuno viene salvato da solo. Continuamente entra nella mia vita quella degli altri: in ciò che penso, dico, faccio, opero. E viceversa, la mia vita entra in quella degli altri: nel male come nel bene. Così la mia intercessione per l'altro non è affatto una cosa a lui estranea, una cosa esterna, neppure dopo la morte. Nell'intreccio dell'essere, il mio ringraziamento a lui, la mia preghiera per lui può significare una piccola tappa della sua purificazione. E con ciò non c'è bisogno di convertire il tempo terreno nel tempo di Dio: nella comunione delle anime viene superato il semplice tempo terreno. Non è mai troppo tardi per toccare il cuore dell'altro né è mai inutile. Così si chiarisce ulteriormente un elemento importante del concetto cristiano di speranza. La nostra speranza è sempre essenzialmente anche speranza per gli altri; solo così essa è veramente speranza anche per me[<a linkindex="40" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftn40" name="_ftnref40" title="">40</a>]. Da cristiani non dovremmo mai domandarci solamente: come posso salvare me stesso? Dovremmo domandarci anche: che cosa posso fare perché altri vengano salvati e sorga anche per altri la stella della speranza? Allora avrò fatto il massimo anche per la mia salvezza personale.</p> <p align="left"><b><i>Maria, stella della speranza</i></b></p> <p align="left">49. Con un inno dell'VIII/IX secolo, quindi da più di mille anni, la Chiesa saluta Maria, la Madre di Dio, come « stella del mare »: <i>Ave maris stella</i>. La vita umana è un cammino. Verso quale meta? Come ne troviamo la strada? La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata. E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza – lei che con il suo « sì » aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo; lei che diventò la vivente Arca dell'Alleanza, in cui Dio si fece carne, divenne uno di noi, piantò la sua tenda in mezzo a noi (cfr<i> Gv </i>1,14)?</p> <p align="left">50. A lei perciò ci rivolgiamo: Santa Maria, tu appartenevi a quelle anime umili e grandi in Israele che, come Simeone, aspettavano « il conforto d'Israele » (<i>Lc </i>2,25) e attendevano, come Anna, « la redenzione di Gerusalemme » (<i>Lc </i> 2,38). Tu vivevi in intimo contatto con le Sacre Scritture di Israele, che parlavano della speranza – della promessa fatta ad Abramo ed alla sua discendenza (cfr<i> Lc </i>1,55). Così comprendiamo il santo timore che ti assalì, quando l'angelo del Signore entrò nella tua camera e ti disse che tu avresti dato alla luce Colui che era la speranza di Israele e l'attesa del mondo. Per mezzo tuo, attraverso il tuo « sì », la speranza dei millenni doveva diventare realtà, entrare in questo mondo e nella sua storia. Tu ti sei inchinata davanti alla grandezza di questo compito e hai detto « sì »: « Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto » (<i>Lc</i> 1,38). Quando piena di santa gioia attraversasti in fretta i monti della Giudea per raggiungere la tua parente Elisabetta, diventasti l'immagine della futura Chiesa che, nel suo seno, porta la speranza del mondo attraverso i monti della storia. Ma accanto alla gioia che, nel tuo <i>Magnificat</i>, con le parole e col canto hai diffuso nei secoli, conoscevi pure le affermazioni oscure dei profeti sulla sofferenza del servo di Dio in questo mondo. Sulla nascita nella stalla di Betlemme brillò lo splendore degli angeli che portavano la buona novella ai pastori, ma al tempo stesso la povertà di Dio in questo mondo fu fin troppo sperimentabile. Il vecchio Simeone ti parlò della spada che avrebbe trafitto il tuo cuore (cfr <i>Lc</i> 2,35), del segno di contraddizione che il tuo Figlio sarebbe stato in questo mondo. Quando poi cominciò l'attività pubblica di Gesù, dovesti farti da parte, affinché potesse crescere la nuova famiglia, per la cui costituzione Egli era venuto e che avrebbe dovuto svilupparsi con l'apporto di coloro che avrebbero ascoltato e osservato la sua parola (cfr<i> Lc </i>11,27s). Nonostante tutta la grandezza e la gioia del primo avvio dell'attività di Gesù tu, già nella sinagoga di Nazaret, dovesti sperimentare la verità della parola sul « segno di contraddizione » (cfr <i>Lc</i> 4,28ss). Così hai visto il crescente potere dell'ostilità e del rifiuto che progressivamente andava affermandosi intorno a Gesù fino all'ora della croce, in cui dovesti vedere il Salvatore del mondo, l'erede di Davide, il Figlio di Dio morire come un fallito, esposto allo scherno, tra i delinquenti. Accogliesti allora la parola: « Donna, ecco il tuo figlio! » (<i>Gv</i> 19,26). Dalla croce ricevesti una nuova missione. A partire dalla croce diventasti madre in una maniera nuova: madre di tutti coloro che vogliono credere nel tuo Figlio Gesù e seguirlo. La spada del dolore trafisse il tuo cuore. Era morta la speranza? Il mondo era rimasto definitivamente senza luce, la vita senza meta? In quell'ora, probabilmente, nel tuo intimo avrai ascoltato nuovamente la parola dell'angelo, con cui aveva risposto al tuo timore nel momento dell'annunciazione: « Non temere, Maria! » (<i>Lc</i> 1,30). Quante volte il Signore, il tuo Figlio, aveva detto la stessa cosa ai suoi discepoli: Non temete! Nella notte del Golgota, tu sentisti nuovamente questa parola. Ai suoi discepoli, prima dell'ora del tradimento, Egli aveva detto: « Abbiate coraggio! Io ho vinto il mondo » (<i>Gv</i> 16,33). « Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore » (<i>Gv </i> 14,27). « Non temere, Maria! » Nell'ora di Nazaret l'angelo ti aveva detto anche: « Il suo regno non avrà fine » (<i>Lc</i> 1,33). Era forse finito prima di cominciare? No, presso la croce, in base alla parola stessa di Gesù, tu eri diventata madre dei credenti. In questa fede, che anche nel buio del Sabato Santo era certezza della speranza, sei andata incontro al mattino di Pasqua. La gioia della risurrezione ha toccato il tuo cuore e ti ha unito in modo nuovo ai discepoli, destinati a diventare famiglia di Gesù mediante la fede. Così tu fosti in mezzo alla comunità dei credenti, che nei giorni dopo l'Ascensione pregavano unanimemente per il dono dello Spirito Santo (cfr<i> At</i> 1,14) e lo ricevettero nel giorno di Pentecoste. Il « regno » di Gesù era diverso da come gli uomini avevano potuto immaginarlo. Questo « regno » iniziava in quell'ora e non avrebbe avuto mai fine. Così tu rimani in mezzo ai discepoli come la loro Madre, come Madre della speranza. Santa Maria, Madre di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare ed amare con te. Indicaci la via verso il suo regno! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino!</p> <p align="left"><i>Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 novembre, festa di Sant'Andrea Apostolo, dell'anno 2007, terzo di Pontificato.</i></p> <p align="center"> <b>BENEDICTUS PP. XVI</b></p><hr /> <p align="left"><a linkindex="41" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref1" name="_ftn1" title="">[1]</a> <i> Corpus Inscriptionum Latinarum</i>, vol. VI, n. 26003.</p> <p align="left"><a linkindex="42" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref2" name="_ftn2" title="">[2]</a> Cfr <i>Poemi dogmatici</i>, V, 53-64:<i> PG</i> 37, 428-429.</p> <p align="left"><a linkindex="43" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref3" name="_ftn3" title="">[3]</a> Cfr<i> Catechismo della Chiesa Cattolica,</i> nn. <span class="jajahWraper"><a class="jajahLink" title="Click to call this number with JAJAH..." jajahtargetnumber="1817-1821" href="javascript:void(0)"><span class="jajahInLink">1817-1821</span></a></span>.</p> <p align="left"><a linkindex="44" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref4" name="_ftn4" title="">[4]</a> <i> Summa Theologiae</i>, II-II<sup>ae</sup>, q. 4, a. 1.</p> <p align="left"><a linkindex="45" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref5" name="_ftn5" title="">[5]</a> H. Köster: <i>ThWNT</i>, VIII (1969) 585.</p> <p align="left"><a linkindex="46" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref6" name="_ftn6" title="">[6]</a> <i> De excessu fratris sui Satyri</i>, II, 47: <i>CSEL </i>73, 274.</p> <p align="left"><a linkindex="47" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref7" name="_ftn7" title="">[7]</a> <i> Ibid</i>, II, 46:<i> CSEL</i> 73, 273.</p> <p align="left"><a linkindex="48" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref8" name="_ftn8" title="">[8]</a> Cfr Ep. 130<i> Ad Probam</i> 14, 25-15, 28: <i>CSEL </i>44, 68-73.</p> <p align="left"><a linkindex="49" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref9" name="_ftn9" title="">[9]</a> Cfr <i>Catechismo della Chiesa Cattolica,</i> n. 1025.</p> <p align="left"><a linkindex="50" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref10" name="_ftn10" title="">[10]</a> Jean Giono, <i>Les vraies richesses </i>(1936), Préface, Paris 1992, pp. 18-20, in: Henri de Lubac,<i> Catholicisme. Aspects sociaux du dogme</i>, Paris 1983, p. VII.</p> <p align="left"><a linkindex="51" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref11" name="_ftn11" title="">[11]</a> Ep. 130 <i>Ad Probam</i> 13, 24: <i>CSEL </i>44, 67.</p> <p align="left"><a linkindex="52" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref12" name="_ftn12" title="">[12]</a> <i> Sententiae </i>III, 118:<i> CCL </i>6/2, 215.</p> <p align="left"><a linkindex="53" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref13" name="_ftn13" title="">[13]</a> Cfr <i>ibid.</i> III, 71: <i>CCL</i> 6/2, 107-108.</p> <p align="left"><a linkindex="54" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref14" name="_ftn14" title="">[14]</a> <i> Novum Organum</i> I, 117.</p> <p align="left"><a linkindex="55" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref15" name="_ftn15" title="">[15]</a> Cfr.<i> ibid.</i> I, 129.</p> <p align="left"><a linkindex="56" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref16" name="_ftn16" title="">[16]</a> Cfr<i> New Atlantis.</i></p> <p align="left"><a linkindex="57" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref17" name="_ftn17" title="">[17]</a> In: <i>Werke</i> IV, a cura di W. Weischedel (1956), 777.</p> <p align="left"><a linkindex="58" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref18" name="_ftn18" title="">[18]</a> I. Kant, <i>Das Ende aller Dinge</i>, in:<i> Werke</i> VI, a cura di W. Weischedel (1964), 190.</p> <p align="left"><a linkindex="59" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref19" name="_ftn19" title="">[19]</a> <i> Capitoli sulla carità, Centuria</i> 1, cap. 1: <i>PG</i> 90, 965.</p> <p align="left"><a linkindex="60" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref20" name="_ftn20" title="">[20]</a> Cfr<i> ibid.</i>:<i> PG 90</i>, 962-966.</p> <p align="left"><a linkindex="61" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref21" name="_ftn21" title="">[21]</a> <i> Conf. </i>X 43, 70: <i>CSEL</i> 33, 279.</p> <p align="left"><a linkindex="62" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref22" name="_ftn22" title="">[22]</a> <i> Sermo </i>340, 3: <i>PL </i>38, 1484; cfr F. Van der Meer,<i> Augustinus der Seelsorger,</i> (1951), 318.</p> <p align="left"><a linkindex="63" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref23" name="_ftn23" title="">[23]</a> <i> Sermo</i> 339, 4:<i> PL </i>38, 1481.</p> <p align="left"><a linkindex="64" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref24" name="_ftn24" title="">[24]</a> <i>Conf</i>. X, 43, 69:<i> CSEL </i>33, 279.</p> <p align="left"><a linkindex="65" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref25" name="_ftn25" title="">[25]</a> Cfr <i>Catechismo della Chiesa Cattolica,</i> n. 2657.</p> <p align="left"><a linkindex="66" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref26" name="_ftn26" title="">[26]</a> Cfr <i>In 1 Joannis </i>4, 6:<i> PL</i> 35, 2008s.</p> <p align="left"><a linkindex="67" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref27" name="_ftn27" title="">[27]</a> <i>Testimoni della speranza</i>, Città Nuova 2000, 156s.</p> <p align="left"><a linkindex="68" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref28" name="_ftn28" title="">[28]</a> Breviario Romano, Ufficio delle Letture, 24 novembre.</p> <p align="left"><a linkindex="69" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref29" name="_ftn29" title="">[29]</a> <i> Sermones in Cant., Serm.</i> 26,5:<i> PL</i> 183, 906.</p> <p align="left"><a linkindex="70" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref30" name="_ftn30" title="">[30]</a> <i>Negative Dialektik</i> (1966) Terza parte, III, 11, in: Gesammelte Schriften Bd. VI, Frankfurt/Main 1973, 395.</p> <p align="left"><a linkindex="71" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref31" name="_ftn31" title="">[31]</a> <i>Ibid.</i>, Seconda parte, 207.</p> <p align="left"><a linkindex="72" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref32" name="_ftn32" title="">[32]</a> DS 806.</p> <p align="left"><a linkindex="73" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref33" name="_ftn33" title="">[33]</a> Cfr<i> Catechismo della Chiesa Cattolica,</i> nn. <span class="jajahWraper"><a class="jajahLink" title="Click to call this number with JAJAH..." jajahtargetnumber="988-1004" href="javascript:void(0)"><span class="jajahInLink">988-1004</span></a></span>.</p> <p align="left"><a linkindex="74" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref34" name="_ftn34" title="">[34]</a> Cfr<i> ibid.</i>, n. 1040.</p> <p align="left"><a linkindex="75" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref35" name="_ftn35" title="">[35]</a> Cfr<i> Tractatus super Psalmos</i>, <i>Ps</i>. 127, 1-3: <i>CSEL</i> 22, 628- 630.</p> <p align="left"><a linkindex="76" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref36" name="_ftn36" title="">[36]</a> <i> Gorgia</i> 525a-526c.</p> <p align="left"><a linkindex="77" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref37" name="_ftn37" title="">[37]</a> Cfr<i> Catechismo della Chiesa Cattolica, </i>nn. <span class="jajahWraper"><a class="jajahLink" title="Click to call this number with JAJAH..." jajahtargetnumber="1033-1037" href="javascript:void(0)"><span class="jajahInLink">1033-1037</span></a></span>.</p> <p align="left"><a linkindex="78" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref38" name="_ftn38" title="">[38]</a> Cfr<i> ibid., </i>nn. <span class="jajahWraper"><a class="jajahLink" title="Click to call this number with JAJAH..." jajahtargetnumber="1023-1029" href="javascript:void(0)"><span class="jajahInLink">1023-1029</span></a></span>.</p> <p align="left"><a linkindex="79" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref39" name="_ftn39" title="">[39]</a> Cfr<i> Catechismo della Chiesa Cattolica, </i>nn. <span class="jajahWraper"><a class="jajahLink" title="Click to call this number with JAJAH..." jajahtargetnumber="1030-1032" href="javascript:void(0)"><span class="jajahInLink">1030-1032</span></a></span>.</p> <p align="left"><a linkindex="80" href="http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html#_ftnref40" name="_ftn40" title="">[40]</a> Cfr <i>Catechismo della Chiesa Cattolica, </i>n. 1032.</p> <p> </p> <p align="center"> <span style="font-family:Times New Roman;font-size:100%;color:#663300;">© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana</span></p>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-39942888891193162692007-12-04T04:04:00.000+00:002007-12-04T20:30:26.013+00:00cresce il baratro tra un ordine spirituale e il caos mondiale.<blockquote></blockquote><a href="http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=3854&ID_sezione=&sezione="></a>di Marco Baldassari<br /><br />In risposta all'enciclica sulla speranza, questo disarmante <a href="http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=3854&ID_sezione=&sezione=">articolo di Rusconi su La stampa</a> evidenzia il processo divergente che sta allargando il baratro tra la visione relativista globale puramente materialista e quella orientata di un sistema che tenga in conto coerentemente sia la dimensione materiale che quella spirituale.<br /><br />Infatti le due diverse realta' non solo risultano incompatibili su molteplici valori cardine, ma divergono in modo antitetico nel metodo di valutazione della scala dei valori.<br /><br />Dice Rusconi:<br /><blockquote style="font-style: italic;">Il discorso del Papa, con l’accusa rivolta all’Onu di «relativismo morale», è chiarissimo. nelle grandi questioni di scelta etica, il contrasto tra una visione religiosa e una concezione laica diversamente orientata è insuperabile sul piano dei principi. Sorge allora l’interrogativo di come tali incompatibilità possano incidere sulla convivenza di uomini e di donne, di culture e di organizzazioni che si muovono con assunti morali differenti.</blockquote>Essendovi divergenze antitetiche su valori cardine del vivere sociale, diventa impossibile realizzare ordinamenti giuridici e norme sociali compatibili con entrambi i sistemi. Questo significherebbe che in prospettiva si dovrebbero scindere "due mondi" ciascuno con regole proprie.<br /><br />La possibilita' di ricondurre la visione laicista e quella orientata spirituale in un unico sistema sociogiuridico e' infatti subordinata al riconoscimento reciproco di verita' e valori condivisi e metodi per definirli.<br /><br />Purtroppo risulta evidente che l'antiteticita' trai due sistemi sta proprio nel metro di giudizio valoriale:<br /><blockquote style="font-style: italic;">Il paradosso è che soltanto una visione laica, che ora viene sistematicamente diffamata come relativista, si fonda sulla convinzione che «il rispetto dell’uomo» incominci proprio dal rispetto delle diversità delle posizioni. Diversità - si badi - non affermata in modo insindacabile, «auto-centrata» (per dirla con il Papa), cioè basata su opinioni personali che si sottraggono al confronto con le altre. Al contrario, tutte le posizioni devono essere sempre e continuamente argomentabili con tutti, senza pre-giudizio morale.</blockquote>In sintesi, la cultura laicista considera valore supremo proprio il relativismo - ovvero la continua e costante rinegoziazione tra tutte le posizioni personali - che il sistema orientato e spirituale considera il difetto supremo del laicismo. Le posizioni non sono solo inconciliabili, ma radicalmente divergenti.<br /><br />Siccome il mondo iperconnesso sta collassando in un punto, richiedendo un unico sistema omogeneo per tutto il mondo, queste due visioni del mondo, radicalmente antitetiche sono destinate a venire in conflitto.<br /><br />Inoltre viene rifiutata la visione cattolica come latrice di valori universali, perche' in essa e' implicitamente inclusa una visione spirituale che definisce in modo preciso e dogmatico la verita' spirituale cattolica:<br /><blockquote style="font-style: italic;">La Chiesa oggi si autopromuove sempre più come «agenzia etica», «esperta dell’umano» senza volere o potere esplicitare le motivazioni dogmatico-religiose che la guidano. Pubblicamente lascia così indeterminato o semplicemente non detto il nesso stretto tra la sua idea di «vita», di «natura», di «dignità umana» e le dottrine tradizionali del peccato o della redenzione in Cristo che le sottendono.</blockquote>In altri termini, siccome la chiesa dei credenti si occupa di un qualcosa che i laicisti - ovvero gli atei - rifiutano, anche l'insieme dei valori etici che propone deve rimanere confinato nella soggettivita' individuale e non puo' essere proposto come valore universalmente riconosciuto.<br /><br />E' vero che il papa e' tenuto a diffondere la visione cattolica integrale e che non avrebbe senso ragionare su un sottoinsieme di essa, perche' la visione e' monolitica e completa, non parcellizzabile.<br /><br />Pero' non e' difficile provare matematicamente che il relativismo porta al caos.<br /><br />Intanto la visione orientata della chiesa - come quella di analoghe religioni e filosofie - ha il pregio di essere radicata nella cultura in cui un popolo si riconosce e tramanda educando i figli. Ha il pregio di offrire un comune modello educativo a tutti i figli che si affacciano su questo mondo, in cui i figli possano riconoscersi, identificarsi e sentire la loro appartenenza a una comunita' orientata. L'educazione, funzione essenziale, richiede una guida, una funzione paterna che dia esempio incarnando delle regole chiare da trasmettere.<br /><br />Se il relativismo definisce il metodo di verita' come "tutte le posizioni devono essere sempre e continuamente argomentabili con tutti" in una continua e costante rinegoziazione tra tutte le posizioni personali - per definizione diventa impossibile educare. Infatti quale posizione sarebbe lecito insegnare, se non tutte contemporaneamente? Siccome la somma di un universo di posizioni antitetiche e' zero, questo equivale a non insegnare nulla. Anzi, nella realta' dei processi cognitivi, equivale a realizzare il caos nelle menti di poveri disgraziati figli del relativismo.<br />Non a caso i giovani di oggi appaiono alquanto confusi e conflittuali. Non avendo piu' limiti ne regole precise, non sanno neppure come fare per trasgredire le regole. Sono nel caos e nell'impossibilita' di fare l'esperienza della contrapposizione antagonista al padre ovvero alle regole. O mandano tutti affanculo e si fanno le proprie regole a partire da zero (ovvero le regole del branco) come nel ben noto romanzo "The lord of the flies" o escono pazzi e si suicidano o diventano borderline.<br /><br />Insomma il relativismo sul piano psicopedagogico e' na chiavica.<br /><br />Anche nel ridefinire in modo "evoluzionistico" le regole e i valori con il processo di rinegoziazione continua di tutte le posizioni personali, il modo relativistico presenta il suo limite teorico. Ovvero, non definendo altro criterio di elaborazione della verita' che quello del confronto e rinegoziazione tra "tutte le possibili posizioni personali" tutto viene costantemente rimesso in discussione. Inoltre ciascun individuo singolarmente ha lo stesso identico "peso" di tutti gli individui sul pianeta, con cui far valere, in ottica apparentemente democratica le proprie buone ragioni. In altri termini significa che ciascuna persona sulla terra ha il diritto di costruirsi le teorie con le quali dimostrare che puo' fare quello che gli pare, con pieno diritto di farlo.<br /><br />Immaginiamo dunque il sistema matematico, che per definizione non presenta ambiguita' e dunque definisce un modello preciso di una realta' totalmente astratta - questo e' il bello della matematica. Non abbiamo problemi filosofici di percezione della realta' e di grado di verita' del modello che la approssima. La verita' matematica e' conoscibile perfettamente. Pero' sappiamo che la matematica e' frutto di un lunghissimo processo di apprendimento e di astrazioni successive. Se ogni studentello di matematica, ignorando la teoria che si e' sviluppata nel corso di millenni nel mondo, cominciasse a ridefinirsi il modello matematico a partire dalle sue dita, forse impiegherebbe una vita per arrivare ad accorgersi che gli serve lo zero e per definire la moltiplicazione e la divisione. Molti non arriverebbero neppure a far di conto per comprarsi "ecce bombo" all'alba uscendo dalla discoteca.<br /><br />Quello che il relativismo mette in crisi e' la possibilita' di evolvere culturalmente, elevandosi sulle spalle di chi ci ha preceduti, se non esistendo una verita' tutto viene costantemente rinegoziato da ciascun individuo sul pianeta. Non esistendo una sola verita' ne esistono infinite. Di fatto ne esiste solo una, quella che va di moda in quel momento, incarnata nel sistema sociogiuridico in continua oscillazione browniana, scaldato ora da questa ora da quella fazione o "esperto" relativisticamente parlando. Tanto e' tutto relativo.<br /><br />Inoltre il relativismo, in un mondo iperconnesso e globalizzato, oltre a portare al caos di informazione, porta velocemente al "totalitarismo isterico", laddove nel caos un qualcosa deve imporsi per dare regole universali. Per la composizione totalmente browniana di questo magma ridefinito costantemente su base puntuale, e' altamente probabile che l'insieme di tutte le regole universalmente imposte a tutti - per questo totalitarie - non riescano a trovare una integrazione coerente tra loro, essendo state negoziate individualmente - per questo isteriche.<br /><br />Ma oltretutto non e' vero che tutti sono connessi con tutti e non e' vero che tutti dispongono dell'informazione, del tempo e della capacita' di elaborazione per partecipare alla contrattazione del sistema di regole. Anzi, il tempo diventa un fattore limitante, perche' la vita intera di una persona non basterebbe per discutere una minima frazione delle regole e delle verita' che vengono costantemente rimesse in discussione da tutti. Ne risulta necessariamente limitata la profondita' alla quale si riesce a discutere.<br /><br />La ridefinizione della verita' globale diventerebbe un processo simile alla redazione del verbale di una riunione di condominio. Il caos appunto. Oppure, siccome il condominio deve rimanere in piedi, la dittatura del caposcala di turno. Che e' la stessa cosa.<br /><br />Ritornando ai nostri sistemi sociogiuridici relativistici, il problema che si pone e' la valutazione funzionale del sistema sul piano sociale. Data la continua ricontrattazione delle posizioni individuali, il sistema sociale diventa difficilmente osservabile, perche' gli effetti sociali sugli individui e sulla societa' si osservano nel tempo delle generazioni (anche tre) mentre il metodo relativistico rende estremamente instabile e dinamico il sistema di regole che governa il sistema sociale. Come un sistema eccessivamente controreazionato diventa intrinsecamente instabile, un sistema relativistico cambiando le regole con una costante di tempo di gran lunga inferiore all'inerzia del sistema sociale, rende impossibile osservare gli effetti sociali delle regole.<br /><br />Quindi il sistema chiesa ha un grandissimo pregio, potendo contare su persone che si dedicano da una vita allo studio di quanto elaborato dalle generazioni precedenti, imparando da quanto gia' sedimentato nel tempo, si appoggiano sulle spalle di altri nel processo di crescita. Mantenendo la discussione in un "focus group" dedicato si incaricano di studiare il sistema etico piu' funzionale all'umanita', tenendo conto delle esigenze delle generazioni, degli aspetti materiali e spirituali.<br /><br />Come disse Spinoza, siamo comunque nel migliore dei mondi possibili. Just relax. Have faith.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-77602872134471854832007-11-29T04:06:00.000+00:002007-11-29T04:06:48.678+00:00il popolo italiano si fida sempre menoDire che e' un piacere pagare le tasse a chi e' onesto e cerca di guadagnarsi il pane sul libero mercato, suona un poco come uno sfotto quando poi "chi tocca i fili muore" (ogni riferimento a Forleo e De Magistris e' puramente casuale). C'e' il pericolo che l'esercito dei bamboccioni, dei tassisti, degli ultras, etc etc etc dia lo sfratto esecutivo ai burattinari d'itaglia.<br /><br /><a href="http://blog.panorama.it/italia/2007/11/28/la-cassazione-contro-la-forleo-ma-abbiano-il-diritto-di-sapere-perche/">La Cassazione contro la Forleo. Panorama.it - Italia</a>: "il popolo italiano si fida sempre meno"<br /><br />Quanti magistrati sono stati puniti dalla Cassazione per avere intercettato politici che non dovevano, espresso giudizi sopra le righe, avere addirittura offeso l’onore delle forze dell’ordine? Quanti hanno subito il trasferimento d’ufficio ad opera del Csm? <p>Perché questo è capitato e <a set="yes" linkindex="25" href="http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=223821" target="_blank">sta capitando a Cementina Forleo</a>, il Gip di Milano che indaga sull’<a linkindex="26" href="http://blog.panorama.it/italia/index.php?tag=unipol"><em>affaire</em> Unipol</a> e che ha chiesto al Parlamento <a set="yes" linkindex="27" href="http://blog.panorama.it/italia/2007/07/20/il-giudice-forleo-i-politici-complici-consapevoli-di-consorte-co/">l’autorizzazione ad utilizzare le intercettazioni </a>di alcuni esponenti di Forza Italia, ma soprattutto dei diessini <a linkindex="28" href="http://today.reuters.it/news/newsArticle.aspx?type=topNews&storyID=2007-11-08T154343Z_01_LAN851570_RTRIDST_0_OITTP-DALEMA-FORLEO.XML" target="_blank">Massimo D’Alema e Nicola Latorre</a>. Ricevendo tra l’altro una risposta da Comma 22: la legge dice che richieste simili vanno indirizzate alla Camera di appartenenza o a quella di provenienza, ma all’epoca dei fatti il ministro degli Esteri era europarlamentare, dunque la richiesta va indirizzata a Strasburgo; ma siccome oggi non lo è più sarebbe irricevibile anche là. Insomma, quella lettera “o” non è chiara ai legislatori che l’hanno scritta.</p> <p>È evidente che la Forleo non è una Giovanna D’Arco ed è chiaro anche ai non addetti ai lavori che ha peccato di protagonismo, accettando di comparire in tv e parlando di manovre politiche e istituzionali nei suoi confronti. Ciò che invece non è per nulla evidente, e che probabilmente non sapremo mai, è se nel merito dell’indagine Unipol ed i suoi sospetti sui politici erano fondati. Così come non sapremo se era fondata <a linkindex="29" href="http://blog.panorama.it/italia/2007/09/28/catanzaro-story-de-magistris-non-cede-a-mastella/">l’indagine sui potenti di De Magistris.</a><br />In passato altri magistrati avevano esternato in pubblico e avevano ceduto al protagonismo, come e ben più della Forleo. Basta pensare a Saverio Borrelli, ad Tonino Di Pietro (quando faceva il pm), a Giancarlo Caselli, ad <a linkindex="30" href="http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/cronache/file/casocordova.html" target="_blank">Agostino Cordova</a>, a molti altri. Erano stati discussi, soggetti a ispezioni ministeriali, ma mai era stato impedito loro di portare avanti le indagini. Che erano andate a segno con esiti assai fragorosi.</p> <p>Altri giudici erano incorsi in clamorosi errori giudiziari - il più noto quello per <a linkindex="31" href="http://www.repubblica.it/online/album/ottantatre/biagi/biagi.html" target="_blank">Enzo Tortora</a> - senza tracce di punizioni e trasferimenti. Proprio oggi un gip ha archiviato buona parte delle accuse di estorsione dell’inchiesta Vallettopoli messa in piedi dal pm Henry John Woodcock , altro magistrato che non vola precisamente basso. Perché questi due pesi e due misure?</p> <p>Ora, a distanza di pochi giorni, sia la Forleo sia il pm di Catanzaro Luigi De Magistris vengono messi in condizioni di non lavorare. Che entrambi abbiano toccato politici della maggioranza (e dell’opposizione), incorrendo nelle ire sia del governo sia di parte del centrodestra non può apparire un caso. Il garantismo è un principio sacrosanto, ma andrebbe applicato a tutti: quante intercettazioni illegittime o discutibili si fanno ogni giorno in Italia? Quanti magistrati dicono la loro il politica e in tv? Quanti si trasferiscono direttamente in partiti o nei governi?</p> <p>Il miglior modo per giudicare un magistrato resta quello di sottoporlo al giudizio di un organismo davvero terzo. Per un pm dovrebbe essere naturalmente un giudice, se esistesse una reale divisione delle funzioni e soprattutto delle carriere. Se compie delle palesi infrazioni disciplinari, c’è in Italia il Csm: a condizione però che usi per tutti lo stesso metro di giudizio. Ma sarebbe meglio anche in questo caso evitare gli organi di autogoverno e ricorrere, anche qui, ad organismi terzi. Si torna insomma alla netta distinzione tra procuratori e giudici; che però in Italia non c’è.</p> <p>Infine due parole sulle parole scelte dalla Cassazione per promuovere l’azione disciplinare di fronte al Csm: “<span style="font-weight: bold;">abnorme invasione di campo</span>”, “<span style="font-weight: bold;">osservazioni stupefacenti e illegittime</span>” “<span style="font-weight: bold;">grave e inescusabile negligenza aver richiesto alla Camera l’autorizzazione a procedere</span>”. Non siamo abituati a sentire magistrati che rompono lo spirito di casta per processare in questi termini uno di loro. Forse è l’inizio di un’inversione di tendenza, magari salutare. Forse, come per De Magistris, è invece un modo per <span style="font-weight: bold;">giustificare la sostituzione di colleghi scomodi</span>. Il problema è che non lo sapremo mai, perché la politica ha già abbondantemente strumentalizzato i casi Forleo e De Magistris. <span style="font-weight: bold;">La Cassazione e il Csm dovrebbero dunque spiegare e documentare le loro accuse all’opinione pubblica.</span> In fondo i magistrati agiscono “in nome del popolo italiano”, ma il popolo italiano si fida sempre meno, e qualche buona ragione ce l’ha. </p>Unknownnoreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-24202009248502414452007-11-27T11:21:00.000+00:002007-11-27T11:31:41.496+00:00Due morti al prezzo di una figa.<a href="http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=">ilGiornale.it - "Elimina mio marito e sarò tua". Omicidio, poi suicidio</a><br /><br /><span class="xtesto_notizie"><a href="javascript:;" onclick="MM_openBrWindow('/img_popup.pic1?IMG_ID=&BIG=1','IMGPopup','scrollbars=yes,width=900,height=800')"><img src="http://www.ilgiornale.it/art_jpg.php?ID=&X=490&Y=500" alt="Clicca per ingrandire" class="foto_inerte" border="0" /></a><br /> <p class="xtesto_notizie"> Sono tragedie. Ma nel bel mezzo affiora il ghigno beffardo della commedia, un po’ Molière e un po’ Ionesco. Anche se nella fattispecie, i morti essendo veri, il riso finisce per essere un po’ amaro; e il farsesco, dopo un altro po’, vira nel dramma.<br /></p> <p class="xtesto_notizie"> Vedrà il lettore che il canovaccio, fino a un certo punto, è piuttosto scontato. C’è il finto incidente di caccia, con un morto. E qui siamo nel classico. C’è un uomo, legato da amicizia e dalla comune passione venatoria al defunto, che si toglie la vita, anche lui con una fucilata. E qui siamo nel giallo. Poi c’è lei, la moglie del primo morto, che finisce con le manette ai polsi con l’accusa di aver istigato quello che non un incidente di caccia era, ma un omicidio premeditato. E qui, volendo, siamo di nuovo nel classico. È quando si scopre che il morto suicida era l’aspirante amante della donna (aspirante nel senso che lei gliela aveva fatta intravedere, negandogliela a servizio ottenuto, come ora raccontano con dissacrante e molto toscana ribalderia nei bar di Pontremoli) che la commedia degli equivoci vira nella tragedia shakespeariana. </p> <p class="xtesto_notizie"> Ma la sciarada dura lo spazio di poche righe.<br />Tutto comincia il 17 novembre, quando nei boschi di Pallerone, vicino ad Aulla (La Spezia) viene trovato morto, con un fucilata nel petto, tale Maurizio Cioni, quarantanovenne magazziniere di Follo, altro comune spezzino. Si disse: incidente di caccia. Forse un bracconiere, chissà. L’altro ieri, domenica, ad Arcola, lì vicino, si uccide con una fucilata nel petto Giordano Trenti, 50 anni, impiegato, moglie e due figli, amico e sodale del Cioni. Addosso, i carabinieri gli trovano un biglietto che avrebbe insospettito anche chi carabiniere non è. C’è scritto: «Io non so chi abbia ucciso Maurizio, ma questa cosa non riesco a sopportarla». Si va dalla moglie del primo morto, a questo punto. Clara Maneschi, così si chiama, resiste sei ore sotto il fuoco di fila di domande degli investigatori. Poi crolla. E racconta. </p> <p class="xtesto_notizie"> Racconta che con il marito Maurizio (padre di due figli avuti dalla prima moglie) il rapporto si era ultimamente deteriorato. Le aveva anche prese, in qualche occasione, lei; e di questo (e del malandare in famiglia, ormai insanabile) Clara si era confidata con l’amico di famiglia Giordano Trenti. Il quale essendosi nel frattempo innamorato della donna le promise che avrebbe pensato lui a sistemare la faccenda una volta per tutte. Se poi questa promessa sia venuta in cambio di un’altra promessa, o addirittura di un congruo anticipo del genere al quale state pensando (come giurano sempre nei bar di Pontremoli) non sappiamo. Sappiamo solo che il 16 novembre Clara chiama il Trenti per dirgli che il marito l’indomani sarebbe andato a caccia da solo. La vigilia i due uomini si incontrano a Vezzano Ligure, in un ricovero per cani dove la vittima teneva i suoi segugi. E il 18 scatta l’agguato nel bosco. Un colpo solo. Pallettoni da cinghiale. «Tutto apposto. Ti ho resa felice», le dice il Trenti al telefono. </p></span><span class="xtesto_notizie"><p class="xtesto_notizie"> Poi il rimorso, la sindrome di Raskolnikov, i pensieri devastati da un senso di colpa intollerabile. Rimorso impiombato, e reso infine insostenibile, anche dall’atteggiamento di donna Clara, che quando il Trenti le si presenta davanti, convinto di incassare il pattuito, lei lo guarda con freddezza, e all’ingrosso gli dice: «Scusa, ma a te chi ti conosce?». Ai carabinieri la donna confida: «Speravo che dopo averlo ucciso si costituisse». </p> <p class="xtesto_notizie"> Sono tragedie. Perché qui non c’è solo il rimorso per essersi lordato le mani del sangue di un amico (sempre che la storia risulti infine confermata. E i protagonisti che dicano il come e il perché non ci son più). Qui c’è anche la rabbia, il disdoro, la bruciante vergogna per essere stato gabbato come un grullo da una mantide di cui l’uomo non aveva neppure intravisto l’algida doppiezza. Difficile, in casi come questi, alzarsi volentieri al mattino. Nello specchio, uno vede solo un tipo a cui vien voglia di sparare un colpo. </p></span><a href="http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID="> </a>Unknownnoreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-40522507187922304122007-11-26T17:06:00.000+00:002007-11-26T18:03:40.351+00:00Stop alla propaganda di odio antimaschile.Sulla violenza domestica e' in corso un ampio dibattito internazionale in USA, nelle sedi ONU e in Europa, per dimensionare correttamente il fenomeno e comprenderlo nei dettagli, con dati oggettivi, in modo da elaborare strategie di contrasto alla violenza domestica.<br /><br /><blockquote>"In his latest Fox News debate, <span style="font-weight: bold;">Marc Rudov stated that HHS and CDC statistics show women and men commit domestic violence equally. </span>The website "MediaMatters for America" has responded by calling Marc's statement false. (See article and video at <a href="http://mediamatters.org/items/" target="_blank">http://mediamatters.org/items<wbr>/</a>). <span style="font-weight: bold;">Media Matters claims that the ratio is 62% to 38%."<br /><br /></span>In March 2007, the peer-reviewed scientific journal, "American Journal of Public Health" published a report by Centers for Disease Control researchers Whitaker, Haileyesus, Swahn, and Saltzman entitled "Differences in Frequency of Violence and Reported Injury Between Relationships With Reciprocal and Nonreciprocal Intimate Partner Violence". (<a href="http://www.ajph.org/cgi/content/abstract/97/5/941" target="_blank">http://www.ajph.org/cgi/content/abstract/97/5/941</a>). <span style="font-weight: bold;"><br /></span><p><span style="font-weight: bold;">This study reports that women are the sole perpetrator in 70% of cases where the other partner was non-violent!</span> </p><span style="font-weight: bold;">Today, there are over 200 major studies reporting that women initiate at least half of domestic violence, and little credible scientific evidence to the contrary.</span> (<a href="http://www.csulb.edu/%7Emfiebert/assault.htm" target="_blank">http://www.csulb.edu/~mfiebert<wbr>/assault.htm</a>)</blockquote><span style="font-weight: bold;">Evidentemente si sta dibattendo sui valori di una forchetta che pone consistenti responsabilita' della violenza domestica a carico delle donne, del 40-50% circa.<br />Quindi la criminalizzazione maschile a senso unico e' FALSA E STRUMENTALE.<br /></span><br />Essendo questo il risultato della ricerca internazionale sulla violenza, com'e' possibile in Italia questa radicale campagna antimaschile, che presenta dati manipolati per gonfiare il fenomeno a livelli non credibili e facendo apparire gli uomini come responsabili esclusivi della violenza?<br /><br />Nessun giornalista e nessun giornale o televisione ha ancora messo in dubbio le cifre e i metodi di indagine, amplificando acriticamente una palese campagna denigratoria del genere maschile.<br /><br />Diventa lecito chiedersi a chi serve questa propaganda e quali sono le finalita' occulte?<br /><br />Le signore, circa 30.000, che sfilavano sabato a Roma nel corteo <a set="yes" linkindex="16" href="http://roma.repubblica.it/dettaglio/Corteo-la-rabbia-delle-donne-contestate-le-ministre-presenti/1394028?ref=rephp"><strong>antiviolenza </strong></a>hanno scritto con la vernice all’inizio d via Torino "<span style="font-weight: bold;">IL MASCHIO MORTO NON STUPRA</span>" che, come piattaforma della manifestazione, ci pare un messaggio <a set="yes" linkindex="17" href="http://qn.quotidiano.net/2007/11/25/49022-corteo_delle_donne_anti_violenza.shtml"><strong>molto chiaro.</strong></a><br /><br />Pubblichiamo dunque integralmente il comunicato della associazione GESEF<br /><br />=======================================================<br /><p>COMUNICATO STAMPA: Fermiamo la Violenza Femminista<br /></p><p><span style="font-weight: bold;">Stop alla Propaganda Terroristica di Dati Falsi e Mistificati </span><br /></p><p> Con la presente intendiamo attuare un'informazione di contrasto<br />alla propaganda mistificatoria inerente la violenza sulle donne.<br />Evidenziando falsità e manipolazione dei relativi dati statistici,<br />diffusi in maniera sproporzionatamente ridicola - senza alcun<br />riscontro - da parte di Ministri, esponenti parlamentari e sedicenti<br />"esperte", attraverso un martellamento mediatico senza precedenti<br /></p><p> <span style="font-weight: bold;">Tale propaganda mira a radicare nell'immaginario collettivo </span><br /><span style="font-weight: bold;"> l'idea di un ambiente domestico scenario di delitti e terribili </span><br /><span style="font-weight: bold;"> violenze, dove vittima è sempre e solo la donna mentre il carnefice è </span><br /><span style="font-weight: bold;"> esclusivamente di sesso maschile. </span><br /></p><p> Vengono svelate <span style="font-weight: bold;">cifre inquietanti</span> quanto sospette: oltre sei<br />milioni (qualcuno ha sparato 14 milioni) di donne hanno subito<br />violenza da parte di un partner o altro familiare, di cui la metà<br />stuprate. Sulla base <span style="font-weight: bold;">di dati statistici pubblicati dall'Istat, dietro </span><br /><span style="font-weight: bold;"> incarico della Ministra per le Pari Opportunità Barbara Pollastrini. </span><br />La quale <span style="font-weight: bold;">ha potuto disporre di un finanziamento doppio per il suo </span><br /><span style="font-weight: bold;"> dicastero rispetto a quanto previsto per il suo predecessore.<br /></span></p><p><span style="font-weight: bold;"></span> Leggendo tali dati sul sito dell'Istituto si scopre che altro non sono<br />che <span style="font-weight: bold;">proiezioni statistiche dei risultati scaturenti da un sondaggio </span><br /><span style="font-weight: bold;"> telefonico effettuato lo scorso anno su 25.000 abbonate</span><br />(v. <a target="_blank" rel="nofollow" href="http://www.istat.it/">www.istat.it</a>),<br /></p><p>La nota metodologica del sondaggio chiarisce che le domande poste<br />alle intervistate<span style="font-weight: bold;"> evitano volutamente riferimenti espliciti alla </span><br /><span style="font-weight: bold;"> violenza fisica o sessuale,</span> ma invitano le stesse a "descrivere<br />concretamente atti e/o comportamenti in modo di rendere più facile<br />alle donne aprirsi". Ciò per evitare una sottostima del fenomeno,<br />"[...] sottostima che può essere determinata anche dal fatto che a<br />volte le donne non riescono a riconoscersi come vittime e non hanno<br />maturato una consapevolezza riguardo alle violenze subite". <span style="font-weight: bold;">Non sono </span><br /><span style="font-weight: bold;"> quindi le donne intervistate ad aver denunciato violenze subite, bensì </span><br /><span style="font-weight: bold;"> le loro descrizioni sono poi state catalogate in varie fattispecie di </span><br /><span style="font-weight: bold;"> "violenza. </span><br /></p><p>Cosicché l'attenzione sessuale diventa molestia, l'esercizio del<br />dovere coniugale dal parte del partner diventa stupro, un banale<br />litigio diventa violenza fisica, <span style="font-weight: bold;">una critica al vestito o alla </span><br /><span style="font-weight: bold;"> pettinatura é considerata violenza psicologica</span>, un blando rifiuto<br />diventa limitazione della libertà personale, la necessità di chiarire<br />situazioni ambigue diventa violazione della privacy, la richiesta di<br />una equa distribuzione delle risorse familiari diventa ricatto<br />economico.<br /></p><p> I dati del sondaggio assunti come scientifici - ripetiamo:<br />25.000 interviste telefoniche "guidate"- oltreché proiettarsi<br />riversati statisticamente sull'intera popolazione femminile italiana<br />di età 16-59 anni, sono costruiti in funzione esclusiva di uno<br />spettacolare allarmismo, e dunque sottratti al rigore della prova dei<br />fatti. Tale metodologia è già stata adottata nel decennio scorso in<br />altri Paesi Europei ed occidentali, e fortemente contestata da<br />femministe storiche dotate di un certo spessore intellettuale (ad es.<br />Francia: vedi Elisabeth Badinter - Il percorso sbagliato).<br /></p><p> Consola il fatto che l'<span style="font-weight: bold;">Assemblea ONU</span>, pur avendo decretato il 25<br />novembre come giornata contro la violenza alle donne già dal 2001, <span style="font-weight: bold;">lo </span><br /><span style="font-weight: bold;"> scorso anno ha "preso nota" ma di fatto rigettato l'ultimo rapporto </span><br /><span style="font-weight: bold;"> sulle violenze domestiche</span> contro le donne presentato dall'uscente<br />Segretario, poiché <span style="font-weight: bold;">quanto contenuto risultava outrageously inaccurate, </span><br /><span style="font-weight: bold;"> contrived, manipulated and most distinctly dangerous</span>, come riportato<br />dalla stampa statunitense<br /></p><p> La Ministra, ed altri esponenti del Governo e dell'Opposizione<br />Parlamentare, oltre a propinarci dati mistificati, azzarda anche<br />impressionanti confronti: la violenza domestica sarebbe la causa<br />principale di decessi ed invalidità, prima del cancro e degli<br />incidenti automobilistici.<br /></p><p> Auspichiamo che la ventilata riduzione del numero di ministri la<br />coinvolga, stante la sua imperizia a documentarsi: i delitti familiari<br />che registrano una donna come vittima ad opera di un familiare si<br />contano annualmente in numero di 60 a fronte di oltre 10.400 decessi<br />femminili conseguenti malattie cancerogene (per un totale di oltre<br />18.000 considerate tutte le patologie - v. Istituto Superiore di<br />Sanità) e 600 per incidenti stradali.<br /></p><p> <span style="font-weight: bold;">Al tempo stesso si tace della violenza femminile e materna: le </span><br /><span style="font-weight: bold;"> cronache ci forniscono amari resoconti di omicidio, uxoricidio ed </span><br /><span style="font-weight: bold;"> infanticidio, oltreché della partecipazione ad episodi di abuso </span><br /><span style="font-weight: bold;"> sessuale che attestano il medesimo potenziale di brutalità.</span> Anche se<br />allo stesso reato si conferisce raramente un carattere penale quando a<br />commetterlo sono delle donne: ciò mette in pericolo l'immagine che<br />hanno di se stesse, e si tende a giustificarle - talora a<br />legittimarle - con argomenti che rasentano il grottesco.<br /></p><p> Le sottaciute inchieste europee informano che il 10% delle<br />violenze domestiche sono rappresentate da mogli che picchiano i<br />mariti. Al punto che la Germania da qualche anno ha inaugurato due<br />rifugi per uomini vittime di percosse, ed altrettanto stanno facendo<br />Spagna e Belgio.<br /></p><p><span style="font-weight: bold;">In Italia l'unica indagine esistente è stata effettuata dalla </span><br /><span style="font-weight: bold;"> scrivente GESEF </span>su un campione di genitori che si sono rivolti alle<br />sue strutture per aiuto e supporto .<span style="font-weight: bold;"> </span>Attesta che nell'ambito del<br />conflitto separativo<span style="font-weight: bold;"> un marito su tre è fatto oggetto di denunce per </span><br /><span style="font-weight: bold;"> abuso sessuale sui figli o sulla partner, finalizzate ad allontanarlo </span><br /><span style="font-weight: bold;"> definitivamente dai figli.</span> Denunce che risultano sistematicamente<br />false, ma la cui prassi giudiziaria provoca conseguenze devastanti sia<br />sul piano psicologico che economico degli accusati. <span style="font-weight: bold;">Rileva altresì che </span><br /><span style="font-weight: bold;"> oltre il 50% dei mariti ha subito violenze fisiche di varia natura ed </span><br /><span style="font-weight: bold;"> entità. </span><br /></p><p> Analoga percentuale si rileva da imponenti studi effettuati<br />negli USA ed altri Paesi anglosassoni: le violenze domestiche sono<br />agite e subite in maniera paritaria tra uomini e donne, anche se<br />queste ultime eccellono per violenza psicologica e provocatoria.<br /></p><p>In tutto il mondo infanticidio e figlicidio restano primato assoluto<br />delle donne.<br /></p><p> La Ministra Pollastrini, titolare di un dicastero definito<br />appunto Pari Opportunità, non si è però mai posta lo scrupolo di<br />richiedere all'Istat analoga ricerca concernente l'eventuale violenza<br />subita dagli uomini.<br /></p><p> La manifestazione organizzata nella vigilia della giornata<br />preposta dall'ONU, alla luce di siffatte statistiche induce qualche<br />dubbio, poi confermato dagli avvenimenti<br /></p><p> Infatti la frangia separatista del femminismo nostrano che ha<br />organizzato l'evento, impossessandosi della tematica "violenza alle<br />donne" l'ha trasformata in violenza maschile alle donne, tappezzando<br />le strade di Roma con manifesti diffamatori contro gli uomini<br /></p><p> Gli slogans esibiti ed urlati durante il corteo sono stati una<br />fiorescenza della colorata cialtroneria veterofemminista anni '70,<br />come qualcuno ha poi scritto. Cui si è aggiunta una vera e propria<br />offensiva misandrica di regime per imporre l'idea che qualunque uomo<br />che si muove tra le pareti domestiche è un potenziale assassino<br /></p><p>Viene chiamata in causa non la violenza esercitata da singoli<br />delinquenti, ma quella collettiva che pervaderebbe culturalmente<br />l'intera popolazione maschile.<br /></p><p>Una manifestazione, dunque, contro gli uomini e contro la famiglia.<br />Scivolando infine nell'antipolitica, come insulti e aggressioni a<br />giornalisti, deputate e ministre ci hanno mostrato, confermando il<br />dispotismo delle femministe che manifestavano contro la violenza alle<br />donne.<br /></p><p><span style="font-weight: bold;"> La violenza più subdola sta nella loro campagna di </span><br /><span style="font-weight: bold;"> discriminazione e criminalizzazione </span>aprioristica. Mirata a far<br />digerire normative e prassi giudiziarie limitanti la libertà<br />individuale, che decretano il definitivo ritorno alla <span style="font-weight: bold;">presunzione di </span><br /><span style="font-weight: bold;"> colpevolezza ed al processo inquisitorio.</span> Il cui scopo è quello di<br /><span style="font-weight: bold;"> porre ciascun uomo</span> - anche delle future generazioni - in una<br /><span style="font-weight: bold;"> condizione di sudditanza psicologica, emotiva e morale di fronte al </span><br /><span style="font-weight: bold;"> potere indiscutibile della percezioni femminile,</span> in base alla quale<br />viene definita la liceità o meno di qualunque comportamento maschile.<br />Condizione che -stante l'assenza di contraddittorio e possibilità di<br />difesa - induce alla disperazione i soggetti più deboli e ne fomenta<br />risposte incontrollate e brutali.<br /></p><p> La recente <span style="font-weight: bold;">approvazione di uno stanziamento di EURO 20.000.000 </span><br />(soldi dei contribuenti perlopiù uomini) per contrastare la violenza<br />sulle donne è parte integrante del progetto. Il fondo è <span style="font-weight: bold;">destinato a </span><br /><span style="font-weight: bold;"> finanziare i gruppi femministi </span> (centri antiviolenza, comitati pari<br />opportunità, ecc) <span style="font-weight: bold;">da cui è partito il parossistico allarme sociale</span><br />appositamente ingegnato e la conseguente manifestazione nazionale del<br />24 novembre scorso.<br /></p><p>Ma suona come un oltraggio a fronte delle problematiche che le<br />famiglie italiane - afflitte dal caro vita, dal caro mutui, dal<br />precariato, dalla carenza di asili nido e dalla insicurezza urbana -<br />si trovano ad affrontare.<br /></p><p> <span style="font-weight: bold;">La violenza non ha sesso: si combatte attraverso l'equilibrata e </span><br /><span style="font-weight: bold;"> puntuale applicazione delle norme vigenti, interventi preventivi </span><br /><span style="font-weight: bold;"> adeguati che riconoscano le problematiche di entrambe le parti in </span><br /><span style="font-weight: bold;"> conflitto, dialogo e confronto culturale. </span><br /></p><p> L'arma della <span style="font-weight: bold;">colpevolizzazione, umiliazione e vilipendio </span><br /><span style="font-weight: bold;"> dell'intero genere maschile non vi pone alcun rimedio: è finalizzata </span><br /><span style="font-weight: bold;"> invece ad alimentare l'odio sociale</span>, la guerra tra i sessi,<br />l'insicurezza delle donne da poter così convogliare sotto la "tutela"<br />di avvocate e psicologhe dei centri antiviolenza, l'annichilimento<br />degli uomini da "rieducare", l'isolamento affettivo degli individui.<br /></p><p> Un'arma funzionale solo all'affermazione del potere politico-<br />burocratico-istituzionale e l'ottenimento di maggiori finanziamenti<br />pubblici da parte di una esigua ma influentissima schiera di<br />militanti, spinte da torpori di rivalsa distruttiva. Che sfruttano<br />abilmente debolezze ed avidità delle donne - fregandosene altamente<br />delle loro reali sofferenze - per dirigere la società verso il<br />definitivo sfacelo delle relazioni uomo-donna, e di conseguenza della<br />famiglia così come storicamente intesa.<br /></p><p> Ringraziamo i giornalisti, le deputate. le ministre - cui<br />esprimiamo la nostra solidarietà - vittime della aggressione<br />femminista, che inconsapevolmente con la loro presenza hanno sturato<br />la rabbiosa esaltazione delle organizzatrici del corteo. In pochi<br />secondi le immagini diffuse dai media hanno testimoniato agli italiane<br />(donne e uomini) quanto noi conosciamo per esperienza diretta e<br />divulghiamo da tempo.<br /></p><p> Auspichiamo pertanto una nuova fase di impegno istituzionale - più<br />sensbile e collaborativo verso tutte le espressioni<br />dell'associazionismo - orientato a liberare la nostra società da<br />questa cappa di odio sessista, per ricostruire la relazione uomo/donna<br />all'insegna del reciproco rispetto e valorizzazione dei ruoli sociali<br />e familiari, nell'uguaglianza dei poteri e delle responsabilità.<br /></p><p>Per restituire dignità ad entrambi i Generi, alla Famiglia ed ai<br />nostri Figli.<br /></p><p>Elvia Ficarra<br /></p><p>Responsabile Osservatorio Famiglie Separate - Gesef<br /></p><span style="font-weight: bold;">============================================================<br /></span><p> Media Matters bases its claim on excerpts from a CDC handout about domestic violence (<a href="http://www.cdc.gov/ncipc/dvp/ipv_factsheet.pdf" target="_blank">http://www.cdc.gov/ncipc/dvp<wbr>/ipv_factsheet.pdf</a>), which cites as its source the CDC-funded 1996 National Violence Against Women Survey. (<a href="http://www.ncjrs.gov/pdffiles1/nij/.pdf" target="_blank">http://www.ncjrs.gov/pdffiles1<wbr>/nij/.pdf</a>) The 1996 survey was conducted using a modified version of a research instrument known as the Conflict Tactics Scales. Dr. Murray Straus, the pre-eminent researcher on domestic violence is the inventor of the Conflict Tactics Scales. <span style="font-weight: bold;">Straus has objected to the 1996 survey because the modifications made to the Conflict Tactics Scales would artificially suppress the percentage of male victims.</span> (<a href="http://www.breakingthescience.org/StrausSaysTjadenThoennesBiased.mp3" target="_blank">http://www.breakingthescience<wbr>.org/StrausSaysTjadenThoennesBi<wbr>ased.mp3</a>) </p> <p><span style="font-weight: bold;">The latest CDC scientific research shows much higher perpetration rates for women.</span> In March 2007, the peer-reviewed scientific journal, "American Journal of Public Health" published a report by Centers for Disease Control researchers Whitaker, Haileyesus, Swahn, and Saltzman entitled "Differences in Frequency of Violence and Reported Injury Between Relationships With Reciprocal and Nonreciprocal Intimate Partner Violence". (<a href="http://www.ajph.org/cgi/content/abstract/97/5/941" target="_blank">http://www.ajph.org/cgi/content/abstract/97/5/941</a>). <span style="font-weight: bold;"><br /></span></p><p><span style="font-weight: bold;">This study reports that women are the sole perpetrator in 70% of cases where the other partner was non-violent!</span> </p> <p>Murray Straus, co-founder of the Univ. of New Hampshire Family Research Laboratory, was the first leading scientist to call for federal domestic violence laws. Today, <span style="font-weight: bold;">he also calls for women to stop abusing men, and for policy changes to effect reforms in violence policy to address this major, unaddressed national problem</span> (<a href="http://www.citizen.com/apps/pbcs.dll/article?AID=//NEWS0202//-1/CITIZEN" target="_blank">http://www.citizen.com/apps/pbcs.dll/article?AID=//NEWS0202//-1/CITIZEN</a>). </p> <p> Dr. Straus scientifically explains why Media Matters is wrong in "The Controversy Over Domestic Violence by Women". (<a href="http://pubpages.unh.edu/%7Emas2/CTS21.pdf" target="_blank">http://pubpages.unh.edu/~mas2<wbr>/CTS21.pdf</a>). Straus reconciles the vast differences between the findings of crime-based studies such as the National Crime Victimization Survey (NCVS) and empirical studies based on the Conflict Tactical Scales (CTS). In a nutshell, studies based on crime data and women's advocacy surveys report what we expect: Men often win major spousal altercations and men are the ones arrested (without considering who initiated the altercation). CTS-based studies more accurately report the nature of family violence and who is causing it.<br /></p><p><span style="font-weight: bold;">Today, there are over 200 major studies reporting that women initiate at least half of domestic violence, and little credible scientific evidence to the contrary.</span> (<a href="http://www.csulb.edu/%7Emfiebert/assault.htm" target="_blank">http://www.csulb.edu/~mfiebert<wbr>/assault.htm</a>) </p>=================================================================Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-30920765300326557962007-11-25T14:28:00.000+00:002007-11-25T14:28:36.196+00:00Lettera a un bambino che è nato<a href="http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=&START=0&2col=">ilGiornale.it - Lettera a un bambino che è nato</a><br /><br />di Stefano Zecchi<br /><br /><span class="xtesto_notizie"> In un convegno a Roma, il <span style="font-weight: bold;">Centro Aiuto alla Vita</span>, presentando i risultati della sua attività ha segnalato un dato che obbliga a una riflessione. In trent’anni di lavoro il Centro <span style="font-weight: bold;">ha fatto nascere 85.000 bambini</span>. Proprio così: ha fatto nascere. La legge 194, erroneamente indicata come la legge sull’aborto, in realtà tutela la gravidanza, e il Centro di cui stiamo parlando si adopera per aiutare le donne incinte a mettere al mondo il loro bimbo nonostante le difficoltà che esse ritengono di non riuscire a superare.<br /><br /></span><span class="xtesto_notizie">Le persone che operano nei Centri per l’aiuto alla vita sono tutte volontarie, sono presenti nelle cliniche e negli ospedali perché la legge prevede il tipo di assistenza che esse offrono. E tuttavia <span style="font-weight: bold;">incontrano </span>difficoltà se non <span style="font-weight: bold;">ostilità</span>, nello svolgere la loro attività, non tanto per motivi pratici, quanto <span style="font-weight: bold;">per ragioni culturali</span>: di fronte a una nascita che presenta problemi, l’aborto è drammaticamente la via più semplice, <span style="font-weight: bold;">perché è più facile distruggere che creare.<br /><br /></span></span><span class="xtesto_notizie">In questo modo di pensare c’è la radice più profonda della cultura nihilista occidentale. Il nulla ci sottrae alla responsabilità, l’essere ci obbliga al significato che dobbiamo dare alla vita; il nulla mette un comodo silenziatore alla coscienza, l’essere ci impegna alla decisione e quindi alla scelta morale.<br /><br /></span><span class="xtesto_notizie"><span style="font-weight: bold;">Questa cultura nihilista aggredisce la donna con l’inganno più perfido e malevolo.</span> Le fa credere di liberarla, in realtà <span style="font-weight: bold;">annienta la parte essenziale dell’essere femminile.</span> Le fa credere che l’aborto sia un problema che riguarda lei soltanto. Non il padre, che ormai non conta più niente, e soprattutto non il figlio che porta in sé, che c’è, che vive.<br /><br /></span><span class="xtesto_notizie">Pensare all’aborto sempre dal punto di vista della donna significa davvero favorire la sua libertà, aiutarne la sua emancipazione? O non è piuttosto un modo spiccio e un po’ ipocrita con cui una cultura intende liberarsi di un problema? </span><span class="xtesto_notizie">La legge 194 ammette, in determinate circostanze, l’interruzione della gravidanza. Ma se una cosa è ammessa dalla legge significa anche che è la cosa migliore e più giusta da fare?<br /><br /></span><span class="xtesto_notizie">D’accordo: la legge è stata importante per arginare gli aborti clandestini, per affrontare consapevolmente ciò che comporta qualche grave patologia del feto, ma poi <span style="font-weight: bold;">si sono anche fatte rientrare</span> (<span style="font-weight: bold;">non previste dalla normativa</span>) <span style="font-weight: bold;">situazioni psicologiche della donna </span>incinta che, considerate sbrigativamente e comodamente, sono diventate motivi ammissibili per abortire.<br /><br /></span><span class="xtesto_notizie"> Si è <span style="font-weight: bold;">banalizzato il significato della nascita</span>, con <span style="font-weight: bold;">conseguenze distruttive enormi</span> per il valore della famiglia. <span style="font-style: italic; font-weight: bold;">L’arbitrio che porta a interrompere una gravidanza è, poi, lo stesso che porta a distruggere una famiglia: si decide che un figlio che sta per nascere non deve vivere, così si decide con la stessa perentorietà che un figlio nato possa vivere anche senza una famiglia unita.</span> In questo pensiero c’è una arroganza distruttiva che annienta una società, tanto più violento quanto più è sostenuto come affermazione e difesa della libertà dell’individuo.<br /><br /></span><span class="xtesto_notizie">Ottantacinquemila bambini sono nati grazie al Centro Aiuto alla Vita che è stato capace di far superare tante difficoltà alle donne che non si sarebbero sentite di mettere al mondo il proprio figlio. A questi bambini mi piacerebbe scrivere una lettera che, modificando il titolo di un celebre libro, avrebbe questa intestazione:<br /><br />Lettera a un bambino nato. A lui <span style="font-weight: bold;">vorrei ricordare il coraggio della sua mamma</span>, che ha scelto la strada più difficile. A lui vorrei dire che <span style="font-weight: bold;">il diritto alla vita</span> non è tanto facilmente riconosciuto dalla nostra cultura e che <span style="font-weight: bold;">lui è nato contro ogni volontà distruttrice</span> che in troppi, oggi, sono pronti a giustificare e a comprendere come se fosse un principio del progresso civile. A lui vorrei dire che abbia la più grande <span style="font-weight: bold;">gratitudine verso sua madre e anche verso suo padre che lo hanno strappato al nulla</span>, gratitudine <span style="font-weight: bold;">verso chi ha saputo aiutare e consigliare sua madre. </span><br /><br />Vorrei ricordargli che nel nome di una falsa cultura libertaria non sarebbe dovuto nascere, vorrei non dimenticasse che la sua vita ha sconfitto la banalità del nulla.<br />Stefano Zecchi</span><br /><a href="http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=&START=0&2col="> </a>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-7558693312309632702007-11-25T02:54:00.000+00:002007-11-27T13:33:30.981+00:00La violenza delle femministe contro la violenza<a style="font-weight: bold;" href="http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/cronaca/violenza-donne/corteo/corteo.html">Violenza delle donne, a Roma in centomila</a><br /><br />Non c'è dubbio che sia cominciata <i>sbagliata</i> questa manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne.<br /><b>fischi alle deputate di Forza Italia</b> Mara Carfagna e Stefania Prestigiacomo; "<span style="font-weight: bold;">Fuori i fascisti da questo corteo</span>"; "La violenza sulle donne non si strumentalizza, <span style="font-weight: bold;">sei una fascista non sei una donna"</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;">spintoni e calci a un fotografo e a un giornalista</span> con l'unico <span style="font-weight: bold;">torto di essere maschi;<br /><br />"L'assassino non bussa, ha le chiavi di casa"</span> è scritto su uno degli striscioni a metà del corteo.<br />(a togliere le chiavi all'assassino ci pensa il giudice nella separazione cautelativa, assamai)<br /><br />Dacia Mariani, ad esempio - anima del movimento femminista negli anni settanta<br />"Sono commossa, era dagli anni Settanta che non si vedeva una manifestazione così".<br />(ma c'erano anche le molotov e le P38?)<br /><br />"Questa violenza verbale va solo contro le donne" taglia corto Giovanna Melandri.<br />"La contestazione di qualcuno va a discapito di tutte" rincara la dose Livia Turco.<br />Più morbida la Pollastrini: "Cerchiamo il lato positivo: tante, tantissime donne per dire basta alla violenza". Il problema è che <span style="font-weight: bold;">a fine serata della giornata si parla più per le polemiche che per i contenuti</span>.<br /><br />Il fatto è che la manifestazione, organizzata molto in sordina, quasi ignorata fino a due-tre giorni fa, è stata messa in piedi da un gruppo di <span style="font-weight: bold;">collettivi femministi</span> tra cui Amatrix, Libellule, Feramenta, Associazione femminista via dei Volsci, <span style="font-weight: bold;">a cui sicuramente non fa difetto la rabbia e le idee chiare.<br /><br /></span>"<span style="font-weight: bold;">non vogliamo cappelli politici</span> anche perché delle scelte di questa politica non condividiamo quasi nulla. E <span style="font-weight: bold;">non vogliamo uomini</span>, <span style="font-weight: bold;">abbiamo fatto una scelta sessista</span> e separatista perché in questo modo si capisca che il problema in Italia è di tipo culturale e <span style="font-weight: bold;">serve scardinare la società di tipo patriarcale</span>...".<br /><br />"La violenza degli uomini contro le donne comincia in famiglia e non ha confini"<br />(la violenza delle donne contro gli uomini comincia nei collettivi e finisce nei cortei e nei tribunali)<br /><br /><span style="font-weight: bold;">"Fiducia nello stato non ne abbiamo / l'autodifesa è nostra e non la deleghiamo".<br /></span>Monica Pepe, la più gettonata tra le organizzatrici: "Un episodio come quello della morte di Giovanna Reggiani è stato strumentalizzato per dare vita a un pacchetto sicurezza xenofobo e razzista".<br />(ovvero? solo la violenza di maschi italiani contro donne va condannata? quella di donne e delinquenti no?)<br /><br />Una dura nota in merito alle contestazioni è arrivata dalla direzione del tg de La7, costretta a interrompere la diretta. «<span style="font-weight: bold;">Vedere giornalisti messi in condizione di non svolgere il proprio lavoro, dover interrompere la trasmissione in diretta in nome di un malinteso veterofemminismo, fa soltanto cadere le braccia</span>», si legge in una nota, che esprime «piena e convinta solidarietà a Giulia Buongiorno, Mara Carfagna, Giovanna Melandri, Alessandra Mussolini, Barbara Pollastrini, Stefania Prestigiacomo, Livia Turco»<br /><br /><a href="http://ilblogdibarbara.ilcannocchiale.it/post/1694443.html">Il commento di una donna che ha partecipato</a>Unknownnoreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-91968357978735544472007-11-24T11:27:00.000+00:002007-11-28T14:06:12.408+00:00Contro la violenza sui bambini<h5 class="title"><a href="http://lindipendente.splinder.com/post//Discriminazione+di+genere"><span class="rss:title">Discriminazione di genere - L'indipendente<br /></span></a></h5> <span class="rss:item"><div><p style="font-family: Georgia; font-size: 12pt; text-align: center; font-weight: bold; color: rgb(0, 0, 128);"> GLI UOMINI PICCHIANO LE DONNE </p> <p style="font-family: Verdana; font-size: 10pt; text-align: justify;"> Questo il messaggio che <strong><a set="yes" linkindex="153" href="http://new.rifondazione.it/materiali/" target="_blank">Rifondazione Comunista<img id="snap_com_shot_link_icon" class="snap_preview_icon" style="border: 0pt none ; margin: 0pt ! important; padding: 1px 0pt 0pt; font-style: normal; font-weight: normal; font-family: "trebuchet ms",arial,helvetica,sans-serif; float: none; position: static; left: auto; top: auto; line-height: normal; background-image: url(http://i.ixnp.com/images/v3.4/theme/ice/palette.gif); background-color: transparent; width: 14px; height: 12px; background-position: -787px 0pt; background-repeat: no-repeat; text-decoration: none; visibility: visible; vertical-align: top; display: inline;" src="http://i.ixnp.com/images/v3.4/t.gif" /></a></strong> sta lanciando in questi giorni con una campagna che culminerà in una manifestazione oggi a Roma. </p> <p style="font-family: Verdana; font-size: 10pt; text-align: justify;"> È vero: ci sono uomini che picchiano le donne, così come ci sono donne che uccidono i figli, bambini che picchiano altri bambini e persino donne che picchiano gli uomini, e non sono poche. La violenza è ovunque e va fermata, senza eccezioni. Ma una campagna come quella di Rifondazione Comunista non è una campagna contro la violenza, <strong>è essa stessa una forma di violenza</strong>, perché lancia un'accusa generica che sembra quasi voler dire «<em>È nella natura degli uomini picchiare le donne</em>», ovvero, essere uomini è di per sé un crimine. Ricorda molto le accuse dei nazisti nei confronti degli ebrei e dei razzisti americani nei confronti dei neri: è quindi una <strong>discriminazione di genere</strong> a tutti gli effetti. </p> <p style="font-family: Verdana; font-size: 10pt; text-align: justify;"> Ma al di là di tutte le considerazioni razionali, cosa avreste detto voi se accanto al manifesto che Rifondazione Comunista ha fatto stampare e affiggere in tutta Italia, ne fosse comparso anche un altro come quello (mai realizzato) disegnato sulla falsa riga del primo, che denuncia gli innumerevoli casi di violenze contro i bambini da parte di donne? Quale sarebbe stata la vostra reazione? </p> <div align="center"> <table> <tbody><tr> <td style="font-family: Verdana; font-size: 8pt; text-align: center; color: rgb(0, 0, 128);" align="center" valign="top"> <img src="http://www.dejudicibus.it/blog/images/violenza_uomini.jpg" alt="" border="0" height="345" width="242" /><br /><br />Il manifesto di<br />Rifondazione Comunista </td> <td style="width: 20px;" align="center" valign="top"><br /></td> <td style="font-family: Verdana; font-size: 8pt; text-align: center; color: rgb(0, 0, 128);" align="center" valign="top"> <img src="http://www.dejudicibus.it/blog/images/violenza_donne.jpg" alt="" border="0" height="345" width="242" /><br /><br />Il manifesto realizzato<br />sulla stessa falsariga</td></tr></tbody></table><br /><div style="text-align: left;"><a set="yes" linkindex="8" href="http://www.rifondazione.it/forumdonne/?p=225" rel="bookmark" title="Permalink per: I numeri della violenza maschile sulle donne">I numeri della violenza maschile sulle donne - Partito della Rifondazione Comunista<br /></a></div> <p align="justify"><em><span style="color:#800000;">I numeri della violenza maschile sulle donne - dati Istat [dati commissionati dalla Pollastrini]<br /></span></em></p> <p align="justify">- Oltre 14 milioni di donne italiane sono state oggetto di violenza fisica, sessuale o psicologica nella loro vita;<br />- <span style="font-weight: bold;">Un milione e 400mila (il 6,6% del totale) ha subito uno stupro prima dei 16 anni;</span><br />- Solo il 18,2% delle donne è consapevole che quello che ha subito è un reato, mentre il 44% lo giudica semplicemente ‘qualcosa di sbagliato’ e ben il 36% solo ‘qualcosa che è accaduto’.</p><p align="justify"><span style="font-weight: bold;"> La prima causa di morte delle donne dai 14 ai 44 anni è la violenza subita da un uomo.</span></p> <p align="justify"><a set="yes" linkindex="9" onclick="javascript:urchinTracker ('/downloads/forumdonne/wp-content/uploads/2007/10/slide_maschio_assassino.pdf');" href="http://www.rifondazione.it/forumdonne/wp-content/uploads/2007/10/slide_maschio_assassino.pdf" title="Slide “Maschio assassino”">Slide “Maschio assassino”</a></p><br /><br /><br /><h3 style="text-align: left;" class="storytitle" id="post-160"> <a set="yes" linkindex="1" href="http://maschiselvatici.blogsome.com/2007/11/22/violenza-maschile-prima-causa-di-morte-per-le-donne/" rel="bookmark" title="Permanent Link: Violenza maschile prima causa di morte per le donne?">Violenza maschile prima causa di morte per le donne?</a> </h3><div style="text-align: left;"> </div><div style="text-align: left;" class="storycontent"> <p>di A. Ermini</p> <p><img src="http://www.firstrunfeatures.com/presskits/goebbels_experiment/images/goebbels1.jpg" alt="Joseph Goebbels" align="left" hspace="3" width="200" />Ormai lo leggiamo e ascoltiamo ogni giorno in un effluvio di esternazioni senza fine. Buon ultimo, dopo la stampa così detta grande (più, ovvio, quella di sinistra per la quale l’ideologia è verità), le TV, le ministre, le soubrette e presentatori di talk show vari, il presidente del consiglio Prodi. Senza alcun accenno di buon senso, di onestà intellettuale, di semplice verifica di dati a tutti disponibili. A niente valgono nemmeno le parole di femministe oneste che contestano sia i dati in sè, sia i criteri usati per elaborarli, come Elisabeth Badinter o Susan Faludi. Usava la stessa tecnica terroristica anche Goebbels. “Calunniate, calunniate, qualcosa resterà”.</p><p> Da parte nostra dubitiamo molto che quello che ne resterà, anche alle donne destinatarie del messaggio di odio e criminalizzazione antimaschile, sia minimamente positivo. In ogni caso non vogliamo assistere inermi a questo scempio della verità e della ragione. </p> <p>L’ultimo dato ISTAT sulle cause di morte è del 2002<br />In quell’anno morirono in italia 560.390 persone, di cui:<br />maschi: 279.296<br />femmine: 281.094</p> <p>Nella classificazione ISTAT l’omicidio e le lesioni (mortali, evidentemente) provocati INTENZIONALMENTE da altri corrispondono al codice descrittivo BE 77 (“Omicidio e lesioni provocate intenzionalmente da altri”, appunto), a sua volta ricompreso nella classe BE 71-78 (“Cause esterne dei traumatismi e degli avvelenamenti”), così composta:</p> <p>BE(71-78)E - CAUSE ESTERNE DEI TRAUMATISMI E DEGLI AVVELENAMENTI<br />BE 71 Accidente stradale da veicolo a motore<br />BE 72 Altri accidenti da trasporto<br />BE 73 Avvelenamenti accidentali<br />BE 74 Cadute accidentali<br />BE 75 Accidenti causati da incendi e da fuoco<br />BE 76 Suicidio e autolesione<br />BE 77 Omicidio e lesioni provocate intenzionalmente da altri<br />BE 78 Altre cause esterne dei traumatismi e degli avvelenamenti</p> <p><span style="font-weight: bold;">Per omicidio e lesioni provocate intenzionalmente da altri</span> (BE77) sono morte in Italia, nel 2002, 560 persone, di cui<br /><span style="font-weight: bold;"> Maschi: 401</span><br /><span style="font-weight: bold;"> Femmine 159</span></p><p></p>Le cause di morte sono state, in valori assoluti:<br /><p><span style="font-weight: bold;">1)Malattie del sistema circolatorio: 131.472</span><br /><span style="font-weight: bold;">2)Tumori: 69.672</span><br /><span style="font-weight: bold;">3)Altri stati morbosi: 21.173</span><br />4)Malattie dell’apparato respiratorio: 15.324<br />5)Disturbi psichici e malattie sist. Nervoso org. Sensi: 14.765<br />6)Malattie dell’apparato digerente: 12.234<br />7)Cause esterne dei traumatismi e degli avvelenamenti: 10.667 (di cui omicidi 560, ripartiti come più sopra)<br />8)Sintomi, segni e stati morbosi mal definiti: 3.640<br />9)Malattie infettive e parassitarie: 2.147</p> <p>Fonte: http://www.istat.it/dati/dataset/20051107_00/</p><br /><p>il numero di donne morte nel 2001 <span style="font-weight: bold;">per tutte le patologie </span>in<br />un'età compresa<span style="font-weight: bold;"> tra i 15 e i 39 anni sono state 3.502</span> (dati ISS)</p><p style="font-weight: bold;">le donne <span class="rss:item"><span style="font-weight: bold;">tra i 15 e i 39 anni </span></span>morte per mano di un uomo non arrivano a 100</p><p><span style="font-weight: bold;">vogliamo contare i padri che si sono suicidati </span>perche' sono stati ingiustamente cacciati di casa e allontanati dai figli? sono circa 100 ogni anno. ogni santo anno.</p>a che gioco vogliamo giocare?<br />chi ha interesse a manipolare i dati e fare propaganda in modo talmente sporco?<br /><p></p>Anche i nazisti usavano le statistiche in questo modo.<br />La violenza di stato e' molto piu' grave della violenza privata.<br />Siamo palesemente in un regime che manipola e controlla l'informazione e la giustizia.<br /><br /><span style="font-weight: bold;">Attenzione perche' di questo passo si arriva a dire "STATO ASSASSINO"</span><br /></div></div></div></span>Unknownnoreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-332957526067513962007-11-24T03:48:00.000+00:002007-11-24T03:55:48.774+00:00la violenza appresa guardando (Video)<a href="http://psicocafe.blogosfere.it/2007/11/il-bobo-doll-experiment-la-violenza-appresa-guardando-video.html">Il Bobo doll Experiment: la violenza appresa guardando (Video) - Psicocafé</a>:<br /><br /><span style="font-family:arial,helvetica,sans-serif;">Cari avventori, ho trovato alcuni spezzoni del filmato originale del famoso <strong>Bobo doll experiment</strong> condotto da Albert Bandura nel 1961 nell’ambito degli studi sull’apprendimento sociale. Come sapete l’apprendimento sociale è quella maniera di imparare degli esseri umani che non passa attraverso la messa in atto di tentativi e di errori, ma è l’esito di un processo di osservazione e imitazione del comportamento altrui.<br />Il Bobo doll Experiment fu disegnato, in particolare, per indagare l’apprendimento sociale del comportamento aggressivo nei bambini piccoli.<br /><br />I partecipanti sperimentali furono 72 bambini e bambine dell'asilo della Stanford University con un età compresa tra i 37 e i 69 mesi, a cui si aggiunsero 24 bambini come gruppo di controllo.<br />Metà dei bimbi partecipanti fu esposto alla visione di un adulto che agiva comportamenti aggressivi nei confronti del Bobo doll, un pupazzo gonfiabile, mentre l’altra metà assistette ad agìti non aggressivi nei confronti dello stesso pupazzo.<br /><br />Alla fine della fase di esposizione, lasciati da soli, i bambini esposti alla condizione aggressiva esibirono comportamenti aggressivi fortemente imitativi di quelli osservati nell’adulto.<br />Guardando il filmato, che dura pochi minuti, si rimane sconcertati dalla violenza fisica che bambini così piccoli riescono a produrre e dalla "puntualità" dell' imitazione.<br />Per chi fosse interessato, è possibile leggere <a set="yes" linkindex="24" href="http://psychclassics.yorku.ca/Bandura/bobo.htm">il paper integrale </a></span><span style="font-family:arial,helvetica,sans-serif;">che consente di apprezzare la complessità, l’accuratezza e l’eleganza teorica con cui l’esperimento fu condotto e che ne fanno una pietra miliare nella storia della psicologia.</span><br /><br /><object height="355" width="425"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/pDtBz_1dkuk&rel=1"><param name="wmode" value="transparent"><embed src="http://www.youtube.com/v/pDtBz_1dkuk&rel=1" type="application/x-shockwave-flash" wmode="transparent" height="355" width="425"></embed></object>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-12776335825191085712007-11-22T23:06:00.000+00:002007-11-24T11:27:34.524+00:00home sweet home. contro la violenza sul padre.<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghTBWjejkUE7eUm3q3DiJBK-q71I-X2bYDOVA3jXrX0QxJpDnp0yhACKdDTPARD0ae5VyoHk4jE4WS8DefrWx6oip0oP5BErQlFu3372cV43Yd_6n7rzstDcGHmvfkPJpQCsvuXQ/s1600-h/padre_Lumumba_torna_a_casa.jpg"><img style="margin: 0px auto 10px; display: block; text-align: center; cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEghTBWjejkUE7eUm3q3DiJBK-q71I-X2bYDOVA3jXrX0QxJpDnp0yhACKdDTPARD0ae5VyoHk4jE4WS8DefrWx6oip0oP5BErQlFu3372cV43Yd_6n7rzstDcGHmvfkPJpQCsvuXQ/s400/padre_Lumumba_torna_a_casa.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_" border="0" /></a><br /><div style="text-align: center;"><a set="yes" linkindex="12" href="http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=">Lumumba a casa</a><br /><br /><a set="yes" linkindex="12" href="http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=">"Ringrazio Dio, che mi ha aiutato a tornare a casa. "</a><br /><br />Un Padre di famiglia torna a casa,<br />dopo essere stato falsamente accusato<br />di stupro e violenze<br />da una donna assassina.<br /><br />Sono tanti i papa' ingiustamente accusati<br />che non hanno fatto ritorno a casa.<br />Ora marciscono in carcere.<br />Il governo vuole approvare una legge<br />per mandare in galera tutti i papa'<br />scomodi al regime.<br /><br />Vengono dette balle spaziali sui dati delle violenze<br />sono per legge censurati i dati sulle donne assassine e violente<br />vengono gonfiate in modo ridicolo le cifre rendendole enormi<br />per fare apparire sempre criminali gli uomini.<br /><br />Lo scopo di distruggere la famiglia e il padre<br />come aveva teorizzato Engels<br />con la violenza di stato e le false accuse<br />a beneficio di una lobby finanziata con soldi pubblici<br />che ha lo stesso potere di Hitler.<br /><br />Aiutaci a far cessare l'olocausto.<br />Prima che diventi un far west.<br />Pensa ai tuoi figli e alla tua famiglia.<br />Domani potrebbe non esserci.<br /><br /><br /><br /><a href="http://www.brusselsjournal.com/node/2572">The Fatherless Civilization</a><br /><br /><br /></div>Unknownnoreply@blogger.com11tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-41043966412014874712007-11-20T20:54:00.000+00:002007-11-24T01:10:37.584+00:00Uomini (comunisti) che picchiano le donne.<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://new.rifondazione.it/materiali/2007/img/071124donne.jpg"><img style="margin: 0pt 0pt 10px 10px; float: right; cursor: pointer; width: 320px;" src="http://new.rifondazione.it/materiali/2007/img/071124donne.jpg" alt="" border="0" /></a>Veramente odioso il solito volantino proveniente dall'estrema sinistra, dai soliti pugnettari.<br /><br />Per la manifestazione (giusta) contro la violenza, criminalizzano gli uomini.<br /><br />"GLI UOMINI PICCHIANO LE DONNE"<br /><br />Perche' accomunare a voi stessi tutti gli uomini? Abbiate il coraggio di affrontare la verita'.<br />Se vi riconoscete in questo vostro manifesto precisatelo:<br /><br />"GLI UOMINI COMUNISTI PICCHIANO LE DONNE"<br /><br />Gia' che ci siete, fate outing senza timore fino in fondo. Vi sentirete meglio:<br /><br />"GLI UOMINI COMUNISTI<br />PICCHIANO LE DONNE<br />E MANGIANO I BAMBINI"<br /><br />Lo si sapeva, ma ora ne abbiamo la confessione pubblica!<br /><br /><a href="http://new.rifondazione.it/materiali/2007">http://new.rifondazione.it/materiali/</a><br /><br /><a href="http://www.uomini3000.it/520.htm">Lettera aperta a tutti gli uomini che pensano di autoflagellarsi</a><br /><br /><a href="http://antifeminist.altervista.org/notizie/2007/2_11_2007.htm">Donne che picchiano le donne</a><br /><br />Donne uccise dagli uomini in italia 100 ogni anno.<br />Morti per incidenti stradali 5000 in Italia ogni anno.<br />Uomini che si suicidano perche donne impediscono loro di stare con i figli 2000 in Europa.<br /><br /> <a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYFw6hQKnke3tpS9dC-nylzVaU-h8NX4nGskYrEOV-pUUqoviQsdysjc5bRjlKqVXXaVbK_6lRDxLb2iy4CIZJDcavKLI_nX_vRaaVCg74-0iPBiRoMF1Zbx3aM2wCJOc2f7ahbg/s1600-h/girl-185_211848a.jpg"><img style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left; cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYFw6hQKnke3tpS9dC-nylzVaU-h8NX4nGskYrEOV-pUUqoviQsdysjc5bRjlKqVXXaVbK_6lRDxLb2iy4CIZJDcavKLI_nX_vRaaVCg74-0iPBiRoMF1Zbx3aM2wCJOc2f7ahbg/s320/girl-185_211848a.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_" border="0" /></a><br /> <i><span style="color: rgb(255, 0, 0);font-family:Times New Roman,Times,serif;font-size:85%;" ><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><br /><a href="http://www.timesonline.co.uk/tol/news/uk/crime/article.ece">[Nella foto: Bethany James - The Times]</a></span><span style="color: rgb(255, 0, 0);font-family:Verdana,Arial,Helvetica,sans-serif;font-size:85%;" ><br /> <br /> "Le ragazze si sono scagliate<br /> sulla vittima come <b>bestie selvagge</b>"<br /><br /><br /></span></i><a href="http://www.youtube.com/watch?v=Dc6UkJlVx0E">Donne (comuniste) che picchiano gli uomini (e pretendono di avere ragione)</a><br /><br /><object height="355" width="425"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/Dc6UkJlVx0E&rel=1"><param name="wmode" value="transparent"><embed src="http://www.youtube.com/v/Dc6UkJlVx0E&rel=1" type="application/x-shockwave-flash" wmode="transparent" height="355" width="425"></embed></object>Unknownnoreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-44610773748706309012007-11-20T20:35:00.000+00:002007-11-20T20:44:09.228+00:00Le donne moderne criticano il femminismo conflittuale.<p class="post-info"> <a set="yes" linkindex="5" href="http://claudiorise.blogsome.com/2007/11/20/le-femministe-cambiano-idea/" rel="bookmark" title="Permanent Link: Le femministe cambiano idea">Le femministe cambiano idea</a></p> <div class="post-content"> <p><strong>Claudio Risé, da “Il Mattino di Napoli” del lunedì, 19 novembre 2007, <a set="yes" linkindex="6" href="http://www.ilmattino.it/" target="_blanck">www.ilmattino.it</a></strong></p> <p>Le femministe stanno cambiando idea (almeno negli altri paesi, fuori dall’Italia). <span style="font-weight: bold;">La lotta senza quartiere al maschio, e al padre, è sostituita con sempre maggior decisione dall’amore</span> verso il proprio compagno, dalla tenerezza come stile di rapporto, e dalla consapevolezza che un buon padre è indispensabile per la crescita equilibrata dei figli, e la felicità di tutta la famiglia.</p><p>Si volta pagina. E il diverso sentire delle giovani donne segnerà le leggi, e il costume, di oggi e domani. Dietro questo cambiamento ci sono molte cose, tra le quali le statistiche di quasi quarant’anni di infelicità generale: delle donne che si ritrovavano sole e deluse, dei mariti allontanati da casa e dai figli, dei figli disorientati e scontenti. Come dimostrano le cronache quotidiane.</p><p> Dietro ogni storia di disagio giovanile, da Amanda che mette in scena a Perugia la sua disperazione, al piccolo Diego G., 15 anni, che si è buttato dalla finestra ad Ischia, c’è, anche, una famiglia spezzata, e un padre che non puoi più vedere.</p><p> Si sapeva già che il pensiero femminista internazionale, influenzato anche dalle esperienze delle sue protagoniste, aveva cominciato da tempo a tener conto del lutto prodotto nella vita delle persone dall’inimicizia tra uomo e donna. Da <span style="font-weight: bold;">Luce Irigaray</span>, a <span style="font-weight: bold;">Doris Lessing</span>, a <span style="font-weight: bold;">Susan Faludi</span>, ovunque <span style="font-weight: bold;">le grandi interpreti del pensiero femminista</span> hanno ormai spezzato molte lance a favore di questa <span style="font-weight: bold;">constatazione: non ci sono donne felici in un mondo di uomini disprezzati e disorientati. </span>Solo in Italia, paese molto ideologico e poco attento ai fatti, queste riflessioni sono ancora poco diffuse, soprattutto nell’isolata galassia della politica, indifferente all’osservazione della realtà.</p><p> Ora arrivano i dati su <span style="font-weight: bold;">come la pensano le giovani donne.</span> L’ultima ricerca, svolta da due studiose, le psicologhe Laurie Rudman e Julie Phelan, dell’Università del New Jersey, negli Stati Uniti, ha confermato quanto già raccolto in altri studi, soprattutto nei paesi anglosassoni. Le giovani donne, e i loro partner, <span style="font-weight: bold;">sono ormai al di là delle antiche diatribe femministe.</span> Nel senso che sono <span style="font-weight: bold;">tutti d’accordo sull’eguaglianza tra i due generi</span>, sull’importanza della <span style="font-weight: bold;">stabilità della relazione</span>, sulla necessità che ognuno dei due partner si prenda a cuore anche <span style="font-weight: bold;">la soddisfazione sessuale dell’altro</span>.</p><p><span style="font-weight: bold;"></span> Queste <span style="font-weight: bold;">consapevolezze condivise</span>, segnalano anche come sia ormai nata, nel tempo, una nuova educazione sentimentale, al passo coi tempi. Queste giovani coppie infatti, che si dichiarano s<span style="font-weight: bold;">ensibili ed attente alla questione femminile</span>, arrivano senza difficoltà a riconoscere che: <span style="font-weight: bold;">“femminile e romanticismo procedono insieme”.</span> Il che da una parte è ovvio: se ami le donne, ne riconosci la natura romantica, e tendi a soddisfarla. Dall’altra però è un bel <span style="font-weight: bold;">capovolgimento rispetto alla rappresentazione conflittuale dei rapporti tra uomini e donne</span> proposta dal femminismo.</p><p> I dati sui <span style="font-weight: bold;">vantaggi di una coppia affettuosa, e serena</span>, sono puntualmente confermati dalle ricerche internazionali sulla durata e qualità della vita. E’ nella famiglia monogamica ed affiatata che si fa sesso coi risultati più appaganti, che<span style="font-weight: bold;"> si vive più a lungo</span>, che <span style="font-weight: bold;">ci si ammala di meno. </span>I single non sposati al di sotto dei 34 anni, secondo la statistiche nazionali della Gran Bretagna, hanno un tasso di mortalità due volte e mezzo superiore a quello dei loro coetanei sposati. E tra i grandi anziani, vedovi e divorziati muoiono prima, ed in circostanze più amare, dei loro coetanei sposati.</p><p> Meglio amarsi dunque, e stare insieme.</p> </div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-45325546985404624052007-11-20T04:51:00.000+00:002007-11-20T05:13:59.238+00:00Amanda la sceneggiatrice assassina?<a href="http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/cronaca/perugia-uccisa3/un-amico/un-amico.html">Per me era come un fratello</a> <a href="http://www.corriere.it/cronache/07_novembre_19/meredith_quarto_uomo.shtml"><em>Meredith, caccia al quarto uomo</em></a><h2><span style="font-size:130%;">Rudy Hermann Guede, 21 anni.</span></h2><h2><span style="font-size:130%;">Viveva con il padre ma quello se n'è andato</span></h2>Brutta infanzia ha avuto il ricercato per l'omicidio di Meredith: sradicato dal suo Paese quando era poco più che un bambino, abbandonato dal padre e infine affidato ad una famiglia che "poi l'ha rifiutato. Viveva con il padre ma quello se n'è andato in Africa e non s'è più visto. E' stato mio fratello a portarselo a casa".<br /><br />"Era piccolissimo quando è immigrato: avrà avuto 5 anni. Frequentava la scuola, suo padre sembrava lavorasse ma, più o meno quattro anni fa, il genitore è partito per la Costa d'Avorio dove era nato e non si è fatto più vivo. Ritornerò tra qualche settimana, gli aveva detto, ma è scomparso. Gede a soli 17 anni è rimasto solo e mio fratello l'ha portato a casa. L'abbiamo accolto in famiglia come fosse un fratello. Abbiamo pure convinto un parente molto ricco di Perugia, a prenderlo in affidamento. Con loro è rimasto un paio d'anni ma poi non l'hanno più voluto".<br /><br />"Gede era un tipo difficile, sperperava un sacco di soldi, diceva bugie, non si comportava bene e i nostri parenti non hanno più rinnovato l'affidamento e lui è scomparso: è andato a Milano, mi ha detto. Non so chi conoscesse lassù: mi disse che aveva una fidanzata e che arrotondava facendo il dj in qualche locale. L'ho rivisto pochi mesi fa, quando è ritornato a Perugia. Ha preso in affitto una casa non lontana da quella della studentessa inglese uccisa (<i>in corso Garibaldi, nella stessa via dove si trova l'appartamento di Raffaele Sollecito, ndr</i>). Non so come si procurasse i soldi per pagare la pigione. Qualcosa gli hanno dato anche i miei ma per il resto non so proprio. Leggo che fosse uno spaccatiore: da quello che lo conosco io, <i>spacciatore</i> è una parola grossa. Forse qualcosa la faceva ma era roba da poco. Se dovessi giudicare Gede direi che è un ragazzo che non riesce a camminare da solo. Tutto qua, ma assassino, proprio no".<br /><br />Rudy giocava a basket, in C1, nella Uisp Pallacanestro Perugia. Gli ex compagni di squadra lo descrivono come «un ragazzo perfetto, sempre puntuale agli allenamenti, sempre disponibile ad aiutare gli altri e con il basket come sua grande passione». Fino alla stagione aveva giocato nel ruolo di guardia. Alla fine di quell'anno, quando il club perugino chiuse i battenti per fondersi con l'altra squadra della città, la Nuova Pallacanestro (dando vita al Perugia Basket), Rudy, poco più che maggiorenne (è nato il 12 dicembre del 1986) lasciò l'Umbria e si trasferì in Lombardia. Anche l'allora presidente della Uisp Perugia, Roberto Segoloni, che fa parte anche della dirigenza della nuova società, ha ricordato Guede come «un ragazzo più che perfetto». «Al punto da far ritenere - ha aggiunto - che tutto questo parlarne in relazione a un fatto così grave per la nostra città sia da ritenere quanto meno prematuro».<br /><br />-------------------------------------------------<br /><br /><h1><span><b><span style="font-size:130%;"><b>L'ombra di una messiscena sul delitto di Perugia</b></span></b></span></h1><h2><span style="font-size:100%;">Secondo gli investigatori, quando fu uccisa Meredith Kercher era vestita "Poi fu spogliata per simulare la violenza".<br /></span></h2><h2><span style="font-size:100%;"><a href="http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/cronaca/perugia-uccisa3/messinscena/messinscena.html">Nuovo indizio contro Amanda.</a></span><!-- fine OCCHIELLO --></h2> <h1><!-- inizio TITOLO --></h1>Arriva dall'esame degli schizzi di sangue un nuovo indizio contro Amanda Knox, la giovane americana in carcere per l'uccisione di Meredith Kercher, la coinquilina inglese. Nel corso del primo interrogatorio fattole dagli investigatori della squadra mobile il 2 ottobre, il giorno della scoperta del cadavere in via della Pergola 7, <span style="font-weight: bold;">Amanda aveva dichiarato: "Apprendevo in quel momento dal mio ragazzo che all'interno della camera di Meredith nell'armadio vi era il corpo di una ragazza coperta da lenzuolo</span> e l'unica cosa che si riusciva a vedere era un piede. Nessuno dei presenti ha fatto il nome di Meredith ed essendo io uscita di casa subito dopo e non avendo visto il corpo non posso affermare che si tratti di lei...".<br /><br />Quel riferimento all'armadio ora per gli investigatori della Mobile e dello Sco assume una rilevanza tutt'altro che casuale. L'analisi degli schizzi di sangue rilevati dalla squadra Ert (esperti ricerca tracce) hanno permesso di abbozzare una prima ricostruzione del delitto. Meredith Kercher, il cui corpo senza vita è stato trovato tra il letto e l'ingresso dell'alloggio, sarebbe stata uccisa accanto all'armadio citato da Amanda. <span style="font-weight: bold;">Sul mobile ci sono infatti le tracce inequivocabili del delitto. </span>Gli assassini hanno quindi spostato il suo corpo? O lei, negli spasmi dell'agonia, ha cercato di appoggiarsi a qualcuno (a qualcosa?) finendo dietro il letto?<br /><br />Non solo il reggiseno della studentessa londinese sporco di sangue è stato raccolto ben lontano dal corpo. Altri indumenti erano sparsi per la stanza. "Come a voler suggerire una violenza carnale" sottolinea chi è entrato la mattina del 2 novembre nell'alloggio di via della Pergola 7.<br /><br />In più nella lavatrice della casa sono stati trovati diversi indumenti di Meredith sottoposti ad un approfondito lavaggio. <span style="font-weight: bold;">Il fatto poi che sulle gambe della vittima non siano state trovate tracce di sangue fa balenare il sospetto che sia stata uccisa quando ancora indossava i jeans e successivamente spogliata per inscenare un delitto a sfondo sessuale.<br /><br /></span>Di Amanda è stata trovata una sola traccia su un bicchiere, nonostante abitasse in quella casa, di Patrick Lumumba (che aspetta di essere liberato e i cui legali hanno fatto ricorso al tribunale della Libertà) e di Raffaele Sollecito invece nessun segno.<br /><br />Comincia quindi a balenare il sospetto, almeno tra una parte degli investigatori, che la sera del primo novembre la casa della studentessa londinese non fosse troppo affollata e che il numero degli assassini di Meredith Kercher possa presto essere drasticamente ridotto.<br /><br /><a href="http://visionimarziane.blogspot.com/2007/11/amanda-filmata-casa-prima-del-delitto.html">C.V.D.</a>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-90269258180897649602007-11-18T17:37:00.000+00:002007-11-18T17:37:40.753+00:00si vendica del suo assassino 9 anni dopo.<a href="http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=">ilGiornale.it - Delitto nella casa di cura psichiatrica: paziente ucciso nel sonno a coltellate</a><br /><br /><span style="font-weight: bold;" class="xtesto_notizie">Daniele Martani allora 19enne «ragazzo difficile» aveva afferrato </span><span class="xtesto_notizie"><span style="font-weight: bold;">la nipotina nata da soli 4 giorni e l’aveva uccisa scaraventandola sul pavimento.</span><br /><br /></span><span class="xtesto_notizie">Nove anni dopo, </span><span class="xtesto_notizie">l'infanticida si e' ritrovato ucciso </span><span class="xtesto_notizie">poco prima di mezzanotte, nella casa di cura psichiatrica San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, più conosciuta come i Pilastroni dal nome della via in cui si trova.<br /><br /></span><span class="xtesto_notizie">Stava dormendo, Martani, quando </span><span class="xtesto_notizie">un altro ricoverato nella casa di cura psichiatrica </span><span class="xtesto_notizie">si è avventato su di lui e lo ha massacrato a coltellate. Poco più tardi l’omicida ha spiegato di essere stato «obbligato a uccidere da una voce sentita più volte, da tempo». Venerdì notte all’improvviso ha devastato a coltellate il proprio letto, vibrando decine di fendenti, poi ha fatto irruzione nella stanza attigua dove dormivano un ragazzo autistico, rimasto illeso, e Daniele Martani che e' stato colpito almeno 16 volte.<br /><br /></span><span style="font-weight: bold;">Dal 1978 ad adesso il totale aborti in Italia circa è di 4,5 milioni</span><br /><span class="xtesto_notizie"><br /><br /></span><a href="http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID="> </a>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-52939439036357259472007-11-16T23:34:00.000+00:002007-11-16T23:34:17.383+00:00Il divorzio che fa male ai figli<a href="http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/scienza_e_tecnologia/divorzio-imperfetto/divorzio-imperfetto/divorzio-imperfetto.html">Il divorzio che fa male ai figli un saggio su Britney Spears - Scienza & Tecnologia - Repubblica.it</a><br /><br /><span class="txt12"><i>di CRISTINA NADOTTI</i></span><!-- fine FIRMA --> <br /> <br /> <b>ROMA - </b>La storia di Britney Spears e Kevin Federline, ovvero il perfetto esempio di un divorzio gestito male, in cui <span style="font-weight: bold;">i figli soffrono e possono subire traumi psicologici seri.</span> Dopo aver occupato le prime pagine dei giornali scandalistici, la fine del matrimonio della popstar e la conseguente battaglia per la custodia dei figli diventano ora oggetto di studio scientifico.<br /> <br /><span style="font-weight: bold;"> Larry Ganong</span>, un ricercatore dell'Università del Missouri-Columbia, esperto di divorzi e tematiche delle famiglie allargate, <span style="font-weight: bold;">usa il caso Spears-Federline come oggetto di ricerca ed esercitazioni didattiche</span> nel suo corso di Sviluppo Umano e Studi sulla famiglia. Ora le sue osservazioni sul divorzio celebre sono diventate <span style="font-weight: bold;">un saggio, che ha avuto l'onore della pubblicazione sulla rivista </span><i style="font-weight: bold;">Envinromental Sciences</i><span style="font-weight: bold;">. "</span>Questo caso serve di esempio - ha commentato Ganong - per sottolineare i <span style="font-weight: bold;">danni che vengono ai minori quando sono intrappolati in una battaglia legale per la loro custodia". </span><br /> <br /> La storia tra la popstar e Federline è stata un fenomeno mediatico fin dall'inizio. Ogni passo della vita privata dei due è stato analizzato, commentato e amplificato da video, articoli e foto. La richiesta di divorzio fatta a Federline con un sms, i ricoveri della Spears nelle cliniche di riabilitazione, le immagini che mostravano una donna in precarie condizioni psicologiche che stringe tra le braccia i figli piccoli (Sean Preston ha 2 anni e Kevin 1) hanno fatto della storia tra i due un perfetto argomento da tabloid.<br /> <div class="ad-box"><!-- OAS AD 'Middle' - da inserire per 200x200 --> <script language="javascript" type="text/javascript"> <!-- OAS_RICH('Middle'); //--> </script><script id="extFlashMiddle1" type="text/javascript" src="http://oas.repubblica.it/RealMedia/ads/Creatives/OasDefault/manzoni_archivio_javascript/new_TFSMflashobject.js"></script> <script language="JavaScript"> <!-- // * variabili flash da modificare * // file_swfMiddle = "banner_S24_180x150.swf"; // nome file swf da caricare file_gifMiddle = "banner_S24_180x150.gif"; // nome file backup gif/jpeg caricare oas_widthMiddle = 180; // larghezza immagine oas_heightMiddle = 150; // altezza immagine oas_versione_flashMiddle = 6; // * fine parte modificabile * // coordinateMiddle ="width="+oas_widthMiddle+" height="+oas_heightMiddle; oas_swfMiddle ="http://oas.repubblica.it/0/OasDefault/Sanna_Ambien_NwST_SqIns_121107/"+file_swfMiddle+"?clickTag=http://oas.repubblica.it/5c/repubblica.it/nz/hi-tech/interna/397521838/Middle/OasDefault/Sanna_Ambien_NwST_SqIns_121107/banner_S24_180x150.html/35346463353665393437323439356630?"; oas_gifMiddle ="http://oas.repubblica.it/0/OasDefault/Sanna_Ambien_NwST_SqIns_121107/"+file_gifMiddle; if(!document.body) document.write("<html><body>"); OASd = document; var plug = false; var flashVersion = -1; var minFlashVersion = oas_versione_flashMiddle; if(navigator.plugins != null && navigator.plugins.length > 0){flashVersion =(navigator.plugins["Shockwave Flash 2.0"] || navigator.plugins["Shockwave Flash"]) ? navigator.plugins["Shockwave Flash" +(navigator.plugins["Shockwave Flash 2.0"] ? 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Poi i due bambini: <span style="font-weight: bold;">quando nel novembre 2006 Britney ha mandato a Federline il messaggio con cui chiedeva il divorzio, ha stabilito subito che i figli restassero a lei. </span>Ma il rapper le ha dato battaglia e per mesi si sono susseguite discussioni tra legali e minacce per ottenere almeno una custodia congiunta.<br /> <br /> "Stanno sbagliando praticamente tutto - scrive Ganong nella sua ricerca - questo tipo di battaglie è davvero dannoso per i bambini. <span style="font-weight: bold;">Invece che insegnare il valore della cooperazione e del dialogo dà esattamente il messaggio opposto. </span>Qualunque sia la situazione e di fronte a qualunque tipo di richieste, <span style="font-weight: bold;">chi divorzia dovrebbe sempre mettere al primo posto i bisogni dei bambini</span>, mettere da parte la rabbia e imboccare la strada del confronto tenendo a mente che prima di tutto ci sono i figli".<br /> <br /> <span style="color:#990000;"></span> Facile a dirsi, ma il caso Spears-Federline non è raro, tanto che <span style="font-weight: bold; color: rgb(204, 0, 0);">circa la metà dei tribunali americani impone alle coppie che stanno divorziando di seguire un corso per imparare a mettere da parte le loro rivendicazioni e porre al centro dell'accordo la tranquillità e il benessere dei bambini. </span><span style="color: rgb(0, 0, 0);">Ganong è l'ideatore di uno di questi "programmi di formazione", adottato da molti tribunali statunitensi. </span><br /> <br /> "Quando tengo il mio corso - spiega Ganong - utilizzo la storia delle due star come esempio. La conoscono più o meno tutti e inoltre <span style="font-weight: bold;">capita che gli studenti</span>, o gli adulti che devono seguire il programma imposto dal tribunale, <span style="font-weight: bold;">simpatizzino per l'una o l'altro</span>. In questo modo riesco a evidenziare meglio che, invece, l'attenzione deve essere rivolta in primo luogo ai bambini". <span style="font-weight: bold;">"Quando cerchiamo di insegnare a chi divorzia a collaborare, non ci aspettiamo che provi simpatia per l'ex coniuge, ma vogliamo arrivare a mostrare l'importanza della correttezza, della cordialità dei rapporti. Trattiamo l'ex matrimonio come un'impresa d'affari in cui ci sia ancora del lavoro da fare insieme e questo lavoro è l'educazione dei figli. Solo se lo si fa bene si otterranno dei profitti". </span><br /> <br /> Un altro aspetto della storia di Britney Spears che serve a Ganong è quello della pessima fama che la cantante si è conquistata. "Durante i miei corsi sottolineo che l'interazione con l'ex partner su basi di correttezza è difficile, perché ciascuno conosce bene i punti deboli dell'altro e li utilizza per ottenere quel che vuole e spesso per gettare discredito sul coniuge". "Prendiamo il caso famoso: Britney ha problemi di alcol, è instabile psicologicamente. Federline ha più volte ripetuto che esige la custodia dei bambini per "allontanarli dai pericoli". Un modo esemplare di usare un diritto dei bambini, quello alla sicurezza e alla tranquillità, per fini personali".<br /> <br />"<span style="font-weight: bold;">Allontanare del tutto i figli da uno dei due genitori è completamente sbagliato</span>, anche se uno dei due ha problemi - continua Ganong - <span style="font-weight: bold;">padre e madre devono collaborare per essere una presenza costante nella vita dei loro figli, sempre.</span> La sicurezza dei bambini è senz'altro prioritaria, soprattutto se ci sono stati episodi di violenza domestica o tossicodipendenze. Tuttavia non vedere mai uno dei genitori, che in genere è quello che ha più problemi, può essere pericoloso per il bambino. I figli tendono a idealizzare il genitore che non vedono mai o ad averne una opinione distorta perché tutto ciò che sentono su di lui o lei è negativo. Nessuna delle due situazioni è positiva, il bambino crescerà comunque senza conoscere la realtà".<br /> <br />Sembra quasi una difesa d'ufficio di Britney, fotografata ubriaca, rasata, barcollante, ma spesso stretta ai figli. Magari la ricerca e i corsi di Ganong non serviranno alla coppia da tabloid, che si combatte a suon di migliaia di dollari spalleggiata da avvocati famosi, ma potranno aiutare qualche coppia comune a uscire con maggiore dignità delle star da un matrimonio sbagliato.<br /> <!-- fine TESTO -->Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-52286340265743718722007-11-16T17:55:00.000+00:002007-11-18T17:58:06.314+00:00Proposta di legge matrimonio cristiano indissolubileAntonio Canizares, arcivescovo di Toledo e vicepresidente della Conferenza episcopale ha avvertito che il boom dei divorzi pronostica un rischio di «sfascio della societa». Padre Leopoldo Vives, il responsabile della commissione Famiglia e Difesa della vita della Conferenza episcopale spagnola, ha aggiunto che la nuova legge sul divorzio è quella «che più sta danneggiando la famiglia perché costa meno divorziare che cancellare un abbonamento telefonico». Il “Foro della Famiglia”, una delle principali organizzazioni non governative di orientamento conservatore, ha denunciato la trasformazione dell'impegno che marito e moglie prendono davanti a Dio in «contratto immondizia», grazie soprattutto alla legge socialista. Per questo ha invocato l'aiuto della società e delle forze politiche di varare, accanto a quella esistenze, «un'alternativa seria, vale a dire un matrimonio blindato, ovvero un'unione protetta nella sua stabilità e continuità per coloro che liberamente lo desiderino, che aiuti e inviti ad affrontare i conflitti senza puntare ad una facile rottura».<br /><br />«Come nei contratti di lavoro si può optare per formule a tempo parziale e contratti a tempo indeterminato - ha detto il Foro -, sarebbe logico che anche in un settore tanto importante esista questa opzione». Anche l'Istituto di politica familiare, un'organizzazione internazionale indipendente, ha invitato il governo di Josè Luis Rodriguez Zapatero a modificare la legge del “divorzio express” che ha fatto della Spagna il Paese con il maggior tasso di rotture familiari, rispetto alla media dell'Unione Europea.<br /><br />Nel 2006, rispetto al 2005 quando è stata introdotta la legge per il cosiddetto “divorzio express” che semplifica al massimo le procedure di separazione, c'è stato un aumento del 74,3% di matrimoni andati in frantumi, pari a 126.952 coppie. Il 51,3% dei divorzianti hanno figli piccoli e il 45% non ha avuto il tempo di avere una discendenza. Le separazioni, prima considerate come la via intermediaria al divorzio, invece, sono diminuite del 70%. In media, le unioni che finiscono male durano 15,1 anni. Aumento del 330% delle rotture matrimoniali tra le COPPIE SPOSATE DA MENO DI UN ANNO<br /><br />L'Ine ha puntato il dito contro l'approvazione del “divorzio express”, la norma che consente la fine dell'unione matrimoniale per decisione di una delle parti, senza necessità di ricorrere prima a una separazione o di spiegarne le ragioni.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-72261587699296394412007-11-15T21:58:00.001+00:002007-11-15T22:54:06.061+00:00Donne violente. Erinni al volante.<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYpsKzyS-_Qz862tuEFF7SSiFBelyqkOVX7EvcWMwoAYL0VaJoIa36MlzXHJjXd6T09UYj8WAkUEp-b0oZh86TVyQbIqEK1ss7FWRZisfAdmUkKaod9Z6WZBu9pYIT492bwoa3aQ/s1600-h/donna_aggredita_da_una_donna.jpg"><img style="margin: 0pt 10px 10px 0pt; float: left; cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYpsKzyS-_Qz862tuEFF7SSiFBelyqkOVX7EvcWMwoAYL0VaJoIa36MlzXHJjXd6T09UYj8WAkUEp-b0oZh86TVyQbIqEK1ss7FWRZisfAdmUkKaod9Z6WZBu9pYIT492bwoa3aQ/s400/donna_aggredita_da_una_donna.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_" border="0" /></a>Nonostante la recente legge che censura la diffusione delle notizie sulla violenza femminile, qualche giornalista "disobbediente" non teme le reazioni del governo cinese.<br /><br />Dovrebbe far riflettere lo stupore della vittima, che pretendeva di inserirsi nel traffico con prepotenza,<br />sfogandosi con litanie di insulti verbali quando la "<a href="http://www.einaudiscuola.it/enciclopedia_antico/lemmi/erinni.html">erinni</a>" che la precedeva non ha ceduto.<br /><br /><span style="font-weight: bold;">"La vedevo davanti a me e mai avrei immaginato quello che stava per accadere."</span><br />Ovviamente. Se ti comporti in modo prepotente e ti metti ad insultare la gente, visto che ormai in televisione lo fanno tutti, che vuoi che ti succeda? L'impunita' ormai e' un luogocomune. Mandiamoci tutti affanculo volendoci bene.<br /><br />Ma ancor piu' esilarante e' quando afferma: <span style="font-weight: bold;">"Non pensavo a una sua reazione."</span><br /><br /><span style="font-weight: bold;">"Se fosse stato un uomo, certamente mi sarei chiusa dentro la macchina."<br /><br />"Non ero spaventata." </span>Questo distacco dalla realta', dalla propria responsabilita' e soprattutto dalle possibili conseguenze del proprio comportamento ha del patologico.<br /><br />"Pensavo che volesse continuare a litigare a voce."<br /><br />Invece, la reazione della Erinni e' violenta: si getta sulla rivale, la colpisce con calci e pugni, le strappa i capelli e le sbatte la faccia contro un'auto parcheggiata. <span style="font-weight: bold;">"Ha cercato di schiacciarmi la testa nella portiera."<br /><br />Probabilmente aveva visto l'ultimo film con Jodie Foster o Nikita di turno...<br /></span>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-14977801.post-44758753954936740392007-11-15T21:18:00.000+00:002007-11-15T21:18:24.958+00:00FIGLI-PADRONI, BULLISMO AVANZA<a href="http://www.ansa.it/opencms/export/site/notizie/rubriche/daassociare/visualizza_new.html_.html">ANSA.it - EURISPES: IN CASA FIGLI-PADRONI, BULLISMO AVANZA</a><br /><br /><em>di Agnese Malatesta</em><br /><br />ROMA - Sono figli-padroni, aggressivi e senza un'idea del futuro i bambini e gli adolescenti italiani. Si confermano a proprio agio con le tecnologie, tanto da insegnare ai loro padri come usarle, sia che riguardi Internet, Youtube o l'mp3. Cosi' l'8/o rapporto annuale di Eurispes- Telefono Azzurro sull'infanzia e l'adolescenza, presentato oggi a Roma dai rispettivi presidenti, Gian Maria Fara e Ernesto Caffo, descrive il complesso mondo dei giovani. Il rapporto denuncia, in particolare, la crisi del ruolo dei genitori che sono sempre piu' permissivi, temono le reazioni dei figli, li accontentano per evitare conflitti ma cosi' facendo li rendono insicuri e senza punti di riferimento.<br /><br /><strong>- GENITORI SPAVENTATI DI FRONTE AI FIGLI.</strong> E' la ''pedofobia''. I ruoli si invertono. I figli non hanno regole e non hanno cosi' un'idea del futuro. I genitori passano meno tempo in famiglia troppo presi dal lavoro e dallo stress. Le difficolta' economiche pesano nel rapporto tant'e' vero che sempre piu' genitori sono alla ricerca del secondo e terzo lavoro.<br /><br /><strong> - BULLISMO AVANZA E DIVENTA 'CYBER'</strong>. Sono molti gli adolescenti che dichiarano di subire provocazioni e prese in giro (35,6%), offese (25,8%), brutti scherzi (19,1%). C'e' una deriva 'cyber-bullying' che prende forma, in modo del tutto anonimo, nell'invio di sms ed e-mail oppure nella creazione di nuovi siti o anche nella diffusione di foto o di filmati compromettenti sulla rete. ''Contro il bullismo - ha detto Caffo - bisogna creare un clima positivo all'interno della classe, sensibilizzando tutti contro la violenza fin dalle prime manifestazioni, anche quando si presenta in forme piu' sottili e nascoste. Il buon esito di un intervento anti-bullismo dipende anche dalla continuita'''.<br /><br /><strong>- DILAGA LO 'SHOTTINO' PRIMA DELLE DISCOTECHE.</strong> E' lo 'sparo' che consiste nell'assunzione di un superalcolico puro, assunto per stordirsi immediatamente facendo arrivare i giovani gia' ubriachi sulle piste da ballo.<br /><br /><strong>- DOVE SONO I BAMBINI ROM? </strong>Dei 75 mila censiti solo 13 mila sono iscritti a scuola. Dove sono tutti gli altri? si chiede il rapporto. In generale i bambini scomparsi - secondo i dati della polizia criminale, al 31 maggio 2007, sono 11.941.<br /><br /><strong>- ABUSI NELL'INFANZIA. </strong>Dalle chiamate al servizio Emergenza Infanzia 114 di Telefono Azzurro (gennaio 2006-agosto 2007), quelle che riguardano i maltrattamenti sessuali corrispondono al 4,2%, quelli fisici al 5,1%, quelli psicologici al 7,6%. La violenza domestica, con il 9%, e' una delle principali cause di richiesta di aiuto. Da ottobre 2006 ad agosto 2007, il servizio ha accolto, inoltre, 955 segnalazioni su contenuti illegali e dannosi per bambini ed adolescenti presenti in Internet.<br /><br /><strong>- FRA GLI ADOLESCENTI AUMENTA IL SESSO OCCASIONALE.</strong> Nel 2002, il 17,4% non aveva mai avuto un rapporto occasionale, nel 2007 questa percentuale e' scesa al 7,7%. Un ragazzo su tre tuttavia non risponde alle domande. I giovani sono anche poco romantici: il 32,7% ha un approccio pragmatico con il sesso. Il 57% e' comunque ancora in attesa della 'prima volta'. Giovani fanno anche sesso virtuale attraverso sms.<br /><br /><strong>- GLI AFFIDI FAMILIARI STANNO DECOLLANDO. </strong>Nel 1999 erano 8.800 i minori affidati alle famiglie, nel 2007 sono diventati 14 mila.<br /><br /><strong>- GIOCATTOLI KILLER.</strong> Nella classifica dei prodotti piu' pericolosi i giocattoli, soprattutto provenienti dalla Cina, hanno superato per la prima volta gli elettrodomestici. Da gennaio a meta' agosto 2007, sono state emesse da 30 paesi europei 817 notifiche nei confronti di prodotti ritenuti pericolosi, il 48% di provenienza cinese.<br /><br /><strong> - SI SENTONO AMATI DAI GENITORI, MADRE E' IL MODELLO.</strong> Primario e' il ruolo della famiglia, i giovani si sentono amati ma per il 74,9% degli adolescenti e' la mamma il modello di comportamento; per il 72,6% il modello e' invece il padre. Solo il 4,3% si sente trascurato dalla mamma.<br /><br /><strong> - I DISAGI DELLA SEPARAZIONE.</strong> Il 65,4% dei bambini preferisce non rispondere. Sono quindi evidenti le difficolta' emotive della situazione.<br /><br /><strong> - CELLULARE SEMPRE PIU' DIFFUSO. </strong>Lo possiede il 56,3% dei bambini.Unknownnoreply@blogger.com0