domenica, ottobre 28, 2007

il mercato vince lo stato.

Corriere della Sera
Eric Hobsbawm
28 ottobre 2007

Decadono gli Stati nazionali.

E così l'unità di Italia, Spagna e Gran Bretagna è a rischio

Oggi «il popolo» è il fondamento e il punto di riferimento comune di tutte le forme di governo statali eccetto quella teocratica. E ciò non è soltanto qualcosa di inevitabile, ma è qualcosa di giusto, perché per avere un qualunque scopo il governo deve parlare in nome e nell'interesse di tutti i cittadini.
Nell'epoca dell'uomo comune, ogni governo è un governo del popolo e per il popolo, anche se chiaramente non può essere, in nessun senso funzionale, un governo esercitato direttamente dal popolo. Tale principio non si basa solo sull'egualitarismo dei popoli, che non sono più disposti ad accettare una posizione di inferiorità in una società gerarchica governata da uomini superiori «per diritto naturale», ma anche sul fatto che finora i sistemi sociali, le economie e gli Stati nazionali moderni non hanno potuto funzionare senza l'appoggio passivo, ma anche la partecipazione attiva e la mobilitazione, di moltissimi dei loro cittadini. Questo principio rappresenta l'eredità del XX secolo. Ma sarà ancora la base dei governi popolari, incluso quello liberaldemocratico, nel XXI? La mia tesi è che la fase attuale dello sviluppo capitalistico globalizzato lo sta minando alle radici, e che ciò avrà — anzi, sta già avendo — serie implicazioni per quanto riguarda la democrazia liberale come viene intesa oggi. L'odierna politica democratica, infatti, si fonda su due assunzioni, una morale — o, se preferite, teorica — e l'altra pratica. Moralmente parlando, essa richiede il supporto esplicito del regime da parte della maggioranza dei cittadini, che si presume costituiscano il grosso degli abitanti dello Stato. Ma per quanto fossero democratici gli ordinamenti in vigore per la popolazione bianca nel Sudafrica dell'apartheid,un regime che privava permanentemente del diritto di voto la maggior parte della sua popolazione non può essere considerato come democratico. Gli atti con cui si esprime il proprio assenso alla legittimità di un sistema politico, come votare periodicamente alle elezioni, possono essere poco più che simbolici. Di fatto, è da molto tempo un luogo comune tra i politologi dire che solo una modesta minoranza di cittadini partecipa costantemente e attivamente alla vita del proprio Stato o di un'organizzazione di massa. Ciò torna a vantaggio di coloro che comandano; e, in effetti, è da tempo che i pensatori e i politici moderati si augurano la diffusione di un certo grado di apatia politica. Ma questi atti sono importanti.

Oggi ci troviamo di fronte a un'evidentissima secessione dei cittadini dalla sfera della politica. La partecipazione alle elezioni appare in caduta libera nella maggior parte dei Paesi liberaldemocratici. Se le elezioni popolari sono il primo criterio di rappresentatività democratica, in che misura è possibile parlare di legittimità democratica per un'autorità eletta da un terzo dell'elettorato potenziale (la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti) o, come è avvenuto di recente per le amministrazioni locali britanniche e il Parlamento europeo, da qualcosa come il 10 o il 20 per cento dell'elettorato? O per un presidente americano eletto da poco più di metà del 50 per cento degli americani che hanno diritto di voto? Sul lato pratico, i governi dei moderni Stati nazionali o territoriali — qualunque governo — si basano su tre presupposti: primo, che abbiano più potere di altre unità operanti sul loro territorio; secondo, che gli abitanti dei loro territori accettino, più o meno volentieri, la loro autorità; e terzo, che tali governi siano in grado di fornire ai cittadini quei servizi ai quali non sarebbe altrimenti possibile provvedere, perlomeno non con la stessa efficacia (come «legge e ordine», per riprendere un'espressione proverbiale).

Negli ultimi trenta o quarant'anni, questi presupposti hanno progressivamente perso la loro validità. In primo luogo, pur essendo ancora di gran lunga più potenti di qualunque rivale interno, anche gli Stati più forti, più stabili e più efficienti hanno perso il monopolio assoluto della forza coercitiva, non ultimo grazie alla marea di nuovi strumenti di distruzione portatili, oggi facilmente accessibili ai piccoli gruppi dissidenti, e all'estrema vulnerabilità della vita moderna di fronte agli sconvolgimenti improvvisi, per quanto leggeri possano essere. In secondo luogo, hanno iniziato a vacillare anche i due pilastri più solidi di un governo stabile, ossia (nei Paesi che godono di una legittimità popolare) la lealtà dei cittadini e la loro disponibilità a servire gli Stati, e (nei Paesi dove questa legittimità popolare manca) la pronta obbedienza a un potere statale schiacciante e indiscusso. Senza il primo pilastro, le guerre totali basate sulla coscrizione obbligatoria e sulla mobilitazione nazionale sarebbero state impossibili, così come sarebbe stata impossibile la crescita degli introiti erariali degli Stati fino all'odierna percentuale dei Pil (introiti che possono oggi superare il 40 per cento del Pil in alcuni Paesi contro il 20 per cento negli Stati Uniti e in Svizzera). Senza il secondo pilastro, come ci mostra la storia dell'Africa e di ampie regioni dell'Asia, piccoli gruppi di europei non avrebbero potuto mantenere per generazioni il controllo sulle colonie a un costo relativamente modesto. Il terzo presupposto è stato minato non solo dall'indebolimento del potere statale ma anche, a partire dagli anni Settanta, da un ritorno, tra i politici e gli ideologi, a una critica dello Stato basata su un laissez-faire ultraradicale, secondo la quale il ruolo dello Stato stesso dev'essere ridimensionato a tutti i costi. Questa critica afferma, più per una sorta di fede teologica che non sulla base di evidenze storiche, che ogni servizio che le autorità pubbliche possono fornire o è qualcosa di indesiderabile, oppure potrebbe essere fornito in modo migliore, più efficiente e più economico dal «mercato». A partire da quel periodo, la sostituzione dei servizi pubblici con servizi privati o privatizzati è stata massiccia. Attività caratteristiche di un governo nazionale o locale come gli uffici postali, le prigioni, le scuole, l'approvvigionamento idrico e anche i servizi assistenziali e previdenziali sono stati ceduti a (o trasformati in) imprese commerciali; i dipendenti pubblici sono stati trasferiti ad agenzie indipendenti o rimpiazzati con subappaltatori privati. Anche alcune parti dell'apparato bellico sono state subappaltate. E, naturalmente, il modus operandi delle aziende private — che mirano alla massimizzazione dei profitti — è diventato il modello al quale ogni governo aspira a uniformarsi. E nella misura in cui ciò avviene, lo Stato tende a fare affidamento su meccanismi economici privati per sostituire la mobilitazione attiva e passiva dei propri cittadini. Allo stesso tempo, è impossibile negare che nei Paesi ricchi del mondo gli straordinari trionfi dell'economia mettono a disposizione della maggior parte dei consumatori più di quanto i governi o l'azione collettiva abbiano mai promesso o fornito in tempi più poveri. Ma il problema sta proprio qui.

L'ideale della sovranità del mercato non è un complemento, bensì un'alternativa alla democrazia liberale. Di fatto, esso è un'alternativa a ogni sorta di politica, poiché nega la necessità di decisioni politiche, che sono esattamente le decisioni sugli interessi comuni o di gruppo in quanto distinti dalla somma di scelte, razionali o meno che siano, dei singoli individui che perseguono i propri interessi personali. Si aggiunga che il continuo processo di discernimento per scoprire che cosa vuole la gente, processo messo in atto dal mercato (e dalle ricerche di mercato), deve per forza essere più efficiente dell'occasionale ricorso alla grezza conta elettorale. La partecipazione al mercato viene a sostituire la partecipazione alla politica; il consumatore prende il posto del cittadino. Francis Fukuyama ha di fatto sostenuto che la scelta di non votare, così come la scelta di fare la spesa in un supermercato anziché in un piccolo negozio locale, «riflette una scelta democratica fatta dalle popolazioni. Esse vogliono la sovranità del consumatore». Senza dubbio la vogliono, ma questa scelta è compatibile con ciò che abbiamo imparato a considerare come un sistema politico liberaldemocratico? Così, lo Stato territoriale sovrano (o la federazione statale), che forma la cornice essenziale della politica democratica e di ogni altra politica, è oggi più debole di ieri. La portata e l'efficacia delle sue attività sono ridotte rispetto al passato. Il suo comando sull'obbedienza passiva o il servizio attivo dei suoi sudditi o cittadini è in declino. Due secoli e mezzo di crescita ininterrotta del potere, del raggio d'azione, delle ambizioni e della capacità di mobilitare gli abitanti degli Stati territoriali moderni, quali che fossero la natura o l'ideologia dei loro regimi, sembrano essere giunti al termine. L'integrità territoriale degli Stati moderni — ciò che i francesi chiamano «la Repubblica una e indivisibile» — non è più data per scontata. Fra trent'anni ci sarà ancora una singola Spagna — o un'Italia, o una Gran Bretagna — come centro primario della lealtà dei suoi cittadini? Per la prima volta in un secolo e mezzo possiamo porci realisticamente questa domanda. E tutto ciò non può non influire sulle prospettive della democrazia.

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Commento di Marco Baldasari

Questa sintetica analisi che dipinge il passaggio dal potere "degli eletti" al potere del "consumatore".
L'allarmismo, tuttavia, e' totalmente fuori luogo. Se il politico eletto in uno stato "pesante" - come lo e' l'italia che governa bel oltre il 50% del PIL - detiene un evidente dominio dirigistico sulle scelte economiche, lo stesso politico detiene anche un enorme "potere di scambio" per contrattare con i suoi elettori le proprie scelte in cambio dei voti. Si arriva al caos odierno della contrapposizione totale di lobby e sottolobbies in un continuo contrattare di favori in cambio di benefici economici. Si arriva allo statomafia.

Per contro, in un sistema dove il consumatore ha la possibilita' di scegliere democraticamente il prodotto o servizio al miglior rapporto costo-beneficio, la democrazia diretta viene esercitata in ogni istante in cui ciascun consumatore decide di acquistare. Non essendo piu' lo stato a produrre i beni e servizi, non sara' piu' possibile quel conflitto di interesse tra il politico e la lobby. Non sara' piu' la dialettica marxista a mediare tra interessi in conflitto, in un perpetuo tiro alla fune, perche' lo stato non avra' piu' le leve del mercato.

Quale funzione deve dunque avere lo stato? Al servizio del mercato e del consumatore, deve garantire Law and Order affinche le regole siano rigidamente applicate e rispettate da tutti. Il mercato non puo' esistere senza regole. Quindi lo stato avra' i mezzi, che il mercato dovra' fornire a un "arbitro supremo" che stabilisca e faccia rispettare le regole. Questo fa si che le lobby potranno si continuare a influenzare le scelte politiche, ma soltando influenzando le regole e non con lo scambio do-ut-des di tipo mafioso e corruttivo.

Inoltre siccome il mercato ha bisogno di concorrenza e di potere di acquisto che "tiri" la domanda, lo stesso mercato non puo' esistere senza un potere forte che bilanci le instabilita' proprie del libero mercato. Masse enormi di capitali si spostano da un territorio all'altro, da un settore di mercato all'altro, creando enormi tensioni economiche che possono distruggere uno stato. Si pensi all'italia, col suo enorme debito pubblico che supera il 106% del PIL che per oltre il 50% e' determinato dall'azione stessa dello stato. Basta un nonnulla, una improvvisa interruzione del gettito fiscale perche' lo stato non abbia i mezzi per provvedere al PIL e dunque a pagare gli interessi sul debito. In un sistema a moneta indipendente (come l'Euro) lo stato non puo' agire sulla svalutazione della moneta (come il buon Amato fece nel 92) trovandosi improvvisamente a rischio di insolvenza. Si pensi all'Argentina. Lo stato, senza cassa adeguata, si trova costretto a far crescere il debito, che oggi e' in larga parte costituito dall'enorme massa di pagamenti in ritardo - ben oltre i 365 giorni in italia.

Dunque, sul timore che lo stato sia insolvibile, soltanto il WMF potrebbe concedere prestiti ulteriori. Sarebbe possibile che il mercato mondiale dichiari guerra agli stati con elevato indebitamento e spesa superiore. Come nel caso dell'italia con debito oltre il 106% e PIL oltre il 50% gonfiato da spesa clientelare mafiosa.
Lo stato deve essere virtuoso, come l'amministrazione di un condominio, perche' non ha piu' il potere coercitivo di imporre la spesa e di scegliersi chi pagare con i soldi pubblici. E' il consumatore che sceglie.

Quindi lo stato deve funzionare come una macchina, un sistema efficiente, che garantisca al consumatore e al mercato le regole e la fiducia che quelle regole saranno rispettate. Le regole diventano importantissime.
Regole che non possono flettersi in funzione del cittadino (come vorrebbe anche l'art. 3 della nostra bella, teorica costituzione - per quanto inapplicata) perche' il mercato farebbe immediatamente scontare questo dispregio delle regole, punendo lo stato con una fuga dei capitali e delle economie. Quanto appunto sta avvenendo in italia, dove e' folle pensare di investire - a meno che sia necessario per la sopravvivenza di un attore preinsediato in questo paese.

Per il mercato (inteso come insieme dei produttori e dei consumatori) servono regole, ma anche redistribuzione del reddito, sempre secondo regole chiare e possibilmente stabili sul lungo periodo.
Affinche' le regole influenzino il mercato, la loro futura evoluzione deve essere molto prevedibile al fine di mantenere uno scenario il piu' possibile stabile, di fiducia emotiva del minimo rischio di cambiamento. Se non possiamo prevedere una eruzione o una alluvione, accettiamo di prendere quei rischi ma non quelli che sono il prodotto di una volonta' razionale, che cambia il terreno sotto i nostri piedi mentre stiamo camminando.

Il mercato libero puro non esiste e non puo' esistere, perche' il mercato e' un sistema endemicamente instabile che pero' ha assoluta necessita' di essere stabilizzato. Ovvero la stabilizzazione del mercato e' necessaria al mercato stesso, in termini macroeconomici. Servono le regole, che consentano di mantenere il mercato stabile per creare quella fiducia nel futuro che e' la molla di ogni investimento.

Non devono poter esistere posizioni di dominio del mercato (monopoli o cartelli) come non devono esistere rischi per chi non ha mezzi o li ha persi, poiche' il rischio e il fallimento sono il metodo con cui evolve il mercato. Devono dunque essere dati ai consumatori (che sono anche investitori e imprenditori) i mezzi per garantire loro il potere economico di scelta e di sussistenza in caso di crisi.

Ecco che la regola e' come la funzione di trasferimento del regolatore di un sistema in controreazione. Non piu' soggetta alla trattativa di scambio della politica, ma soluzione di un problema matematico che rappresenta il sistema produttori-stati-consumatori di cui la politica ha il compito di individuare le condizioni al contorno e identificare i parametri. Governi di tecnici e di mediatori competenti.

La formazione e l'informazione costituiscono quel potere essenziale che permette dunque al mercato di sopravvivere. Incidentalmente sono anche le due risorse indispensabili per far sopravvivere la democrazia e i consumatori. La funzione di informare e di educare il mercato (produttori e consumatori) diventa essenziale ruolo dello stato, inteso come la totalita' dei consumatori-produttori.

Per questo internet e' garanzia di democrazia e di benessere. Per dare ai consumatori il potere della conoscenza, necessaria per poter scegliere in modo oculato e influenzare il mercato.

L'informazione deve controbilanciare la propaganda dei produttori e degli operatori del mercato.
Neppure gli analisti sono liberi, se traggono profitto dal mercato. Maestri e analisti sono la democrazia.
Consumatore sovrano del mercato e dello stato.



venerdì, ottobre 26, 2007

la coppia del terzo millennio

A Genova, un manager quarantenne rimane disoccupato, espulso dall’azienda in parte sua perchè gli altri due soci lo ritengono non abbastanza «moderno», troppo ostile ai loro metodi (licenziamenti, tagli di spese, produzione trasferita all’estero). Per mesi non dice nulla alla moglie Margherita Buy, restauratrice che sta laureandosi in storia dell’arte, alla figlia che insieme con il ragazzo amato (deplorato dai genitori) ha aperto un bistrò. Poi parla: ha cercato lavoro ma non l’ha trovato, debbono vendere la casa per estinguere il debito con la banca, venderanno la barca, anche lei dovrà lavorare. La moglie è risentita per non aver saputo nulla prima: con il pragmatismo e la resistenza delle donne prende a lavorare in un call center. Lui ha incontri per il lavoro sempre più deludenti, mortificanti: richiede a un amico sei milioni prestatigli anni prima per sentirsi rispondere con una bugia, «te li ho già restituiti». Sta a casa, legge gli annunci sui giornali, fa la spesa, passa l’aspirapolvere, guarda la tv, fa la lavatrice. Soffre: il lavoro non è per lui soltanto un’abitudine, una misura della propria condizione sociale, uno stipendio per sopravvivere, è anche un impiego del tempo, una fuga dall’ozio devastante. Di fare nulla non ne può più. Gli offrono un lavoro di pony express, accetta. Dall’auto la figlia lo vede correre a consegnare buste, e si addolora.

I rapporti coniugali diventano difficili; la nuova casa è piccola, soffocante; il tentativo di fare l’imbianchino con due suoi ex operai pure disoccupati fallisce; il tradimento svogliato della moglie divenuta segretaria non aiuta. A lui non importa più niente di niente. Passa i giorni muto e solo, buttato sul divano. Guarda dalla finestra, non si occupa più della casa. Li salvano l’amore e l’estasi della bellezza: l’affresco al cui restauro la moglie lavorava si rivela prezioso, il bisogno di restare insieme e amarsi è più forte di tutto. Finale racconsolante poco credibile; l’analisi della famiglia borghese proletarizzata è molto intelligente e toccante; Genova è il luogo stupendo d’una pessima situazione.

Silvio Soldini con Giorni e nuvole ha fatto un film bello che per la prima volta analizza nel profondo, negli effetti sulla personalità smarrita, nel dolore individuale, quella mancanza di lavoro divenuta per tanti una forma nominalistica, un problema che riguarda gli altri: e offre ad Antonio Albanese e a Margherita Buy la migliore occasione della loro vita di bravi attori, còlta benissimo.

«Racconto lo stupore di due persone che sono certe che la vita abbia preso un corso ben definito e che, improvvisamente, scoprono che tutto è cambiato in maniera inimmaginabile». «Il problema principale - ha aggiunto - è stato quello di riuscire a non farsi trascinare verso il finale drammatico e tragico a cui tutto sembrava condurre. Io volevo che i due protagonisti si mettessero uno di fronte all’altro, si spogliassero di tutto e decidessero di essere sinceri chiedendosi: cos’è la cosa più importante del mondo per me?».
La storia del manager che si trova senza lavoro, che deve cambiare casa e abitudini, che tenta di fare altri lavori anche molto poco qualificati pur di uscire dalla depressione, che rischia di perdere l’amore della moglie e che, al contempo, comprende meglio la figlia e il suo compagno, trova continuamente riscontri reali nella vita.

Soldini riflette sull'equazione tra lavoro e tempo: il lavoro organizza il nostro tempo, se si lavora poco si perde tempo, se si lavora molto si guadagna tempo. Quando il Michele di Albanese perde il lavoro entra perciò in un tempo dell'attesa e dell'introspezione. Incapace di ri-organizzarsi la vita senza i ritmi dell'azienda, il protagonista vive una progressiva perdita di definizione.

Michele appartiene alla borghesia alta e intellettuale, una classe che ha fatto del lavoro la misura di ogni cosa e la fonte della propria identità. Elsa, abituata a riflettersi nel lavoro del marito e a godere del prestigio sociale e delle opportunità (laurearsi e fare senza compenso la restauratrice) della loro condizione, trova uno, due, tre lavori per provare a rientrare nella "normalità" da cui sono usciti. I due protagonisti sono avvolti da un velo di sofferenza non detta, da una cortina impenetrabile che rende inutile qualsiasi contatto umano. Capiranno insieme, distesi a contemplare l'affresco del Boniforti, che è l'amore (e non il lavoro) a "produrre" valore e realizzazione personale.

giovedì, ottobre 25, 2007

Lo stato-barzelletta

Blog di Beppe Grillo: "Il mondo ride di noi. Il Times in un articolo dal titolo: '"Assalto geriatrico ai bloggers italiani"' ci definisce come: 'una nazione di legislatori ottuagenari eletti da settantenni, i pensionati'."

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha affermato che l' inchiesta Why Not deve andare avanti. Romano Prodi, presidente del Consiglio indagato, ha dato piena fiducia alla magistratura e elogiato Mastella.

- il 22/10 è saltato l’interrogatorio del supertestimone Giuseppe Tursi Prato, ex assessore socialista in carcere per concussione (che ha fornito informazioni su Mastella, Prodi e altri) e che non vuole più parlare (lo capisco)
- Caterina Merante, la testimone chiave dell’inchiesta, e la sua famiglia, sono sottoposte a continue minacce.

Mastella ha dichiarato prima di ottenere la fiducia di Prodi in Consiglio dei ministri: “Voglio proprio vedere come fa Prodi ad accettare le mie dimissioni. Un minuto dopo dovrebbe dimettersi anche lui, dal momento che è indagato come me dalla Procura di Catanzaro...” (Corriere della Sera 24/10/2007).
L’uomo è un mito. Ha polverizzato tutti i suoi cloni on line con un comunicato stampa ufficiale del Ministero della Giustizia.

Come il mondo vede l’Italia

Times: “La Levi Prodi è un assalto geriatrico ai bloggers italiani”

Grillo “crociato”, Prodi “arzillo sessantottenne”: in Italia governano “nonni”

Levi non molla. Ha infatti modificato l'articolo 7 della Levi-Prodi con un comma aggiuntivo invece di cancellare l'articolo. Ecco il comma:
"Sono esclusi dall'obbligo di iscrizione al Roc i soggetti che accedono ad internet o operano su internet in forme o con prodotti, come i siti personali o ad uso collettivo che non costituiscono un'organizzazione imprenditoriale del lavoro".
Cosa si intende per organizzazione imprenditoriale del lavoro? Chi propone pubblicità dal suo sito, come ad esempio Google AdSense, ricade in questo caso? Chi vende un prodotto on line è un imprenditore del lavoro?

E’ per questo che anche uno dei quotidiani più famosi al mondo ha deciso di occuparsi dell’argomento e dall’articolo di ieri l’Italia non esce bene: “Considerando gli standard del G8, l’Italia è un Paese strano – si legge – Per farla semplice, è una nazione di legislatori ottuagenari eletti da settantenni, i pensionati. Tutti gli altri non contano”.

“L’intento della proposta di legge, come è stato scritto quando è passata al vaglio del Consiglio dei Ministri, sarebbe quello di mettere il bavaglio ai bloggers, che ormai rappresentano un vero guaio per quelli che sono al potere”, continua l’articolo.

E così il Times continua, dipingendo Prodi come un “arzillo sessantottenne” che ha battuto un Berlusconi settantunenne alle ultime elezioni, mentre a Napolitano (82 anni) ne aveva già 20 quando i tedeschi si sono arresi alla fine della seconda guerra mondiale.
Secondo il Times, il governo italiano “non sembra capace di adattarsi al mondo moderno” e la spiegazione è semplice: “Anche il vostro Paese funzionerebbe in questo modo se i vostri nonni fossero in carica”, sostiene l’articolo.

mercoledì, ottobre 24, 2007

Eurabia-Italia. Un milione di minori extracomunitari.

Il baby-boom degli stranieri - LASTAMPA.it

GIORDANO STABILE
TORINO
Una città come Torino che aumenta al ritmo del 10 per all’anno, sempre più integrata nel nostro paese e con aspettative crescenti. Sono i «figli degli immigrati», cittadini stranieri per la maggior parte, ma anche nuovi italiani figli di coppie miste oppure naturalizzati. Saranno loro il nuovo volto dello «straniero» nel nostro Paese, più simile al nostro, forse più facile da accettare, ma con bisogni - prima di tutto scuola e formazione - che dovremo trovare il modo di garantire. Una ricerca della Fondazione Giovanni Agnelli, presentata ieri al Melting Box di Torino, ha calcolato che questa fetta d’Italia toccherà quota un milione all’inizio del 2008, con tre anni di anticipo rispetto a quanto previsto nel 2005. Il primo gennaio del 2007 i «figli degli immigrati» erano 900mila, e per effetto dei ricongiungimenti familiari e delle nascite, varcheranno tra pochi mesi la soglia mediatica del milione.

«Abbiamo messo a confronto i dati nazionali Istat e quelli di comuni che includevano anche i figli di coppie miste e gli stranieri naturalizzati - spiega Stefano Molina, dirigente di ricerca della Fondazione -. E abbiamo visto il rapporto tra i figli di stranieri e il numero complessivo di “figli di immigrati” è di uno a 2,25. Considerato che i figli di stranieri sono circa 400mila, il numero complessivo dei secondi era intorno ai 900mila all’inizio dell’anno. Con i ritmi attuali, supereranno il milione nel 2008 e non nel 2011 come pensavamo».

Il fattore che ha fatto cambiare i calcoli è stata la grande regolarizzazione del 2002-2003, che ha dato stabilità giuridica, e di conseguenza un lavoro e una casa più sicuri, a migliaia di famiglie. «È stato uno choc che ha avuto conseguenze interessanti e anche paradossali - continua Molina -. Per esempio il numeri di figli di per donna di molte comunità immigrate è più alto in Italia che nel Paese di origine, quando ci si aspetterebbe il contrario. Ma è facile che una coppia che ha atteso la regolarizzazione per molto tempo decida di avere figli subito dopo aver stabilizzato la sua condizione».

Secondo fattore, il rapido aumento dei flussi migratori dai nuovi Paesi dell’Unione Europea, soprattutto Romania. I residenti stranieri al primo gennaio 2007 erano 2.938.922, con un più 10,1% rispetto al 2006. Nell’ultimo anno però, la crescita nel complesso è dovuta soprattutto all’aumento dei nati da genitori stranieri: 57mila. Le stime della Fondazione Agnelli considerano i nati in Italia da genitori stranieri - seconde generazioni in senso stretto - e le cosiddette generazioni frazionali: la generazione 1,75 (giovani nati all’estero e immigrati in Italia tra 0 e 5 anni), la generazione 1,5 (immigrati tra i 6 e i 12 anni) e la generazione 1,25 (immigrati tra i 13 e i 17 anni). «Oggi in Italia - precisa Molina -, sono prevalenti gli ultimi due gruppi, ragazzi che hanno cominciato la scuola nel Paese d’origine, con difficoltà peculiari, prima di tutto l’apprendimento dell’italiano».

Un problema che sta mettendo in crisi parecchie scuole, soprattutto al Nord, ma che sarà presto sorpassato da altri, anche più complessi. È destinata a crescere la percentuale di figli di stranieri nati e scolarizzati in Italia, con aspettative simili a quelle dei coetanei italiani; difficilmente accetteranno un ruolo subalterno come quello destinato alla maggior parte dei loro genitori. «Sarebbe un errore considerare le loro aspettative come quelli degli immigrati di prima generazione - osserva Marco Demarie, direttore della Fondazione -. Se vogliamo che da loro vengano energie e risorse preziose, dovremo considerarli alla pari di tutti gli altri».
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La famiglia media italiana va a puttane.

Torino, disoccupato, sbattuto fuori di casa tenta il suicidio perche' non vede la
figlia.


TORINO - Separato dalla moglie, disoccupato, senza fissa dimora, senza i soldi per fare un regalo alla figlia, che compirà gli anni tra pochi giorni. Per tutti questi motivi un uomo di 39 anni ha tentato il suicidio ieri sera: è stato salvato dall'intervento della polizia, avvertita da un'operatrice di Telefono Amico.

La storia. Ieri, verso le 18, l'uomo, originario di Foggia e residente a Torino, ha mandato un disperato sms al numero dell'associazione. Una operatrice di Telefono amico, allarmata dal messaggio, ha subito chiesto aiuto al 113. La polizia è intervenuta chiamando quel numero di cellulare, cui però ha risposto la moglie dell'uomo: "Ci siamo separati da poco - ha spiegato la donna - è depresso e beve, ma sopratutto è distrutto perché non vede la bambina".

Gli agenti hanno chiesto alla moglie il numero di telefono dell'ex marito e lo hanno chiamato per dargli un appuntamento alla Gran Madre, ma di fronte alla chiesa non l'hanno trovato. L'uomo era sul ponte vicino, guardava le acque del fiume e piangeva disperato. La polizia si è avvicinata con calma, ha ascoltato la sua storia e lo ha accompagnato in un bar a bere qualcosa di caldo. Subito dopo sono scattati i soccorsi del 118.

Non c'è stato bisogno di ricovero perché l'uomo si è fatto visitare spontaneamente da uno psichiatra, accettando di ricevere le cure del caso.

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Che ci faceva un Italiano senza lavoro in mezzo a una strada? Il lavavetri?
Perche' non vede la bambina? Chi/cosa gli impediva di stare con la bambina?
Perche' non aveva un posto dove vivere?

Quali piani hanno le istituzioni? Deve suicidarsi la popolazione italiana per fare posto?
E' un nazismo buonista?
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http://www.repubblica.it/2007/10/sezioni/cronaca/regalo-suicidio/parla-disoccupato/parla-disoccupato.html








Disoccupato tenta il suicidio. Non aveva i soldi per il regalo alla figlia

di Armando Ermini
E’ la storia, tristissima, riportata dai giornali. Un trentanovenne foggiano con residenza a Torino, si è trovato all’improvviso senza più nulla della sua vita. Separato da poco e quindi senza casa, senza possibilità di vedere la figlia, disoccupato (e chissà che ciò non abbia influito sulla separazione) e senza soldi in tasca, neanche per un regalo alla bambina che compiva gli anni. Disperato insomma. Ha mandato un sms a Telefono Amico che con l’aiuto della polizia è riuscita a sventare il tentativo di suicidio che l’uomo stava mettendo in atto. La cronaca ci dice che gli agenti gli avevano dato appuntamento di fronte alla chiesa della Gran Madre (coincidenza significativa) ma che lo hanno trovato piangente su un vicino ponte. Ora è in cura psichiatrica.
Ma non è la psichiatria a poterlo aiutare per davvero, se non per lenire sul momento la sua disperazione.

Ormai troppi maschi e troppi padri si trovano a vivere situazioni simili e non c’è da meravigliarsi se si lasciano andare a gesti estremi, contro se stessi o gli altri.
Esiste una vera emergenza sociale provocata dalla facilità con la quale un uomo ed un padre possono essere spossessati di tutto, affetti e beni materiali.

Quella che è stata definita con felice quanto triste espressione, la Fabbrica dei divorzi lavora a pieno ritmo. Non esiste crisi economica che tenga. Ma è anche l’ora di smetterla, una volta per tutte, di accusare i maschi di insensibilità e di volontà di potere sulle donne e sui figli. Quale insensibilità? Quella che li fa sentire annientati per non poter provvedere alla famiglia? Quale potere? Quello di essere sbattuti fuori dalla propria casa senza aver nessuna colpa se non quella di non piacere più a Lei? Quello di dover mendicare qualche ora coi figli? La verità è che è stata costruita una mostruosa macchina, culturale, mediatica e giuridica, fondata su una menzogna, quella del maschio oppressore, che si autoalimenta e si autoconferma quando qualche disperato, certamente fragile, certamente non giustificabile, perde la testa e si mette a sparare come a Reggio Emilia.

Di questi fatti portano la responsabilità anche tutti coloro, legislatori, giudici, Associazioni femminili, che quella macchina hanno contribuito a costruire considerando gli uomini in torto a prescindere, ma anche ingannando e deresponsabilizzando tante donne, facendo loro credere di potersi permettere tutto.

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Ultimissime

TENTA SUICIDIO, AGENTE-PSICOLOGO LO CONVINCE A DESISTERE

(AGI) - Brescia, 25 ott. - Era stato abbandonato dalla moglie e, la scorsa notte, aveva deciso di farla finita buttandosi da un ponte che sovrasta la tangenziale, all'altezza del casello autostradale di Brescia centro. Un automobilista ha pero' notato l'uomo - un bresciano di 26 anni - che aveva scavalcato il parapetto e stava sul ciglio della strada, cosi' ha chiamato il 113. Sul posto si sono precipitate quindi le Pantere della Volante, oltre ai Vigili del fuoco e al 118. Un agente, sfoderando doti da psicologo, si e' seduto accanto all'aspirante suicida, ha iniziato a parlargli e lo ha convinto a desistere.

lunedì, ottobre 22, 2007

Allarme Rosso Trevi. Arte e Censura.

Cecchini - fontana allarme rosso trevi.
"Se fossi stato io continuerei su questa strada, mettendo alla berlina alcuni personaggi, magari versando loro del liquido blu sulla testa". "Chi ha apprezzato il mio gesto è un grande. Tutti mi rifiutano sia a destra che a sinistra. Sono un uomo libero, un artista, un futurista". "Un’azione geniale non c’è alcun atto distruttivo, non c’è dolo, non è stato rovinato nulla. C’è solo un grandissimo rodimento di fondo schiena di molti. Se andiamo nelle periferie, a Centocelle, a Tor bella Monaca della Festa del cinema non gliene frega nulla a nessuno. Il rosso è un segnale di emergenza.

La Fontana di Trevi di rosso vestita l'ho trovata divina


Stop ai motori di ricerca
La Cina blocca da giorni i motori di ricerca americani Google, Yahoo! e Live, il motore di Microsoft, reindirizzando automaticamente gli utenti sul sito del motore cinese Baidu.

Stop alle pubblicazioni libere
Dice l'articolo 2 del testo di legge: "Per prodotto editoriale si intende qualsiasi prodotto contraddistinto da finalità di informazione, di formazione, di divulgazione, di intrattenimento,che sia destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale esso è realizzato e il mezzo con il quale esso viene diffuso". in termini elementari significa che ogni blog dovrà essere registrato al R.O.C.

Stop al sito Italia.it
Molti denari pubblici sono stati buttati impegnati in Italia.it. Del totale di quelli previsti si parla di 35,9 milioni di euro effettivamente investiti. Un quadro aggravato anche dal fatto che, come ben sanno i lettori di Punto Informatico, mentre Italia.it veniva costruito, le Regioni, pur coinvolte in Italia.it, sviluppavano anche un Portale Interregionale che non solo non ha mai visto la luce ma, nonostante gli stanziamenti (13 milioni di euro), non sembra destinato a vederla mai.

Stop alla piu' grande azienda d'itaglia
La Mafia Spa si conferma la prima azienda italiana con un fatturato che tocca i 90 miliardi di euro, una cifra pari al 7% del Pil nazionale, pari a cinque manovre finanziarie e otto volte il "tesoretto"

Stop allo statomafia
stiamo rischiando di mettere in pericolo lo Stato di diritto, come giustamente hanno fatto e fanno osservare oramai molti autorevoli osservatori e la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica.
Audio intervista a De Magistris

Stop alla spesa pubblica oltre 50% del PIL
Brussels, Oct 22 - Italy had the worst public accounts in the euro zone in 2006, according to Eurostat data on the deficit and public debt of member states last year. In 2006, deficit/GDP reached a record of 4.4 percent in Italy. Among euro currency countries, the second worst place went to Portugal (3.8 percent) and, much further off, were Greece and France with 2.5 percent. The comparison is not the best with regard to public debt, which was of 106.8 percent in Italy last year: the highest in the euro zone but also in the entire European Union. Next was Greece with 95.3 percent and Belgium with 88.2 percent. The most virtuous country in the euro zone is Finland, which had a surplus of 3.8 percent in 2006, while the best country in terms of public debt was Luxembourg, with 6.6 percent.

Stop al volo in Italia del Nord
The Italian civil aviation sector is among the most hit in these days by unrest and union protests. Shortly will begin, at 12:00am, lasting until 4:00pm, the strike of the flight controllers of ENAV, the Italian flight assistance society, adhering to to the UGL union. The same ENAV lets know however that the workers who belong to this union are not more than 3 percent of the total. Also today down their tools the flight personnel of Alitalia of the Cisal-Assovolo union, from 10:00am alle 6:00pm. And particularly heavy will be the situation at the airports in Lombardy of Linate and Malpensa, due to the general strike summoned for the air transportation for the entire region from 10:00am to 2:00pm.

domenica, ottobre 21, 2007

Colpirne uno per educarne cento.

due settimane fa, ad Annozero, avevo evocato Licio Gelli e il Piano di rinascita della P2 e me ne hanno dette di tutti i colori. In realtà, ero stato troppo ottimista. Ormai siamo oltre Gelli, oltre la P2. Siamo al golpe politico-giudiziario.
Per una volta, inseguire gli aspetti tecnico-giuridici della decisione del Procuratore generale di Catanzaro di strappare di mano l’inchiesta “Why Not” su Prodi, Mastella & C. al titolare, cioè al pm Luigi De Magistris, è inutile e fuorviante. Meglio andare subito alla sostanza, che è questa: il magistrato che aveva raccolto elementi sufficienti per indagare Mastella per abuso, truffa e finanziamento illecito, cioè riteneva di aver trovato i soldi, non potrà portare a termine la sua indagine, ormai in dirittura d’arrivo. Il fascicolo passerà a un altro magistrato, che impiegherà mesi per studiarsi tutti gli atti. E, se non vorrà fare la fine di De Magistris - attaccato da destra e da sinistra, difeso da nessuno, ispezionato per mesi e mesi, trascinato dinanzi al Csm, proposto per il trasferimento immediato e infine espropriato del suo lavoro - ascolterà l’amorevole consiglio che gli danno il governo e l’opposizione una volta tanto compatte: archiviare tutto, lasciar perdere, voltarsi dall’altra parte.
Checchè se ne dica, questa non è una questione privata fra De Magistris e Mastella. Questa è la soluzione finale dopo vent’anni di guerra della politica alla Giustizia. E’ il coronamento del sogno dei vari Gelli, Craxi e Berlusconi di fermare sul nascere le indagini sul potere. Gelli, Craxi e Berlusconi, nella loro ingenuità, pensavano che per farlo occorresse modificare la Costituzione, scrivendoci che la carriera dei pm è separata da quella dei giudici e che le procure devono obbedire al governo.
Mastella e chi gli sta dietro hanno capito che non occorre cambiare le norme: basta creare le condizioni di fatto perché tutto ciò accada. Appena un pm apre un fascicolo sugli amici di un ministro, se ne chiede il trasferimento (del pm, non del ministro). Anche se la richiesta non sta in piedi, non importa: quando il magistrato arriverà al sodo, salendo di livello dagli amici del ministro al ministro stesso, il ministro sosterrà che il pm lo fa perché ce l’ha con lui. E, col gioco delle tre carte, riuscirà a convincere qualche alto magistrato a scambiare le cause con gli effetti e a scippare l’indagine al pm per “incompatibilità”. Come se fosse il pm ad avercela col ministro, e non il ministro ad avercela col pm. Si chiama “guerra preventiva”, e non l’ha neppure inventata Mastella. L’aveva già teorizzata Mao: “Colpirne uno per educarne cento”. Funziona.”
Marco Travaglio

giovedì, ottobre 18, 2007

Evoluzione della famiglia immigrata.

Sembrerebbe che la sparatoria in tribunale non sia altro che l'esecuzione di una condanna, per chi aveva osato sfidare le leggi del Kanun. Infatti oltre al voler lasciare la propria famiglia, azione osteggiata dalle proprie figlie e praticamente dall'intera comunita' Albanese, potrebbe essere considerato "oltraggioso" il castello infamante di accuse e le modalita' con cui veniva aggredita la figura del padre.

Cose a cui oggi ormai gli italiani non danno peso. La calunnia e la diffamazione sono triste consuetudine dell'intera cultura italiana, dalle veline alla politica. Pero' un tempo anche da noi l'onore e l'onorabilita' erano la cosa piu' importante. Un tempo usava sfidarsi a duello quando la dignita' di una persona veniva infamata.

Ai nostri giorni, gli Albanesi sono ancora tra i pochi a tirare fuori il coltello o la pistola per uno sguardo di troppo, per due parole mal dette in un locale pubblico. Con relativa rappresaglia e mattanza a ripagare l'onore, una parola vuota nella nostra societa' liquida. Non per la loro.

Però attenzione a sottovalutare le trasformazioni delle donne immigrate, sia dal Maghreb che dai Balcani. Esse fanno una vera e propria sfilata quotidiana davanti agli uffici delle case popolari.
Tornano a più riprese: le si vede cambiare da una volta all'altra.

Appena immigrate giungono col marito: velo e sguardo basso; parla solo lui.
Tornano l'anno successivo per rinnovare l'istanza: il costo della vita li ha stritolati; lei ha lasciato perdere la cottura della pecora in casa ed è andata alla coop delle pulizie; sono tutte donne,
il marito è tranquillo. Ed è appunto lì l'inghippo: l'indottrinamento delle altre. Se poi ci aggiungiamo la frequentazione del Centro Famiglie (subdola scuola politica dei Servizi Sociali) per imparare l'italiano, il trend si fa a tinte fosche.

Non di rado al terzo anno vengono da separate. Via il velo. Lieve accento nel dialetto locale. Guardano il funzionario maschio dritto negli occhi: se e' affabile loro reagiscono sorridendo al limite della civetteria. Non ci saranno i pantaloni a vita bassa ma ci sono mille altri presupposti.
Qualche volta hanno già fatto il pellegrinaggio di rito alla Casa delle Donne: 2-3 mesi lì ed il punteggio per la casa popolare schizza alle stelle. Tutto pianificato.

mercoledì, ottobre 17, 2007

separazioni civili.

ANSA.it - SPARATORIA IN TRIBUNALE REGGIO EMILIA, 3 MORTI:

Una sparatoria è scoppiata all'interno del tribunale di Reggio Emilia. Nello scontro a fuoco sarebbero morte tre persone. Si tratterebbe, secondo le prime ricostruzioni, di un albanese, che avrebbe ucciso la moglie e colpito a morte un parente mentre erano in attesa in una sala per partecipare a un'udienza di separazione.

La sparatoria è avvenuta nell'aula delle separazioni civili del tribunale. Due avvocati (tra cui il legale che assisteva la donna) e un poliziotto sono rimasti feriti non gravemente.

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DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL'UOMO "indispensabile che i diritti dell'uomo siano protetti da norme giuridiche, se si vuole evitare che l'uomo sia costretto a ricorrere come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia e l'oppressione"

(tratto da comunicazione condiviso)

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ERA IL PIU' AMOREVOLE E RESPONSABILE DEI PADRI -
LA MOGLIE, FREDDA ED ANAFFETTIVA, LO AVEVA ESASPERATO

Da Il Giornale di Reggio del 19 ottobre 2007

La sua vita è stata sconvolta da una tragedia tanto più grande di lei.
I parenti la attorniano e scoppiano a piangere. Lei, invece, parla con
una freddezza inimmaginabile per chiunque si trovasse al suo posto, in
quella situazione: tanto più per lei, una ragazzina di sedici anni.
Accoglie i parenti, giunti da tutt'Italia e parla con i giornalisti
della sua storia familiare: lucida e con una grinta da leonessa,
difende la figura del padre omicida. Accanto a lei e ai parenti
albanesi c'è anche il fratello di Clirim Fejzo, che li aiutava dagli
Stati Uniti: veglia su di lei e sulle sue parole, come ha fatto
nell'ultimo anno di difficoltà. Mentre siamo nella loro casa di via
Andreini 11, squilla il cellulare della ragazza. Sono le 14.30, arriva
un'altra drammatica notizia: anche la madre, ricoverata nel reparto di
Rianimazione dell'ospedale Santa Maria Nuova, non ce l'ha fatta. E'
stata dichiarata la morte cerebrale. E' lei stessa ad annunciarlo a
tutti: è la terza vittima di questa tragedia, dopo il padre, freddato
dall'agente di polizia, e lo zio Arjan Demcolli, fratello della
mamma.
Alla figlia, Tisjana Fejzo, si inumidiscono per un attimo gli occhi, e
c'è il tempo per un abbraccio con la cugina: ma le parole di dolore
sono tutte per suo padre, l'omicida che ha sconvolto la vita della sua
famiglia e un intero Paese, sotto i suoi occhi. Tisjana è cresciuta in
fretta: la sorte si è abbattuta su di lei, e sembra non aver paura. Ha
perso un anno di scuola all'istituto Levi-Scaruffi e ora sta lavorando
da Viola parrucchieri, a San Prospero. La sorella minore, di 12 anni,
è ora ospitata dalla Casa delle donne: sottratta allo strazio del via
vai dei parenti.
«Mio padre è sempre stato un uomo tranquillo e sereno: andava
d'accordo con tutti e per noi figlie ha fatto tantissimi sacrifici -
lo ricorda la figlia - a differenza di nostra madre: lei nell'ultimo
anno ci aveva abbandonato quattro volte. La prima volta era stata
ospitata dal fratello morto, la seconda era andata ancora da Arjan che
però non se la sentiva più di ospitarla, e così si era trasferita
dall'altro fratello Valmir. Poi è ritornata, ma poco dopo si è
trasferita di nuovo da Valmir. Mio padre la accettava sempre,
l'avrebbe sempre accettata. L'ultima volta, era l'11 novembre 2006, se
n'è andata per sempre».
Cosa può dire la figlia dei tormentati rapporti tra i genitori? «Sono
scoppiati quando mio padre le ha chiesto di tornare in Albania perché
sua sorella era morta. Lei non voleva affatto, e da allora non
facevano altro che litigare. Lui voleva ottenere la separazione in
Albania, dove ci sono alcuni beni di famiglia, lei non voleva e lo ha
minacciato più volte. Mia madre non aveva mai parlato con noi di ciò
che accadeva tra loro. Io le avevo detto di separarsi con le buone,
lei diceva "Vediamo". Non ho mai sentito mio padre minacciarla, e a
noi non ha mai fatto del male: per noi si faceva in quattro».
Le due figlie avevano chiesto di stare con il padre: «Sapevamo che
aveva ragione: faceva l'artigiano, ha fatto di tutto per non farci
mancare niente, mentre nostra madre parlava solo dei soldi che lui le
doveva - continua la maggiore - lui ha chiesto più volte aiuto alle
forze dell'ordine e ai servizi sociali, ma non l'hanno aiutato. Voleva
rivedere mia madre, sapevo che aveva chiesto degli incontri anche
tramite l'avvocato, ma non ha mai avuto risposta. Non ne poteva più».
La goccia tre giorni fa: «Mia madre è andata a prendere a scuola mia
sorella, ma mio padre non è stato avvisato: se l'è trovata davanti e
hanno litigato. Tre volte sono andata a trovarla alla Casa delle
donne, ma mi ha liquidata in poco tempo: l'ultima volta mi ha detto di
farmi la mia vita, mi trattava come se non fossi più sua figlia».
Fino al dramma in tribunale: «Mio padre era tranquillo, ero seduta
accanto a lui. Poi ricordo solo una scena: il poliziotto che ha
ricaricato la pistola. Mio padre ci ha fatto del bene, ed è scoppiato
perché non ne poteva più. Ha chiesto aiuto e non lo hanno ascoltato.
Nonostante tutto non posso dimenticarlo».
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R.Emilia, la storia di Klirim e Vjosa

La storia tra l'albanese che ha fatto fuoco al tribunale di Reggio Emilia e sua moglie era iniziata tanti anni fa. Klirim Fejzo e Vyosa Demcolli, infatti si conoscevano da bambini quando con i loro coetanei giocavano nelle stradine del piccolo paese di Sukth, ad una decina di chilometri da Durazzo. Divenuti adolescenti quell'amicizia si è trasformata in amore. E così i due si sono sposati, e insieme hanno tentato l'aventura in Italia.

Inizialmente sono andati a vivere in una casa che lui si è fatto costruire quasi attigua a quella della famiglia di lei. E sempre insieme una decina di anni fa si sono lasciati tentare dall'avventura italiana, dove vivevano tutti e quattro i fratelli di Vjosa. Quel sogno si è drammaticamente infranto nel palazzo di giustizia di Reggio Emilia nel giorno in cui la giustizia avrebbe dovuto sancire la fine di quell'amore. Dapprima incredulità, poi sgomento. Sono le reazioni di coloro che conoscevano bene Clirim, Vjosa e Arjan (il fratello della donna ucciso anch'egli a Reggio Emilia) nell'apprendere la notizia della tragedia giunta nel primo pomeriggio dall'Italia. Tre persone conosciute come grandi lavoratori, Clirim anche come ''un bravissimo ragazzo''.

A Sukth vive, sola, Dituri Demcolli, 57 anni, pensionata, la mamma di Vjosa e Arjan. Un parente, Servet Perfundi, le ha raccontato una pietosa bugia: ''Vjosa e Arjan sono rimasti feriti in circostanze non ancora ben chiare, e sono entrambi in ospedale". "Adesso - racconta al microfono di una televisione albanese, dove la strage di Reggio Emilia è in copertina così come nei media di tutto il Paese - bisognerà trovare il coraggio di dirle la verità". E poi - conclude Perfundi - dovremo aspettare l'arrivo delle salme e organizzare i funerali''.

Clirim Fejzo è stato a Sukth nello scorso agosto e ha dormito nella sua casa che non ha mai voluto affittare nonostante da dieci anni risiedesse in Italia. Era molto legato a quella piccola abitazione - affermano in paese - dove probabilmente cercava ancora di ritrovare l'essenza di un amore irrimediabilmente perso. ''Li conoscevo entrambi - dice con commozione Edison Maraje, ricordando Clirim e Vjosa - lui era una persona molto tranquilla, un bravissimo ragazzo che non ha mai fatto del male a nessuno. Chissà cosa gli è passato per la testa perché si armasse e facesse una strage".

http://www.tgcom.mediaset.it/cronaca/articoli/articolo384006.shtml

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Ha atteso l'arrivo in tribunale della moglie e delle due figlie. Appena entrate ha fatto fuoco almeno una trentina di volte, ha detto un testimone. Klirim Fejzo ha puntato l'arma alla testa della moglie, Vyosa Demcolli (ora in morte cerebrale al Santa Maria Nuova). Poi ha freddato il cognato, Arjan Demcolli, che aveva tentato di disarmarlo. E' questa la ricostruzione fatta dagli investigatori della sparatoria in tribunale di Reggio Emilia: l'uomo a quel punto ha fatto fuoco contro chi gli era intorno, compresi i suoi avvocati, ferendo due poliziotti, l'avvocatessa della coniuge e un'altra persona, non è ancora chiaro se un avvocato o un dipendente giudiziario. Poi
è stato ucciso appena varcata la soglia dell'aula dell'udienza per le separazioni civili. L'uomo, da una decina d'anni in Italia, da sette a Reggio Emilia, era considerato a rischio per storie di violenze e percosse in famiglia.

Per questi motivi la moglie da un anno era ospite della Casa delle Donne, gestita dall'associazione "Non da sola", di cui la sua legale, Giovanna Fava, è una dirigente. L'avvocatessa, ferita lievemente a una spalla, ha voluto lasciare l'ospedale per tornare a rendersi conto di ciò che è
successo in una sorta di storia di morte annunciata. Decine le persone che hanno assistito alla scena e hanno riportato choc. Sembra che il rapporto tra i due coniugi fosse ulteriormente deteriorato per la questione dell'affidamento delle figlie e che il motivo scatenante sia stata una
visita a sorpresa ieri a una di loro: l'uomo sarebbe andata a prenderla a scuola senza avvertire e ci sarebbe stato l'ennesimo alterco con la moglie.

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ASSOCIAZIONE NONDASOLA è nata nel 1995 per volontà di un gruppo di donne che, diverse per esperienze personali, culturali, politiche, hanno trovato forti motivazioni comuni ad approfondire la riflessione sulla violenza alle donne, sulle sue radici, sui modi di contrastarla.

La nostra lettura del fenomeno della violenza alle donne si fonda sul dato, registrato ormai da tutte le statistiche, che sono gli uomini ad agire la violenza contro le donne: la violenza è dunque violenza di genere

http://www.nondasola.it
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Contro la guerra di genere e contro tutte le violenze, serve educazione al controllo di se e sostegno quando esistono disagi. La violenza e' sempre da condannare, salvo per autodifesa.
Non si educa con la violenza, violando le emozioni si fa solo del male. Solo la forza dell'amore, l'aiuto e il dialogo curano la violenza. Non l'emarginazione e la radicalizzazione del conflitto, soprattutto quando viene stereotipato con schemi generalizzanti che si prestano a manipolazioni. Sono cose note da 2000 anni che non vanno dimenticate.
In questi casi ci vuole terapia intensiva e prevenzione. La giustizia non e' vendetta.
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IL FEMMINISMO FA BENE AI RAPPORTI DI COPPIA ROMA - Femminismo e romanticismo vanno d'accordo, tanto da rendere le donne che si definiscono tali le migliori candidate a rapporti di coppia stabili e appaganti. Lo ha dimostrato uno studio dell'università americana di Rutgers, pubblicato dalla rivista tedesca Sex Roles, secondo cui sia le donne che si autodefiniscono femministe sia i loro partner hanno relazioni migliori.
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BUON ASCOLTO AI BENPENSANTI

lunedì, ottobre 15, 2007

The Last Days of Europe di Walter Laqueur

Il Filo a Piombo: L'epitaffio per l'Europa di Walter Laqueur: "The Last Days of Europe"

di Guglielmo Piombini

La denatalità associata all’immigrazione fuori controllo potrebbe segnare la fine della civiltà europea, avverte lo storico Walter Laqueur, autore di fondamentali studi sull’Europa del dopoguerra, l’antisemitismo e il terrorismo, nel suo nuovo libro The Last Days of Europe: Epitaph for an Old Continent.

All’inizio del nuovo millennio gli intellettuali più ascoltati indicavano nell’Europa la potenza guida del XXI secolo. L’Unione Europea, secondo questa visione, avrebbe assunto la leadership mondiale non con la forza militare, ma grazie al “potere trasformativo” del suo superiore sistema sociale, che il resto del mondo avrebbe imitato.

Walter Laqueur si chiede come siano potute nascere quelle allucinazioni. Col passar del tempo il welfare state europeo è diventato sempre più costoso, la tassazione sempre più elevata, l’economia sempre più regolamentata. L’invecchiamento della popolazione e il calo della forza-lavoro giovanile suonano come una condanna a morte per il gravoso sistema assistenziale europeo. Oggi appare chiaro che l’Europa non ha alcuna possibilità di competere con gli Stati Uniti sul piano economico o geopolitico, e che fatica persino a reggere la concorrenza della Cina e dell’India.

Fin dalla fine degli anni Ottanta gli esperti in demografia, come i francesi Alfred Sauvy e Jean-Claude Chesnais o il tedesco Herwig Birg, avevano suonato l’allarme, spiegando che l’Europa non stava riproducendosi a sufficienza. I loro avvertimenti però non vennero mai presi seriamente in considerazione dalle classi politiche, perché gli effetti negativi del calo demografico si sentono nel lungo periodo, ma gli uomini politici raramente guardano al di là dei quattro o cinque anni che li separano dalle elezioni successive.

Al calo delle nascite si aggiunge l’arrivo di una massiccia immigrazione che sta cambiando il volto del paesaggio urbano. Anche in passato nelle città europee c’erano delle zone abitate da ebrei o da lavoratori ospiti. Gli immigrati di un tempo però si contavano in qualche decina di migliaia, non in milioni di persone. Non usufruivano come oggi di generosi sussidi e servizi sociali, e per questa ragione facevano ogni sforzo per integrarsi nella società ospitante. Adesso invece molti immigrati, soprattutto musulmani, si auto-segregano volontariamente in comunità separate, e non socializzano con i vicini tedeschi, inglesi o francesi. I predicatori gli insegnano che i loro valori e le loro tradizioni sono di gran lunga superiori a quelli degli infedeli, e che ogni contatto con loro è indesiderabile.

Negli europei cresce il timore di ritrovarsi stranieri nella propria terra, e che ormai sia troppo tardi per fermare questo processo. Già nel 2004 a Bruxelles più del 55 per cento dei neonati erano figli di immigrati; nella regione tedesca della Ruhr entro pochi anni più della metà delle classi d’età sotto i trent’anni saranno di origine etnica non tedesca; fra cinquant’anni gli Stati Uniti avranno più di 400 milioni di abitanti, mentre la popolazione dell’Unione Europea potrebbe essere meno numerosa di quella del Pakistan o della Nigeria. Chi lavorerà nelle fabbriche dell’Europa priva della sua gioventù? Chi servirà negli eserciti europei, gli ultraquarantenni?

La spiacevole verità, scrive Laqueur, è che l’Europa non sta diventando una superpotenza, ma si trova nel bel mezzo di una crisi esistenziale. La posta in gioco non è il ruolo egemonico mondiale, ma la sopravvivenza.

domenica, ottobre 14, 2007

We the People

Blog di Beppe Grillo: "Noi siamo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi. Raccolgaci un'unica bandiera, una speme: di fonderci insieme già l'ora suonò.”"

sabato, ottobre 13, 2007

Comma 22 delle separazioni. Se non trovate accordo e' meglio trovare un accordo.

a chi spetta la casa coniugale in caso di separazione? « tiziano solignani:

"Sicuramente, nel caso in cui sia una separazione consensuale i due coniugi possono accordarsi affinchè la moglie vada a vivere nell’appartamento di sua proprietà e Angelo le passi un assegno di mantenimento mensile. Oppure, possono stabilire che la moglie vivrà nella casa coniugale e affitterà l’altro immobile di sua proprietà cossichè da non incidere economicamente sul marito. Queste sono solo due possibili soluzioni consensuali, ma molte altre se ne possono trovare.

Nel caso in cui, invece, la separazione fosse giudiziale, il Giudice potrebbe senz’altro decidere di assegnare la casa coniugale alla moglie di Angelo e obbligare quest’ultimo a versare un assegno alla moglie. Consiglio, pertanto, ad Angelo di trovare un accordo con la moglie in merito alle condizioni di separazione anche perchè una causa di separazione giudiziale potrebbe andare avanti per diversi anni con conseguente dispendio di tempo e denaro."

giovedì, ottobre 11, 2007

gli uomini sardi seviziano le fidanzate

Sevizia la fidanzata, è sardo: "Naturale che si comporti così":

"Menzogne, menzogne, menzogne. Quanto tempo durerà ancora? Perché non posso essere felice, godere la vita? Dio, tu sei l'unico testimone che io non ho dormito con lui. Devo mentire perché altrimenti mi picchia di nuovo. E ancora questa merda che ho provato. Era terribile. Non vorrei provare droghe per tutta la vita. La cosa peggiore è che soffro ogni giorno. Mi si rimprovera ciò che non è successo. Questa è la cosa più terribile. Qualche volta mi domando perché ho mentito così. La risposta è semplicissima: per paura di essere picchiata di nuovo. Quanto ha fatto a me e al mio corpo era terribile. Quante notte insonni, quanto dolore sofferto. Aiutami, Dio ti prego. Aiuta la nostra relazione, io lo amo e potrei perdonargli tutto. Dio aiutami a rimettermi in piedi. Del resto oggi sono 5 mesi che stiamo insieme. E il mio corpo, il cuore, appartiene solo a lui ."

Era convinto che la sua fidanzata lo tradisse. Non era vero ma, nel tentativo di estorcerle la confessione, per tre interminabili settimane l'ha segregata per usarle violenze e umiliazioni di ogni tipo. Dopo averla immobilizzata al letto con le manette l'ha picchiata, le ha spento le sigarette sulle parti intime, l'ha costretta a fare sesso in tre, bere aceto, iniettarsi eroina. E ancora non bastava: l'ha spogliata, le ha urinato addosso, e l'ha fotografata. È successo lo scorso anno, in Germania, a Stadthagen, dove un 29enne cagliaritano, Maurizio Pusceddu, lavorava come cameriere in gelateria e, fra mance e stipendio, guadagnava 3.500 euro netti al mese.

La ragazza, lituana, lo ha denunciato e l'ex fidanzato (difeso dall'avvocato Annamaria Busia) è stato condannato dal Tribunale di Buckeburg a sei anni.

Con un'attenuante sorprendente: bisogna tener conto di come in Sardegna si sviluppano i rapporti tra uomo e donna. Leggere la sentenza per credere: «Si deve tener conto delle particolari impronte culturali ed etniche dell'imputato. È un sardo. Il quadro del ruolo dell'uomo e della donna, esistente nella sua patria, non può certo valere come scusante ma deve essere tenuto in considerazione come attenuante».

Passi la considerazione che l'imputato, italiano, «deve vivere separato dalla sua famiglia e dalla sua cerchia di amici in patria», e pure che «i reati sono stati un efflusso di un esagerato pensiero di gelosia», ma l'impronta etnico-culturale è davvero troppo. Anche perché lo stesso Tribunale tedesco poche righe più sotto scrive che l'imputato «ha pianificato e agito in modo straordinariamente spietato, ha vissuto fino in fondo le sue tendenze sadiche, ha tormentato la fidanzata per tre settimane, oltre alle lesioni personali e alle violenze carnali l'ha privata della sua dignità orinando su di lei, non ha esitato neppure a fotografare il risultato dei suoi maltrattamenti». Però: l'impronta culturale in Sardegna è quella. Dunque: se anche stupra, picchia, umilia, droga, deride, fotografa merita un'attenuante che l'avvocato Busia si è guardato bene dal chiedere. Era geloso, ha esagerato ma, suvvia, non è tutta colpa sua.

Il giudice ripercorre la vita di Pusceddu senza sconti: 29 anni, figlio di una coppia che gestisce un ristorante a Cagliari, consumatore di hascisc, cocaina ed eroina. Aveva conosciuto la ragazza lituana in un ristorante greco, sempre in Germania. Era il Natale 2004, si era innamorato e subito era andato a vivere con lei. Le aveva chiesto di lasciare il lavoro ed era stato accontentato. Poi, improvvisa, quella gelosia accecante per un suo collega cameriere e l'inizio, per la donna, di tre settimane da incubo: la porta di casa chiusa a chiave, il tentativo della ragazza di scappare calandosi dalla finestra con le lenzuola, le notti al freddo nuda sul pavimento con le finestre aperte, il coltellino a scalfire le bruciature appena provocate con la sigaretta, l'aceto sulle ferite.

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Come prendersela con un giudice razzista-buonista, quando il nostro Amato ministro disse:
"picchiare le donne e' nella tradizione siculo-pakistana"

Non faccio a tempo a pensarlo che Perla Scandinava ha gia' sottolineato tutta la pericolosa demenzialita' di questa politica di dis-integrazione europea di mentalita' radical-chic:
sardo-siculo-pakistano

Quel giudice tedesco probabilmente ignora la posizione geografica della Sardegna e la crede incuneata tra l’Iran e l’Afghanistan oppure sa che si tratta di un’isola italiana solo perché l’ha letto sui francobolli dietro le cartoline di sughero raffiguranti donne in costume nero, evidentemente scambiato per burqa.

Scherzi a parte quel giudice è sicuramente un magistrato assai pericoloso se è convinto che meriti clemenza la violenza sulle donne quando derivante da una diversa cultura o etnia.

Se altri uomini di legge interpretassero il codice come ha fatto costui nella loro giurisdizione spianerebbero la strada ai fautori della sharìa che, da tempo, chiedono il diritto di infliggere liberamente pene corporali alle donne, secondo le spaventose tradizioni islamiche.

E, infine, l’ultima riflessione, la più amara, ci viene immaginando che presso le corti di giustizia europee giungano le dichiarazioni di un importantissimo ministro degli interni italiano di nome Giuliano Amato, dalle quali potranno ricevere la precisa raffigurazione della sottomissione all’uomo della donna italiana.

Dunque, come possiamo prendercela con un cittadino tedesco quando abbiamo giustificato (alcuni addirittura applaudito) un uomo con quelle responsabilità di potere, il quale ha, urbi et orbi, ineffabilmente e con ammirevole flemma parlato di tradizione siculo-pakistana?

Se questi strapotenti e strafottenti continueranno impuniti la loro opera di denigrazione del cittadino, allora non resta che pronunciare quel tristissimo detto: “Chi è causa del suo mal pianga se stesso!”

Sarebbe meglio difenderci in casa nostra per non vederci costretti a scagliarci contro gli stranieri, rei solamente di aver seguito la linea relativista e lesiva dell’immagine degli italiani, esportata da questo governo.

martedì, ottobre 02, 2007

a scuola in bici o a piedi.


A piedi è meglio: lettera aperta ai genitori dei bambini di Bologna - Motori - Repubblica.it:

"'Gentili mamme e gentili papà', si legge nella lettera, 'proviamo a immaginare che ogni mattina un fiume di pedoni e biciclette 'invadà la città. L'aria sarebbe molto più respirabile e le strade diventerebbero più sicure e meno rumorose. [...] Il cielo sarebbe più blu e la terra meno malata.'"

"Un'immagine da sogno", riconoscono i firmatari della lettera, che però ricordano che "troppo spesso diamo per scontato che l'automobile sia il solo mezzo per muoverci. Forse, a pensarci bene, potremmo trovare diverse occasioni in cui una passeggiata a piedi o in bicicletta potrebbe sostituire l'auto, e qualche volta essere anche più rapida e gradevole. A prevalere è invece spesso la pigrizia o solo l'abitudine".

"Cambiare non è facile", ammettono il Centro Antartide e la Fondazione Villa Ghigi, "eppure dobbiamo farlo, magari cominciando proprio dal percorso casa-scuola. Dobbiamo farlo per noi, ma soprattutto per i nostri figli. Dobbiamo farlo senza attendere che siano altri a dare il buon esempio".

La lettera ci ricorda che andare in bici o a piedi non fa bene solo alla collettività, diminuendo il traffico e l'inquinamento, ma anche alla salute di chi decide di muoversi in questo modo, così antico, ma oggi così nuovo. La vita sedentaria è infatti tra le principali cause di malattie cardiovascolari e obesità, mentre - continua la lettera - "camminare ha effetti benefici sia sul corpo che sulla mente, allena i muscoli e distende i pensieri".

MASSA CRITICA